Ho meditato a lungo in questi mesi su quest'ennesima crisi del capitalismo.
Non si può dire che non abbia avuto, in questi decenni, esperienze politiche e di militanza. Ciò mi è servito a poco, se non a rovinarmi la vita. Però qualcosa di utile l'ha avuto: ho aperto definitivamente gli occhi.
Allora, mettiamola così, come dice da tempo Franco Berardi, Bifo: oltre dieci scioperi generali in Grecia non hanno ottenuto alcun risultato, il potere sposta l'asticella sempre più in alto.
Le lotte non intaccano il sistema, loro le hanno messe in conto.
Quindi la conseguenza, l'idea, è semplice e rivoluzionaria:
- né lottare né scontrarsi, ma disertare.
Non rivendicare, non chiedere, non dar loro alcun appiglio ma prendersi la vita, vivere, vivere altrove. Anarchico? Chi mi conosce sa che è un'idea lontana dal mio modo di essere, ma bisogna innovare, inventarsi d'altro.
- non agire, non mobilitarsi, quindi, deludere le loro aspettative.
Ogni cosa che fai porta acqua al loro mulino, ne prolunga il potere e l'esistenza. Ti vogliono cattivo? Hanno previsto che spaccherai tutto?, VOGLIONO che tu spacchi tutto? E tu deludili. Nè spacco nè non spacco. io sono altrove.
Il capitalismo ci chiede una disponibilità continua all'impegno, alla comunicazione, alla produzione, alla competizione.
Un tempo permanentemente occupato, sotto pressione alla ricerca di risultati che si fanno sempre più difficili da ottenere. L’obbligo di essere contenti, ottimisti e positivi. L'obbligo di trasmettere parossisticamente e quotidianamente l’immagine distorta di quel che siamo, di quello che vogliamo apparire, dire che tutto va bene e che teniamo tutto sotto controllo, dire che siamo forti. L'obbligo della reazione alle loro azioni.
Adesso vi provoco, faccio una domanda: Persino l’attivismo politico non rischia allora, in quest'ottica, di essere funzionale al sistema?
Lotte-risultati, la risposta pronta, iper attivismo, nessuno spazio per i titubanti ed i tiepidi, la lotta politica come specchio della loro modernità. Sempre pronti, sempre reattivi. Dobbiamo lottare per la crescita, per produrre più merci, più lavoro, quindi più sfruttamento. E' un circolo vizioso. E' questo che vogliamo? E' di certo quel che molti di noi, io per primo, abbiamo fatto per troppi anni. Te lo consentono, comunque, solo se non li danneggi, se sei utile al loro proclamarsi democratici. Hanno bisogno degli indiani per creare la riserva. Vedi, dicono, sei fuori del tempo, ma io ti consento di dissentire ugualmente perchè sono democratico, ti ho fatto persino la riserva dove puoi protestare, però entro certi limiti canonizzati e secondo le regole che IO ho stabilito.
Noi non dobbiamo sfondare i muri della riserva, non ci dobbiamo semplicemente entrare.
Lo sciopero? Si aspettano il rito del corteo, delle bandiere, degli strepiti, tutti incolonnati, ordinati, responsabili, civici, costruttivi. Urla e fischietti, ma sempre nell'alveo della PROTESTA DEMOCRATICA.
Lo sciopero è invece il non fare nulla di nulla. Ci volete sempre attivi? Persi nell'infernale meccanismo della produzione-riproduzione? Persino il dormire, il copulare, il mangiare è produrre? Bene, noi disertiamo.
- Perché invece, come afferma ancora Bifo, non formare un esercito di deboli, torpidi, ignoranti?
Naturalmente non lo siamo, siamo più intelligenti del potere. Il capitale ed i suoi lacchè devono però avere ogni volta il dubbio, devono chiedersi se ci siamo o se ci facciamo....
Il nostro mondo è altrove, il nostro mondo è un altro mondo. Viviamo nel LORO mondo ma quel che vogliamo è altro.
- Bisogna diventare parassiti del loro sistema perchè legalità e rispetto delle regole è ciò che hanno escogitato per controllarci meglio. Leggiamoci Foucault: quelle regole chi le ha scritte? Non sono esse funzionali al nostro sfruttamento? Non siamo forse noi i controllori e gli sfruttatori di noi stessi? Vogliono la nostra virtù per governarci meglio. Odiano la violenza perchè la temono contro se stessi.
Ma noi non siamo contro le regole, solo che le NOSTRE REGOLE SONO ALTRE, non quelle di lor signori.
Noi abbiamo un programma ben preciso, solo che non glielo diciamo.
Siamo resilienti, viscosi, viviamo nei loro interstizi scavandogli i tunnel sotto i piedi poco alla volta, quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi.
Dobbiamo, per loro, essere immorali, uscire dalle loro regole, perchè sono state scritte per chiuderci nelle loro gabbie. Ma noi non siamo immorali, solo che la nostra etica e la nostra morale sono semplicemente ALTRE: Noi siamo profondamente altruisti, disponibili, innamorati, solidali, fratelli.... per noi.
Ma per loro saremo d'ora in poi altamente immorali, perchè la loro morale sono le loro guerre, i loro soldi, la loro finanza, le loro merci, le loro autostrade, il loro modello di società marcia e criminale. Noi non ci uniformiamo. Perchè il loro lavoro, il lavoro, non ci piace. Non ci piace più.
Li sfrutteremo. Perciò per loro saremo immorali.
Ma per noi, per i nostri, saremo altruisti, per il mondo che vogliamo saremo solidali e fratelli.
Per loro il nostro sangue non lo daremo più.
Non si può dire che non abbia avuto, in questi decenni, esperienze politiche e di militanza. Ciò mi è servito a poco, se non a rovinarmi la vita. Però qualcosa di utile l'ha avuto: ho aperto definitivamente gli occhi.
Allora, mettiamola così, come dice da tempo Franco Berardi, Bifo: oltre dieci scioperi generali in Grecia non hanno ottenuto alcun risultato, il potere sposta l'asticella sempre più in alto.
Le lotte non intaccano il sistema, loro le hanno messe in conto.
Quindi la conseguenza, l'idea, è semplice e rivoluzionaria:
- né lottare né scontrarsi, ma disertare.
Non rivendicare, non chiedere, non dar loro alcun appiglio ma prendersi la vita, vivere, vivere altrove. Anarchico? Chi mi conosce sa che è un'idea lontana dal mio modo di essere, ma bisogna innovare, inventarsi d'altro.
- non agire, non mobilitarsi, quindi, deludere le loro aspettative.
Ogni cosa che fai porta acqua al loro mulino, ne prolunga il potere e l'esistenza. Ti vogliono cattivo? Hanno previsto che spaccherai tutto?, VOGLIONO che tu spacchi tutto? E tu deludili. Nè spacco nè non spacco. io sono altrove.
Il capitalismo ci chiede una disponibilità continua all'impegno, alla comunicazione, alla produzione, alla competizione.
Un tempo permanentemente occupato, sotto pressione alla ricerca di risultati che si fanno sempre più difficili da ottenere. L’obbligo di essere contenti, ottimisti e positivi. L'obbligo di trasmettere parossisticamente e quotidianamente l’immagine distorta di quel che siamo, di quello che vogliamo apparire, dire che tutto va bene e che teniamo tutto sotto controllo, dire che siamo forti. L'obbligo della reazione alle loro azioni.
Adesso vi provoco, faccio una domanda: Persino l’attivismo politico non rischia allora, in quest'ottica, di essere funzionale al sistema?
Lotte-risultati, la risposta pronta, iper attivismo, nessuno spazio per i titubanti ed i tiepidi, la lotta politica come specchio della loro modernità. Sempre pronti, sempre reattivi. Dobbiamo lottare per la crescita, per produrre più merci, più lavoro, quindi più sfruttamento. E' un circolo vizioso. E' questo che vogliamo? E' di certo quel che molti di noi, io per primo, abbiamo fatto per troppi anni. Te lo consentono, comunque, solo se non li danneggi, se sei utile al loro proclamarsi democratici. Hanno bisogno degli indiani per creare la riserva. Vedi, dicono, sei fuori del tempo, ma io ti consento di dissentire ugualmente perchè sono democratico, ti ho fatto persino la riserva dove puoi protestare, però entro certi limiti canonizzati e secondo le regole che IO ho stabilito.
Noi non dobbiamo sfondare i muri della riserva, non ci dobbiamo semplicemente entrare.
Lo sciopero? Si aspettano il rito del corteo, delle bandiere, degli strepiti, tutti incolonnati, ordinati, responsabili, civici, costruttivi. Urla e fischietti, ma sempre nell'alveo della PROTESTA DEMOCRATICA.
Lo sciopero è invece il non fare nulla di nulla. Ci volete sempre attivi? Persi nell'infernale meccanismo della produzione-riproduzione? Persino il dormire, il copulare, il mangiare è produrre? Bene, noi disertiamo.
- Perché invece, come afferma ancora Bifo, non formare un esercito di deboli, torpidi, ignoranti?
Naturalmente non lo siamo, siamo più intelligenti del potere. Il capitale ed i suoi lacchè devono però avere ogni volta il dubbio, devono chiedersi se ci siamo o se ci facciamo....
Il nostro mondo è altrove, il nostro mondo è un altro mondo. Viviamo nel LORO mondo ma quel che vogliamo è altro.
- Bisogna diventare parassiti del loro sistema perchè legalità e rispetto delle regole è ciò che hanno escogitato per controllarci meglio. Leggiamoci Foucault: quelle regole chi le ha scritte? Non sono esse funzionali al nostro sfruttamento? Non siamo forse noi i controllori e gli sfruttatori di noi stessi? Vogliono la nostra virtù per governarci meglio. Odiano la violenza perchè la temono contro se stessi.
Ma noi non siamo contro le regole, solo che le NOSTRE REGOLE SONO ALTRE, non quelle di lor signori.
Noi abbiamo un programma ben preciso, solo che non glielo diciamo.
Siamo resilienti, viscosi, viviamo nei loro interstizi scavandogli i tunnel sotto i piedi poco alla volta, quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi.
Dobbiamo, per loro, essere immorali, uscire dalle loro regole, perchè sono state scritte per chiuderci nelle loro gabbie. Ma noi non siamo immorali, solo che la nostra etica e la nostra morale sono semplicemente ALTRE: Noi siamo profondamente altruisti, disponibili, innamorati, solidali, fratelli.... per noi.
Ma per loro saremo d'ora in poi altamente immorali, perchè la loro morale sono le loro guerre, i loro soldi, la loro finanza, le loro merci, le loro autostrade, il loro modello di società marcia e criminale. Noi non ci uniformiamo. Perchè il loro lavoro, il lavoro, non ci piace. Non ci piace più.
Li sfrutteremo. Perciò per loro saremo immorali.
Ma per noi, per i nostri, saremo altruisti, per il mondo che vogliamo saremo solidali e fratelli.
Per loro il nostro sangue non lo daremo più.
14 commenti:
Metto schematicamente in fila alcune cose così come risultano stamane dai giornali:
- L'art.18 serve a proteggere i fannulloni, i ladri e gli assenteisti lo dice la Confindustria (e lo pensa la Fornero);
- I ministri dichiarano i loro redditi: il più povero guadagna dieci volte un operaio, i più posseggono milioni in obbligazioni, azioni, dozzine di appartamenti, barche e quant'altro, Fornero compresa;
- Un magistrato, riguardo alle contestazioni mosse a Caselli dai no tav, afferma che c'è il concreto rischio di eversione;
- Nel dispositivo fiscale che il governo sta per varare non compare (naturalmente) nulla circa l'ICI alla Chiesa;
- Gli sgravi fiscali per i redditi bassi arriveranno solo dal 2014 (forse).
Ce n'è abbastanza, anche se apparentemente sembrano fatti scollegati tra loro. Ce n'è abbastanza per dire che questa è una vera e propria manovra di annientamento delle classi popolari.
Oltre ad essere precari a vita, mammoni, sfigati, i lavoratori italiani sono anche ladri. Ed allora visto che così ci descrivono, vedete che ho ragione io? La parola d'ordine non può che essere una sola: lavorare il meno possibile e quel poco che si fa farlo il più male possibile: è così che ci vogliono, diamo loro la soddisfazione, saranno contenti loro e pure noi, che almeno faticheremo di meno. Ma bisogna farlo bene, senza farsene accorgere, fraudolentemente appunto. Perciò da ora in poi non ne parlerò più.
Rispetto ai redditi dei ministri viene facile la considerazione: non sarà un governo tutto di banchieri ma tutti i banchieri lo appoggiano convintamente. Non sarà un governo DEI poteri forti ma tutti i poteri forti lo appoggiano. E' di sicuro un governo che organizza un solido comitato d'affari della borghesia: L'obbiettivo è elementare: rimettere al loro posto le classi subalterne e popolari, altro che l'operaio che vuole il figlio dottore. I ricchi impongono la morigeratezza, la parsimonia, i sacrifici ai poveri. E come si diceva due secoli orsono, appunto prima della rivoluzione francese, i poveri sono tali PERCHE' NON HANNO VOGLIA DI LAVORARE. PUZZANO PERCHE' NON SI LAVANO E RUBANO PURE. Nell'Inghilterra di Dickens il furto era punito con l'impiccagione, ma solo se a rubare era un povero.
Sulla Tav è evidente che l'attacco è tutto sul tentativo di impedire le libere manifestazioni: ma basta contestare un magistrato che subito ti becchi dell'eversivo. Ed allora se l'eversione è manifestare, beh, contraddicendo il tema di questo post, sabato sarò anch'io un eversivo ed andrò in valsusa. Pur sapendo che non serve a nulla.Serve fare terra bruciata attorno alle truppe di occupazione ed ai loro servi, semmai, ma è un altro discorso.
Il fatto che non ci sia nulla sull'ICI alla chiesa dimostra che avevamo ragione noi: costoro hanno capito che la politica berlusconiana degli annunci rende bene con gli italiani. Sono obbligaqti a dirlo perchè glielo impone l'Europa, ma in quanto a farlo non sia mai.
Sgravi fiscali ai poveri? Vale quanto sopra: se faccio loro pagare meno tasse lavorano ancora di meno, dissipano, smettono di essere virtuosi.
Qualcuno di voi mi spiega perchè non dovrei disertare?
Disertare non significa non avere idee, significa averne più alte ed altre, soprattutto.
Ed io il sangue per loro, appunto, non lo do più. L' "obbiettivo parassita" è più impellente che mai: vivere alle loro spalle, nelle pieghe della loro società cercando di segarne poco alla volta le fondamenta. Intanto primum vivere.
Lascio una riflessione telegrafica, perchè ho poco tempo e le riflessioni che questo post suscita sono tante.
Mi fa un po' effetto ritrovare in queste riflessioni gli stessi concetti -come ben sanno i molti tra i lettori del blog che mi conoscono personalmente da tempo- che ho espresso io per anni, salvo poi ritornarci sopra in modo critico, e ho ancora bisogno di strutturare le mie valutazioni.
Certo in quel che dice Ilic c'è tanta verità, in primis il fatto che bloccare la produzione oggi non crea alcun danno al padrone ed egualmente non crea problemi la classica manifestazione di massa che l'avversario sa benissimo prevedere e neutralizzare.
Ciò che fa danno è bloccare la circolazione delle merci, oltre all'astensione dal consumo e dall'impegno lavorativo che ci dice Ilic e che certamente problemi ai padroni ne genera.
Caldeggio il maggior numero di interventi vostri tra oggi e domani, perchè per riflettere su una proposta così forte, e assieme così ragionata, c'è bisogno del contributo di più compagne e compagni possibili.
Naturalmente la mia è una proposta con forti connotati provocatori. Nel senso che io vivo, come tutti, profondamente calato e coinvolto in questa società. Ma bisognerà pure provare a ragionare sul futuro della nostra azione. Partendo, per quanto mi riguarda, dalla imprescindibilità del modello comunista per il mondo futuro. E trovando, nel pensiero comunista organizzato ed in quello teorico (Marx)stimoli e spunti per elaborare altro.
L'azione comunista nel 900 è stata quel che conosciamo perchè plasmata ed organizzata sul modello da contrastare, ovvero il capitalismo imperialista. La politica dei fronti contrapposti, ovvero la scelta di contrastare il capitalismo con forze di pari pesantezza e potenza, ha ceduto di fronte alle sirene occidentali che hanno comprato, più che convincere, le coscienze. _Chi agita le categorie del tradimento, e ci sono, per giustificare la caduta dei sistemi comunisti del 900, o è cieco, oppure si rifiuta di comprendere quali furono i limiti colossali ed i difetti.
I sistemi comunisti del 900 sono implosi. Da qui dobbiamo partire.
Avevano già in se stessi i germi del crollo?
Creare un mondo nuovo non potrà mai essere fatto con la gentilezza. Questo lo sappiamo. Ma con l'intelligenza questo sì. E noi ne stiamo usando molto poca in questi anni.
Eppure abbiamo squadernato sotto i nostri occhi un mondo intero che ben poco è cambiato dai tempi di Marx. Dobbiamo tornare al Manifesto, alla talpa che scavava già 170 anni orsono nelle viscere del sistema.
Dobbiamo tornare a studiare la gogantesca portata dell'innovazione
di Lenin, specie per quanto riguarda lo sviluppo delle scienze sociali di cui si fece carico, l'arte, la cultura, e soprattutto la NEP, la nuova politica economica, che scomparvve sotto le bordate dell'industrializzazione forzata di Stalin. Un muro contro un altro muro. Ed invece conteneva un portato di novità assolutamente dirompente.
Questo è il significato di quel che voglio dire con questo post. Sino a quando continueremo a leggere il mondo coi vecchi occhiali non saremo in grado di cambiare. Sono occhiali bifocali: in parte distorcono la realtà e sono quelli che ci ha messo sul naso il poter, in parte sono quelli che ci siamo messi noi, giocando in questi ultimi decenni una partita assolutamente di retroguardia e ritirata sotto le bordate della ristrutturazione capitalista.
In ciò che leggo certamente ritrovo una parte dei pensieri e dei sentimenti che albergano in me da anni, quelli che hanno messo in sospensione la mia militanza, o perlomeno una militanza "classica", cercando nell'arte, nella costruzione di gruppi, di socialità "altre", nella cultura e nella formazione orizzontale strade prossime al movimento ma meno dirette. Ora, credo che la diserzione sia una specie di via maestra ma, spesso, individualista, autonoma e isolazionista. Questo perchè esiste il sentimento della rabbia, che monta e che andrebbe sublimata collettivamente, attraverso strumenti e dispositivi condivisi, capaci di costruire forme di socialità alternative e non pienamente confliggenti con il sistema capitalistico, nel senso espresso da Ilic, giustificatorie.
Purtroppo ho la netta sensazione che il mercato sia fagocitante su tutto ciò che siamo riusciti ad immaginare, che sia pervasivo dei flussi di pensiero e di analisi.
O ci sei pro o ci sei contro, ma sempre dentro. Questo credo sia il limite, o almeno ciò che riesco a razionalizzare in questo spazio espressivo spontaneo che emerge in queste banali righe che scrivo.
Le città sono territori definiti da mille frontiere e valichi e contenitori, alcuni liberati, la maggiorparte vuoti di senso. Bifo e più addietro Focault hanno individuato numerose contraddizioni, chiarito i passaggi logici del controllo sociale. Deleuze e Guattari hanno ribaltato concetti consolidati nella cultura, anche post-marxista, fino a Zizek che recupera il valore delle ideologie come strumenti di contrapposizione alla confusione dilagante, al nuovo classismo occidentale, tecnologico e informativo.
La diserzione è un concetto forte, nella sua apparente debolezza, ma abbisogna di luoghi e spazi dove svuotarsi della rabbia accumulata, perchè non esistiamo, a mio avviso, nella nostra dimensione individuale, e perciò autoreferenziale, come il mio Brasile. Per ciò che mi riguarda, sto esistendo da anni rifiutando il "lavoro stupratore del mio tempo", ma ora il lavoro non mi cerca quasi più, ed io percepisco una "solitudine" economica, una assenza di protezione sociale e familiare che rimette tutto in discussione. E' vero, dobbiamo rispondere ai vecchi paradigmi classisti di ritorno con nuovi paradigmi, e a quello della diserzione ci sto, ma solo assieme alle compagne e ai compagni, cacciando fuori dalla nostra storia ciò che il modo di produzione capitalistico ha più o meno nascostamente scolpito nella nostra corteccia cerebrale. Che tra poco sceglierò la via della solitudine. Abbraccio.
Robi.
Bellissimo intervento.
Quel che vorrebbe Ilic sarebbe proprio il passaggio, nella diserzione, dalla dimensione individuale e solipsista alla sua costruzione scientifica e organizzata come metodo di lotta, con tutti i richiami al marxismo che ci dice nel commento sovrastante.
Per ora vi saluto, che, come dicevo, oggi ho molto poco tempo.
Più tardi, o molto più facilmente domani, cercherò di esprimere una mia sintesi personale sulla proposta!
Sì, la diserzione come azione individuale ha poco senso, perchè finisci per avvitarti in una situazione che porta soprattutto alla solitudine e all'emarginazione da coloro che invece ami e con cui vuoi continuare a vivere. Io parlo ovviamente di diserzione collettiva. Diserzione organizzata. Politicamente organizzata.
Si tratta di costruire alterità ed autonomia. Il progetto di Autonomia Operaia dei miei tempi andava in questa direzione. Autonomia da lor signori, dalla loro fabbrica, dalla loro produzione, dalla loro società. E' tutto da riscrivere, la pagina è bianca. Certo non si può continuare con questa deriva. Stiamo avvitandoci in un corto circuito di cui il potere ha già previsto tutto e noi finiamo per diventare inconsapevolmente funzionali ai suoi progetti.
hola!
leggo solo ora tutti i commenti..purtroppo, o forse per fortuna queste mie giornate sono un po' convulse ed ho necessità di tempo per formulare una mia opinione...intanto colgo l'occasione per salutare roby...
per il resto sono un po' disorientato dalla discussione: sinceramente non avevo mai pensato ad una simile azione di protesta e nel mio modo di fare ho sempre cercato la condivisione piuttosto che l'individualismo. Penso che specie oggi questa strada non sia praticabile..se poi collettivamente decidessimo per un'azione di diserzione...
spero di avere più tempo nei prossimi giorni, nel frattempo vi ringrazio per gli sunti di riflessione...
massimino
questa della diserzione è un'idea interessante...siamo sempre più ingranaggi, non ci fermiamo mai---
roberta
Credo di aver trovato il bandolo della matassa per dare un minimo di forma razionale a quelle che fino a poche ore fa erano semplici suggestioni.
La diserzione che propone Ilic la condivido in toto e torno a ripetere -e c'è scritto chiaramente da lui- che è una forma politica, collettiva e organizzata e non un ribellismo solipsista e individuale.
Credo che oggi sia una forma di sabottaggio addirittura necessaria, anche se non sufficiente.
Perchè non sufficiente?
Io credo che, dove le condizioni (ovvero il capillare lavoro politico sul territorio) lo consentono, un livello di scontro anche frontale va mantenuto, perchè tutto quell'amore e quella solidarietà si maturano solo nelle dimensioni che lo scontro diretto, e tutte le precondizioni di lavoro che lo determinsno, produce.
C'è a mio avviso sempre bisogno di lotta diretta anche perchè essa si mostra evidente e tende, se fatta bene, ad espandere il conflitto.
Ma, sul 'se fatta bene', si gioca tutto ed è evidente che vanno trovate dimensioni diverse da quella classica operaista, che è ormai spesso inadeguata per le ragioni dette da Ilic.
Ad esempio, se scioperare vuol dire scioperare nei consumi tutto questo può affiancarsi a blocchi di massa della circolazione delle merci, che tocca il potere a differenza di un giorno di blocco della produzione.
Sono due condizioni -lo sciopero del consumo e il blocco della circolazione- che a mio avviso non si escludono anzi si implementano a vicenda.
E se questa fosse una buona idea, è un'idea partorita di istinto da me che non sono nemmeno brillante quanto a creatività; pensiamo l'intelligenza collettiva e la fantasia di tanti di noi assieme cosa può inventarsi.
In relazione al discorso città/campagna che diceva Massi ieri sulla Grecia, io credo che un'altra lente deformante che bisogna togliersi è il privilegio dell'esclusivo tessuto urbano, altro retaggio del mito della produzione: lavorare nelle campagne dove ci sono strutture politiche (e di precariato in campagna ce ne è tanto), così come lavorare su tutti quelli che erano un tempo lavori atipici e che oggi sono diventati tipici.
Ma questo va al di là delle sole forze di un collettivo territoriale come il nostro, però è anche vero che le idee girano e più girano più possono diventare contagiose...
Non vorrei che pure blogger si comportasse come splinder....Ho postato un commento anche abbastanza articolato e non solo non l'ha pubblicato ma nemmeno me l'ha salvato, ora purtroppo non ho piu' molto tempo...
In sostanza dicevo che il nostro dovere è innovare il pensiero e le forme di organizzazione e di lotta. Che siano davvero rivoluzionarie ed impreviste. In questi decenni ci siamo avvitati in una micidiale sequenza di attacchi-reazioni che ci ha reso del tutto prevedibili e vulnerabili. Il potere sa già quel che faremo e come reagiremo, lo mette in conto.
Logico è, come dice Brunaccio, che laddove hai concrete possibilità di ottenere vittorie non simboliche e determinanti devi dare il colpo con tutta la forza possibile.
Noi abbiamo invece vissuto per decenni una continua azione di retroguardia, lottando sul terreno che il potere ha scelto e ci ha imposto, assumendo in tutto e per tutto il punto di vista del nemico come l'unico possibile e l'unico con cui confrontarsi.
Faccio un esempio:
- a Mirafiori stiamo subendo da anni l'attacco di Marchionne, che ha come unico scopo il ricatto e la messa in liquidazione della residua forza operaia, precarizzando lavoro e produzione. Nessuno si sogna di interrompere le lotte a Mirafiori affinchè non chiuda e perchè la Fiat si decida a portare qui nuove produzioni, ci mancherebbe. Ma il sindacato sta anche in questo caso conducendo una lotta di retroguardia, tutta giocata sul campo che ha scelto il nemico, assumendo il paradigma del produrre qualunque cosa purchè sia un'automobile. Disertare significa non scegliere il loro campo ma sparigliare le carte tentando di imporre il nostro. Non produrre per produrre quindi, rompendo l'assioma che solo con la CRESCITA e lo SVILUPPO ci possa essere benessere, ma provare a decidere NOI cosa fare. Se Marchionne se ne vuole andare se ne vada. Qualcuno ha il coraggio di dirlo? E di dire che magari potremmo fare a Mirafiori qualcosa d'altro, che crei vera occupazione e non precarietà? Quale organizzazione politica o sindacale ha il coraggio di farlo?
Se un altro mondo è possibile lo è solo se disertiamo dal campo in cui loro ci hanno costretti.
Abbiamo milioni di lavoratori in difficoltà, precarizzati, in cassa integrazione, disoccupati.E continuiamo con l'eterno rito del corteo, della manifestazione, che sono sacrosanti e giusti, per carità, ma sono assolutamente inutili. La crisi non deve essere solo l'occasione per i padroni di attaccare i diritti delle classi subalterne ma deve essere un'opportunità per trasformarla in un'arma a nostro vantaggio. Dice Brunaccio, e dice bene: Blocco del consumo e blocco della circolazione delle merci. Ecco questo è un embrione di innovazione, che li coglierebbe assolutamente spiazzati. Delle vostre merci e del vostro modo di produrle non ce ne facciamo nulla, vogliamo altro.
Utopia?
Esattamente come lo era, ai primi del 900, pensare di imporre una società socialista sulla Terra. Eppure qualcuno ci ha provato, se non ricordo male.
trovo molto interessante questa discussione ed i contenuti emersi, il problema sarebbe quello di declinare dalla teoria alla pratica. il boicottaggio, o diserzione, funziona se dietro c'è una massa di gente che fa "peso"..forse non ci sono ancora le condizioni in questo paese, a meno che non si mobilitino categorie intere di lavoratori in territori ben determinati, vedi sicilia e sardegna. il rimando all'esperienza dei forconi come forma di diserzione territoriale generalizzata e diffusa mi sembra doveroso, anche se qui tentiamo di dargli un profilo politico più definito. anche l'appello delle operaie della omsa al boicottaggio delle calze goldenlady ha fatto notizia e probabilmente ha dato loro qualche carta in più da giocarsi. quindi, se in determinati ambiti e particolari situazioni funziona, sarebbe da capire come declinare queste forme di lotta in un ambito più diffuso e ,magari sbaglio, dargli rilevanza mediatica in modo che sia sentita come forma di protesta anche dal cittadino comune, anche da chi è alieno dal discorso politico ma ha voglia di intervenire in qualche modo sulla realtà. djordji
Non vorrei mettere troppa carne sul fuoco ma consentitemi alcune altre considerazioni.
La storia del movimento antagonista dell'ultimo secolo è in gran parte la storia dei movimenti comunisti.
In tutto il mondo però, senza tema di smentite, nessuno può citare nemmeno un solo esempio di rivoluzione affermatasi in un qualunque paese a capitalismo avanzato. Ovunque si è affermata una rivoluzione comunista è stato in paesi sottoindustrializzati e contadini, MAI in un paese ad alta industrializzazione. Nè in Inghilterra, nè negli Stati Uniti, nè sul continente europeo. Laddove ci siamo arrivati più vicini è la Germania e ne conosciamo gli esiti.
Eppure su quelle esperienze (Urss, Cina, Cuba, Vietnam, Corea) ci stiamo scannando da un secolo. Abbiamo assunto come paradigma e dogma intoccabile QUEL MODO CHE LENIN, MAO, CASTRO ETC. HANNO TROVATO per prendere il potere e rafforzarlo. Ci siamo scannati per decenni su quei modelli, giusti o sbagliati che fossero, di dittatura di un solo partito, di culto della personalità, ci industrializzazione forzata, di costruzione ideologica, di modello sociale. Li abbiamo assunti, ripeto, come esempi.
Ma non potevano esserlo. Perchè la nostra società, di "democrazia liberale e tollerante" installata in un sistema ad altissima concentrazione finanziaria ed industriale, dove, se va bene, quella "democrazia" tenta di temperarne gli eccessi,non può essere assimilata a quelle in cui si sviluppò il comunismo cinese o russo.
E' come se assumessimo un farmaco che ha curato ottimamente una polmonite per curare l'artrosi cervicale.
La storia del pensiero comunista dal dopoguerra in poi è stata però, e nonostante tutto, ricchissima. Oggi dobbiamo ricominciare ad elaborare pensiero innovativo. Tenendo per fermi alcuni punti ma lanciandoci in mare aperto per tutto il resto.
Questo blog è il posto giusto. Basta provare a ragionare con la nostra testa ed evitare che altri, com'è peculiare della nostra storia, provino a metterci il cappello sopra. Siamo noi gli artefici del nostro futuro. Per troppi anni abbiamo assunto il pensiero dei grandi del passato come se fosse verità intoccabile. Se Lenin fosse vivo si farebbe due risate e ci direbbe sicuramente: "Ma io quel che ho scritto e fatto è stato per ottenere ciò che volevo nella mia epoca...Come avete potuto pretendere di assumerlo acriticamente in toto per la vostra?".
E' che l'assumerlo come dogma ha consentito a molti una volta raggiunto il potere, di liquidare ome traditore chiunque si ponesse anche solo delle domande.....
Permettetemi un plauso ad Ilic, che nelle sue considerazioni, le quali personalmente condivido in pieno, sta mostrando un'onestà intellettuale esemplare.
Djordj.
Concordo con la difficoltà di tradurre tutto in pratica di massa (e ci vuole comunque tempo e lavoro), ma si tratta di un problema generale che riguarda l'estensione di qualsivoglia pratica, se non rivoluzionaria, quantomeno di rottura.
Non mi pare che questa specifica presenti difficoltà particolari rispetto al problema generale.
Ovviamente posso dire una stupidaggine, e nel caso correggimi (o correggetemi) pure, visto che siamo qua apposta per ragionare.
Sì, come costruire organizzazione e pratica diffusa?
Anche qui, sempre per l'onestà intellettuale di cui parla Brunaccio (e che a dire il vero mi è spuntata da vecchio....) bisogna dire la verità e finirla, almeno per quanto mi riguarda, di prenderci in giro.
Io sono stato per molti anni militante e dirigente di un partito comunista, di quelli che alla mia epoca, per intendrci chiamavamo "militonti". Esecutore di disposizioni, fervido sostenitore del centralismo democratico (in cui a certe condizioni ancora mi riconosco), organizzatore di compagni e di lotte.
Il crollo, come mi disse nel 1992 a Torino Ljukianov, uno degli ultimi membri del Soviet supremo - un uomo intelligente e disincantato- il crollo del Pcus e dell'Urss avvenne quando nel Partito il numero dei burocrati superò il numero degli iscritti.
Ecco, noi ci siamo scannati per anni su un partito e su una nazione, l'Urss, in cui la rivoluzione si era imbalsamata e sclerotizzata. E se l'irrigidimento era comprensibile di fronte ad un attacco concentrico del mondo occidentale, è altrettanto vero però che laggiù mancò il potenziale innovativo. Non attribuisco colpe ad una parte sola e nemmeno ne assolvo nessuna, tanto per sgomberare il campo da ogni illazione. Da Stalin a Trotskij, ognuno si avvitò in una contrapposizione che poco alla volta ci portò all'asfissia.
E l'errore che noi, specularmente e di rimando, compiemmo in occidente, fu di credere che potessimo trasportare pedissequamente qui da noi quell'esperienza. O meglio, lo credettero tanti militanti di base, 'chè i dirigenti, da Togliatti in giù, già avevano intuito i limiti di quell'esperienza. E però reagito, in molti, non già con l'adattare la propria azione ad un mondo capitalista avanzato, ma piuttosto a soggiacervi (un nome per tutti: Napolitano).
Per farla breve, il problema che abbiamo davanti non è tanto il CHE FARE, ma il COME FARLO.
Ovvero mettere definitivamente in soffitta un modello logoro e non recuperabile. Come dice Zygmund Bauman, gli strumenti che abbiamo adoperato per interpretare la realtà sono logori perchè la realtà, quella, non esiste più, e non abbiamo ancora inventato nuovi strumenti per una realtà mutata.
Quel che possiamo fare da subito, ed ho finito, è stamparci bene in testa una volta per tutte che sono le lotte che creano organizzazione e non viceversa. Da lì nascono le catastrofi della nostra parte in questi ultimi anni, da lì dobbiamo ripartire, anche disertando. Disertando non solo il terreno di gioco in cui ci ha costretti il potere ma anche le nostre consolanti ed autoasolutorie pratiche intellettuali finora usate.
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