Ci stanno provando ancora una volta. Quello che non riuscì a fare Berlusconi nel 2002 prova adesso a farlo Monti. Approfittando della “crisi”, del consenso al governo di tutte le forze politiche, del momento di smarrimento in larga parte della popolazione italiana, Monti cerca di abolire l’articolo 18. Contro questo attacco, che sta andando avanti da mesi e che si concretizzerà a breve nella “riforma del mercato del lavoro” che il governo vuole chiudere per fine marzo, dobbiamo mobilitarci ad ogni costo. Ne va del nostro futuro e della nostra dignità. Ma per opporci con efficacia dobbiamo capire bene qual è la posta in gioco. Infatti sia da parte dei padroni che dei sindacati confederali è stata fatta molta disinformazione sul tema. Vediamo bene perché e come stanno davvero le cose.
Partiamo dall’inizio: cos’è l’articolo 18?
L’articolo 18 è un articolo dello “Statuto dei lavoratori”, la legge che regola le norme sul lavoro, approvata nel 1970, in un momento in cui i lavoratori erano abbastanza forti da imporre ai padroni ed allo Stato il rispetto di alcuni loro diritti. L’articolo 18 regola la “reintegrazione sul posto di lavoro”: nelle aziende con più di 15 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo (cioè ingiustificato, eff ettuato senza comunicazione dei motivi o per discriminazione), si può fare causa al proprio datore di lavoro. Se viene appurato che si è stati licenziati senza “giusta causa”, l’articolo dispone che il lavoratore sia reintegrato nel posto di lavoro e recuperi le mensilità perse (cioè i soldi dello stipendio che avrebbe ricevuto se non fosse stato licenziato). In alternativa allo stesso lavoratore è concessa la facoltà di optare per il risarcimento del danno (mensilità perse più un indennizzo di 15 mesi). Questa possibilità è stata pensata per consentire al lavoratore di evitare di dover tornare in un ambiente lavorativo che potrebbe essere ostile.
Quanti lavoratori tutela?
Al momento attuale l’articolo 18 copre circa il 65,5% dei lavoratori dipendenti. Ovvero, su quasi 12 milioni di operai e impiegati presenti in Italia, quasi 7,8 milioni possono beneficiare di questa tutela. È ancora poco, se si pensa che altri milioni di lavoratori - in particolare immigrati e giovani - non beneficiano di questa tutela, perché lavorando a nero, con contratti precari, ricattati fino a firmare le “dimissioni in bianco” al momento dell’assunzione, sono esposti all’arbitrio del datore di lavoro che li licenzia quando vuole. Ma è una misura importante, di civiltà, che riguarda la maggior parte dei lavoratori italiani e dovrebbe semmai essere estesa a quelli che non ce l’hanno, perché ancora più sfruttati.
Le menzogne che ci stanno raccontando
In questi mesi padroni, giornalisti interessati e politici hanno sostenuto che il problema dell’Italia è la “rigidità”, ovvero che non si può licenziare facilmente. Fermo restando che la crisi italiana dipende sia da una crisi del capitalismo a livello internazionale, sia da altri motivi (corruzione e cattiva gestione del denaro pubblico, incapacità del nostro sistema di competere, speculazioni etc), e non è certo responsabilità dei lavoratori, questa è una vera e propria menzogna! Il licenziamento per “motivi economici” esiste dal 1966. Un’azienda in crisi può sempre licenziare il lavoratore. Anche un’azienda che tramite l’acquisto di macchinari ha bisogno di meno lavoratori, li può licenziare. Si chiama “giustificato motivo oggettivo”, ma deve essere dimostrato dal datore di lavoro davanti ad un giudice. Questo per evitare imbrogli delle aziende, già frequentissimi (“finte” crisi, cessione di rami di impresa, “scatole cinesi” etc).
Esiste poi anche il “giustificato motivo soggettivo”, ovvero la possibilità del padrone di licenziare un lavoratore perché assenteista (cioè se non si presenta al lavoro senza fondati motivi medici) o insubordinato (se si rifiuta sistematicamente di seguire le mansioni per cui è stato assunto)... Quindi i datori di lavoro già hanno tutti gli strumenti di cui dispongono per fare funzionare bene le proprie imprese, o no?
Esiste poi anche il “giustificato motivo soggettivo”, ovvero la possibilità del padrone di licenziare un lavoratore perché assenteista (cioè se non si presenta al lavoro senza fondati motivi medici) o insubordinato (se si rifiuta sistematicamente di seguire le mansioni per cui è stato assunto)... Quindi i datori di lavoro già hanno tutti gli strumenti di cui dispongono per fare funzionare bene le proprie imprese, o no?
Il non-detto dei padroni e di CGIL-CISL-UIL: perché vogliono togliere l’articolo 18?
Il governo Monti è espressione del grande padronato italiano e va a braccetto con Confindustria. Tutti questi soggetti premono per cancellare l’articolo 18 dicendo che il “mercato del lavoro” va riformato perché “non funziona” e dicono che se si fanno queste riforme l’Italia ricomincia a crescere. Questa affermazione viene ripetuta ovunque, ma viene sempre lasciata nel vago, non si spiega mai quale sia il meccanismo che dovrebbe portare alla crescita. Nel frattempo cercano di mettere contro i lavoratori “non tutelati” e i “tutelati” come se fosse colpa dei “vecchi” lavoratori se i “giovani” stanno così male.
Da parte loro i sindacati dicono che “non è vero”, che levare l’articolo 18 non serve alla crescita, salvo poi incontrare ogni due secondi il governo e affermare che sono disposti a trattare. Non dicono così ai loro iscritti l’amara verità:
1. che le politiche prima di concertazione poi di vera e propria sottomissione di cui sono stati complici negli ultimi decenni hanno causato questa debolezza dei lavoratori nel rivendicare i propri diritti;
2. che nel sistema capitalistico il lavoro è esattamente come una merce. Una merce di cui oggi, in tempi di crisi e disoccupazione, c’è abbondante offerta. Quindi questa merce, per essere acquistata dai capitalisti, deve o costare di meno (cioè il lavoratore deve essere pagato meno) o essere più produttiva (cioè il lavoratore deve lavorare più intensivamente, secondo ritmi più veloci).
In questo senso il primo motivo per cui i padroni vogliono abolire l’articolo 18 è tutto materiale. La sua abolizione inciderebbe tantissimo sulla produttività. Se posso licenziarti, quando diventi vecchio o non produci come io ti dico di fare, ti ricatterò: se non vuoi essere cacciato accetterai qualsiasi condizione. Anche perché la maggior parte dei lavori di oggi non necessita di chissà quale formazione particolare (sia in fabbrica che negli uffici, che nella logistica o in un call center). E la gente è disposta a tutto pur di lavorare. L’unico limite oggi trovato dai padroni è nella contrattazione nazionale, nelle forme del diritto e nelle leggi strappate quando i lavoratori erano più forti. Ma quello che è stato fatto in questi anni sui giovani che entravano nel mercato del lavoro andava già nel senso di abbassare il costo del lavoro per le aziende, e proprio con la complicità dei sindacati!
I padroni infatti si muovono su tutto il pianeta per cercare il posto dove si possano pagare di meno i lavoratori e farli lavorare di più. Il costo del lavoro è per loro la prima spesa che incide sui profitti: tagliarla diventa essenziale, anche a costo di andare fino in Cina! Fra l’altro il costo del lavoro non è come quello delle macchine, che si ammortizza nel tempo: è sempre un costo vivo, che ogni mese va retribuito. Monti, Confindustria e gli altri borghesi hanno ragione a dire che bisogna “levare le rigidità” per attrarre investimenti e dare lavoro. Solo che quello che non dicono è che il prezzo da pagare è lo schiavismo! Una volta che in giro ci sono gli schiavi, pagati nulla e cacciati fuori in qualsiasi momento, non sorprende affatto che qualche indice di occupazione possa aumentare!
Oggi le controversie legate all’articolo 18 non sono molte. Secondo gli ultimi dati forniti dall'Istat, riferiti al 2006, parliamo di circa 8.651, di cui circa la metà – dopo anni di spese – si concludevano a favore del lavoratore, il quale peraltro non rientrava quasi mai in fabbrica, perché sapeva che il datore di lavoro avrebbe cercato di ostacolarlo in ogni modo. Ma se l’articolo 18 venisse abolito, gli scrupoli dei padroni ad imbarcarsi in una lunga causa e in spese di avvocati scomparirebbero subito…
Da parte loro i sindacati dicono che “non è vero”, che levare l’articolo 18 non serve alla crescita, salvo poi incontrare ogni due secondi il governo e affermare che sono disposti a trattare. Non dicono così ai loro iscritti l’amara verità:
1. che le politiche prima di concertazione poi di vera e propria sottomissione di cui sono stati complici negli ultimi decenni hanno causato questa debolezza dei lavoratori nel rivendicare i propri diritti;
2. che nel sistema capitalistico il lavoro è esattamente come una merce. Una merce di cui oggi, in tempi di crisi e disoccupazione, c’è abbondante offerta. Quindi questa merce, per essere acquistata dai capitalisti, deve o costare di meno (cioè il lavoratore deve essere pagato meno) o essere più produttiva (cioè il lavoratore deve lavorare più intensivamente, secondo ritmi più veloci).
In questo senso il primo motivo per cui i padroni vogliono abolire l’articolo 18 è tutto materiale. La sua abolizione inciderebbe tantissimo sulla produttività. Se posso licenziarti, quando diventi vecchio o non produci come io ti dico di fare, ti ricatterò: se non vuoi essere cacciato accetterai qualsiasi condizione. Anche perché la maggior parte dei lavori di oggi non necessita di chissà quale formazione particolare (sia in fabbrica che negli uffici, che nella logistica o in un call center). E la gente è disposta a tutto pur di lavorare. L’unico limite oggi trovato dai padroni è nella contrattazione nazionale, nelle forme del diritto e nelle leggi strappate quando i lavoratori erano più forti. Ma quello che è stato fatto in questi anni sui giovani che entravano nel mercato del lavoro andava già nel senso di abbassare il costo del lavoro per le aziende, e proprio con la complicità dei sindacati!
I padroni infatti si muovono su tutto il pianeta per cercare il posto dove si possano pagare di meno i lavoratori e farli lavorare di più. Il costo del lavoro è per loro la prima spesa che incide sui profitti: tagliarla diventa essenziale, anche a costo di andare fino in Cina! Fra l’altro il costo del lavoro non è come quello delle macchine, che si ammortizza nel tempo: è sempre un costo vivo, che ogni mese va retribuito. Monti, Confindustria e gli altri borghesi hanno ragione a dire che bisogna “levare le rigidità” per attrarre investimenti e dare lavoro. Solo che quello che non dicono è che il prezzo da pagare è lo schiavismo! Una volta che in giro ci sono gli schiavi, pagati nulla e cacciati fuori in qualsiasi momento, non sorprende affatto che qualche indice di occupazione possa aumentare!
Oggi le controversie legate all’articolo 18 non sono molte. Secondo gli ultimi dati forniti dall'Istat, riferiti al 2006, parliamo di circa 8.651, di cui circa la metà – dopo anni di spese – si concludevano a favore del lavoratore, il quale peraltro non rientrava quasi mai in fabbrica, perché sapeva che il datore di lavoro avrebbe cercato di ostacolarlo in ogni modo. Ma se l’articolo 18 venisse abolito, gli scrupoli dei padroni ad imbarcarsi in una lunga causa e in spese di avvocati scomparirebbero subito…
L’altro motivo: quello ideologico
Esiste anche un altro motivo per cui si vuole abolire l’articolo 18, ed è ideologico. Il Governo e la borghesia italiana vogliono dimostrare all’Unione europea ed ai capitalisti stranieri che in Italia si può venire a investire, perché oramai i lavoratori non contano nulla, non fanno più paura, sono più mansueti delle pecore. Vogliono anche intimorirci per le battaglie future, e dare ai lavoratori una sonora sconfitta su una delle poche mobilitazioni vincenti di questi anni, quella del 2002. Per loro è un totem da distruggere, che ha un enorme valore simbolico. E per farlo sono disposti a mobilitare ogni risorsa, a pagare opinionisti, politici, sindacalisti.
Inoltre l’abolizione dell’articolo 18 risponde ad un’altra necessità padronale: eliminare dalle aziende ogni personalità ribelle ed ogni avanguardia di lotta. Il messaggio deve essere semplice: appena rompi le palle, su orari, condizioni di lavoro, diritti etc, sei fuori. Al padrone basta buttare fuori dieci persone pagando un indennizzo per avere una fabbrica pacificata e disciplinata.
Inoltre l’abolizione dell’articolo 18 risponde ad un’altra necessità padronale: eliminare dalle aziende ogni personalità ribelle ed ogni avanguardia di lotta. Il messaggio deve essere semplice: appena rompi le palle, su orari, condizioni di lavoro, diritti etc, sei fuori. Al padrone basta buttare fuori dieci persone pagando un indennizzo per avere una fabbrica pacificata e disciplinata.
Morale della favola…
La morale della favola è che inaccettabile assumere come piano di discussione quello dei padroni. Quando si parla di “crescita” dobbiamo sempre intendere “profitto dei padroni attraverso la crescita dello sfruttamento”. Una volta assunto questo piano, infatti, hanno sempre ragione loro. Questo è stato ed è ancora l’errore dei sindacati confederali, che ormai non riescono più a strappare neanche le briciole! Se ci si mette su questa strada, di compromessi al ribasso e di inciuci, l’unico risultato è la sconfitta ed un progressivo imbarbarimento. Uno scenario in cui saremo tutti in guerra contro tutti, e solo per sopravvivere.
Ci sono altre strade!
Ora, posto che gli interessi di capitale e lavoro sono sempre inconciliabili, e che i margini di ogni ipotesi di “riforma” di questo sistema si stanno esaurendo (infatti con i patti di stabilità, l’impossibilità di fare politiche sociali ed espansive, il commissariamento dell’UE, che politiche alternative si possono mai fare?) i padroni ci stanno dicendo un sacco di stronzate. Non siamo - come ci vogliono far credere - allo “stadio finale”, non è vero che o facciamo queste riforme o l’Italia è destinata a fallire. L’Italia è uno dei paesi più ricchi al mondo, che ha enormi rendite e patrimoni familiari, che ha un’evasione fiscale di 140 miliardi l’anno, che ha tantissime storture che possono essere corrette senza toccare sempre i soliti. Se il governo avesse voluto stimolare la "crescita" senza necessariamente colpire sempre i lavoratori, avrebbe potuto, per esempio, incominciare dal recupero di parte dell’evasione – senza nemmeno darla ai lavoratori o spenderla in misure sociali! – ma usandola per ridurre il cuneo fiscale, cioè quella parte di soldi che le imprese versano in tasse. Il lavoratore avrebbe avuto così la stessa busta paga e gli stessi diritti, l’imprenditore avrebbe guadagnato invece margini più alti e sarebbe stato incentivato ad investire... non è un caso che questa proposta venga anche dagli ambiti liberali più progressisti!
Certo, alla lunga anche questa misura non risolverebbe nulla, come dimostrano i paesi capitalisticamente “avanzati”: alla fine si deve sempre cercare di sfruttare al massimo il lavoro e quindi ricomincerebbe la competizione verso il basso. Ma quello che è certo è che oggi le strade non sono chiuse, non è vero che “o si fa così o altrimenti siamo tutti morti”. Semmai il problema è che i padroni ed i politici non vogliono puntare a recuperare l’evasione tassando, commercianti, palazzinari, ordini professionali etc, perché temono di perdere quel consenso. Sanno che questi ceti arroganti, spesso mafiosi, sono loro “fratelli” e sono anche pronti a difendere i loro privilegi in ogni modo. “Esagerare” nel recupero dell’evasione creerebbe un sovvertimento ingestibile. Meglio dare altre mazzate al proletariato, no?
Insomma, l’esperimento per il Governo e Confindustria ora è quello di vedere: quanto li riusciamo a fottere prima che si ribellino? Fino adesso sembra che gli stia andando bene…
Certo, alla lunga anche questa misura non risolverebbe nulla, come dimostrano i paesi capitalisticamente “avanzati”: alla fine si deve sempre cercare di sfruttare al massimo il lavoro e quindi ricomincerebbe la competizione verso il basso. Ma quello che è certo è che oggi le strade non sono chiuse, non è vero che “o si fa così o altrimenti siamo tutti morti”. Semmai il problema è che i padroni ed i politici non vogliono puntare a recuperare l’evasione tassando, commercianti, palazzinari, ordini professionali etc, perché temono di perdere quel consenso. Sanno che questi ceti arroganti, spesso mafiosi, sono loro “fratelli” e sono anche pronti a difendere i loro privilegi in ogni modo. “Esagerare” nel recupero dell’evasione creerebbe un sovvertimento ingestibile. Meglio dare altre mazzate al proletariato, no?
Insomma, l’esperimento per il Governo e Confindustria ora è quello di vedere: quanto li riusciamo a fottere prima che si ribellino? Fino adesso sembra che gli stia andando bene…
Lo scenario che ci possiamo aspettare
Senza una forte mobilitazione popolare contro questo governo, si delineerà questa soluzione di compromesso, drammatica per i lavoratori. Si eliminerà cioè l’articolo 18 per i nuovi assunti o, come pare sia emerso dal presunto incontro tra Monti e Camusso, per i neo-stabilizzati (almeno per i primi 3 o 4 anni) e per le nuove aziende (start-up e investimenti esteri), il che non cambia di molto la sostanza. In questo modo, gradualmente, questa tutela andrà a sparire, si metterà un muro fra le generazioni, per cui i “vecchi” non si mobiliteranno perché tanto non vengono toccati e i “nuovi” non protesteranno perché o sono affamati di lavoro (magari sono impiegati con contratti precari quindi per loro non cambia nulla) o perché una tutela del genere non l’hanno mai conosciuta e non sanno nemmeno che si può avere. Questo permetterebbe al governo di non portare a fondo lo scontro sociale, e ai sindacati di dire che loro non hanno eliminato l’articolo 18, ma magari lo hanno semplicemente “congelato”. Anche se sul medio e lungo periodo saranno destinati a scomparire, o meglio a trasformarsi completamente in agenzie di servizi tipo CAF e Patronato, ipotecando definitivamente la possibilità che qualcuno riesca ancora ad utilizzare il sindacato come possibile "luogo" per far vivere vertenze e in generale la difesa degli interessi dei lavoratori.
Perché bisogna mobilitarsi?
Se come dicevamo prima ci sono ancora dei margini, cioè non è vero che ci dobbiamo per forza “sacrificare” noi, il dato da trarne è che bisogna subito impegnarsi. Questa è una certezza: più ci impegneremo, più gli daremo filo da torcere, meno perderemo. Devono recuperare produttività, devono attrarre investimenti, ma, se riusciamo a mettere un argine, i soldi per fare queste cose li andranno a prendere altrove.
Ancora una volta la stessa borghesia ci insegna come fare: quando a rischio ci sono i suoi interessi, si mobilita unitariamente, in maniera fortissima, a livello internazionale, pensando al suo interesse complessivo, come classe. Anche noi dobbiamo fare così: difendere tutto il salario (sia quello diretto, che quello indiretto – cioè i servizi sociali – che quello differito – cioè le pensioni) e tutti i diritti che ci sono rimaste. Ma non per “conservarli” per pochi, ma per allargarli anche a chi non ne ha! Questo vuol dire pensare a “noi” come classe: mettere davanti a tutto gli interessi collettivi e non della propria generazione, della singola categoria, compartimento, azienda o addirittura del singolo individuo!
Ancora una volta la stessa borghesia ci insegna come fare: quando a rischio ci sono i suoi interessi, si mobilita unitariamente, in maniera fortissima, a livello internazionale, pensando al suo interesse complessivo, come classe. Anche noi dobbiamo fare così: difendere tutto il salario (sia quello diretto, che quello indiretto – cioè i servizi sociali – che quello differito – cioè le pensioni) e tutti i diritti che ci sono rimaste. Ma non per “conservarli” per pochi, ma per allargarli anche a chi non ne ha! Questo vuol dire pensare a “noi” come classe: mettere davanti a tutto gli interessi collettivi e non della propria generazione, della singola categoria, compartimento, azienda o addirittura del singolo individuo!
Come farlo?
È evidente che non possiamo aspettare i tempi, le concertazioni e le finte partenze dei sindacati o “subire” le scadenze rituali. Dobbiamo iniziare da subito ad organizzarci, direttamente, indipendentemente dalle appartenenze. Dobbiamo stare in tutte le mobilitazioni in difesa dell’articolo 18, appoggiare tutti i momenti di possibile ricomposizione. Nonostante la riforma dell’articolo 18 sia solo UN aspetto della riforma del lavoro, per l’importanza che riveste è LA questione su cui tutti dovremmo lavorare nelle prossime settimane. Anche perché il Governo ci detta i tempi: un mese e i provvedimenti saranno approvati…
Nel nostro piccolo…
Secondo noi una delle prime cose da fare è prendere parola collettivamente, come classe. Avete fatto caso che tutti – padroni, economisti, giornalisti, politici, dirigenti sindacali – stanno parlando dell’articolo 18, tranne noi, gli unici che subiranno queste misure? Non solo: in questi mesi la voce dei lavoratori è stata fatta sparire. Il nostro primo compito è di farla sentire, di portarla nel dibattito pubblico. Sia per fare arrivare il messaggio alla nostra controparte, per dirgli che non siamo addormentati e cercare di spaventarli un po’ - in fondo sono codardi... Sia per fare pressione sulle dirigenze locali dei sindacati e fargli capire che sull’articolo 18 devono fare casino. Se iniziamo a dire chiaro e tondo quello che ne pensiamo, altri lavoratori prenderanno coraggio e ci seguiranno!
Anche per questo vogliamo mettere su – in brevissimo tempo – una videoinchiesta che faccia sentire la voce dei lavoratori. Perciò chiediamo a tutti voi semplicemente di farvi intervistare. Dovrete rispondere ad una semplice domanda: cosa ne pensate dell’attacco all’articolo 18? Potete anche mandarci brevi messaggi tramite mail o su FB, noi pubblicheremo tutto. Una volta terminata questa videoinchiesta, che speriamo sia ripresa in tutta Italia, la faremo girare ovunque, su tutti i canali che troviamo, per rompere questo muro di silenzio. Per mettere in campo con tutti quelli che ci stanno una serie di iniziative di confronto e di lotta che sappiano coinvolgere la maggior parte della popolazione.
Presto, perché di tempo ce n’è rimasto poco… Ma li abbiamo sconfitti già una volta possiamo farlo ancora!
Presto, perché di tempo ce n’è rimasto poco… Ma li abbiamo sconfitti già una volta possiamo farlo ancora!
Eat the Rich – Magnammece o’ padrone!
Collettivo Autorganizzato Universitario - Napoli
Lavoratori della metropoli in lotta CLASH CITY WORKERS
Collettivo Autorganizzato Universitario - Napoli
Lavoratori della metropoli in lotta CLASH CITY WORKERS
12 commenti:
Sono brunaccio.
Impeccabile questa analisi, a cui non ho nulla da aggiungere e da cui bisogna trarre insegnamento.
Vedo solo che non siamo i soli a cercare di connettere le lotte dal basso...e questo non può che darci coraggio!
Devo ammettere che trovo curioso sentir parlare di "padrone" nel 2012... Sicuramente, il linguaggio e il punto di vista di questo articolo è anacronistico, surreale direi.
Forse qualche anno di storia economica e sociologia in più, avrebbe dato quel tocco di oggettività in più all'autore, che con questo articolo convince ben poco chi, come me, ha una visione più moderna delle cose.
Detto ciò...
Anche io non sono a favore dell'abolizione dell'articolo 18, tuttavia, nella empiricità dei fatti (statistiche)solo una quota davvero esigua di lavoratori si avvale dell'istituto del reintegro e la cosa mi sembra decisamente ovvia.
Chi tornerebbe a lavorare in un luogo dove solo grazie ad una sentenza ha ripreso il proprio posto?! Come si vivrebbe li dentro?
Sono uno studente, lavoratore, e mi auto finanzio di conseguenza i miei studi e la mia vita. Ovvio, sono uno stagionale, ho un contratto a chiamata senza diritto di indennità , ma in realtà faccio 10 ore al giorno, tutti i giorni, e il fine settimana faccio il doppio turno; non ho il giorno libero, e ho solo 3 giorni a Giugno in cui posso dare i miei esami.
Come vedi, penso di essere molto più precario io che molte altre persone, e lavoro molto più io che i vostri operai.
Ipse.
Inizio dalla tua parte finale, quella del tuo panegirico verso te stesso, perchè poi alla fine è esemplificativa di tutto il tuo intervento.
Saresti da ammirare (sempre facendo a fidarsi perchè sul net uno può anche dire di essere l'uomo ragno...) se non fosse che il tuo autoincensamento denota la classica mentalità da guerra tra poveri...'Io sono PIU' precario di molti' 'lavoro MOLTO PIU' io dei vostri operai'.
Ed è proprio la guerra tra poveri quella maentalità che ha permesso ai padroni (a proposito, sei il primo lavoratore 'da 10 ore al giorno con doppio turno nel week end senza giorno libero' che sente obsoleto questo termine...beninteso sempre ammesso che quanto dici corrisponda a verità) di tagliare tutto ciò che era da parlare...insomma, riprendendo Malcolm X, hai un po' l'attitudine mentale del loro 'negro di casa'.
Se questa è la tua 'modernità' (a proposito la modernità è finita...i tuoi studi non ti hanno nemmeno insegnato che siamo nella postmodernità che è sostanzialmente disgregazione su se stessa della modernità e dei suoi ideali di conciliazione tra le parti sociali e di patto tra esse) tienitela pure, anche perchè buttare là frasi generiche è lo sport nazionale del chiacchierone e su questo spazio si vorrebbe evitarlo...
Insomma, il tuo padrone sarebbe fiero di te e dei tuoi studi di scienze economiche, che anche questi, visto che non porti argomenti, restano al livello della pura chiacchiera.
Sul reintegro.
Hai ragione -è la stessa cosa del diritto al reintegro degli stagionali...tu che dici di esserlo sicuramente saprai di che parlo-: è dura rientrare dove non sei benvoluto al lavoro.
Ma questo non può essere certo un veicolo per togliere un diritto.
Semmai, se non si ragionasse in base allo schema guerra tra poveri, si dovrebbe subito pensare a come evitare il mobbing padronale.
Ah...ma non sono 'padroni', anche il loro fare mobbing è una mossa democratica e tollerante che solo noi che non abbiamo studi di scienze economiche non riusciamo ad afferrare...
Insomma, argomenti pochi, molto pochi oltre le affermazioni soggettive di autoelogio...
Ovvio era 'tagliare tutto ciò che era da tagliare' e non 'da parlare'.
Oh caspita! No davvero, non autoelogio..! Sarebbe autoelogio, se fossi felice di ciò che faccio e come vivo, ma non lo è. Non dico certo di non essere frustrato.
Mi hai strappato un sorriso al punto: "negro di casa" :)
Inoltre era davvero tanto che non leggevo quel sottile sarcasmo non poi tanto mascherato che usi, è lo trovo piacevole.
Non so cosa intendi per "frasi generiche" o "pura chiacchiera". Ero qui per parlare del tuo articolo no? Non di me, ho descritto a grandi linee la mia figura, per poter definire il tipo di persona che sono e per darti un "volto" di me. Se vuoi in privato posso darti anche la mia matricola...:)
Detto ciò torno all'articolo.
Parte: "Ed è proprio la guerra tra poveri quella mentalità che ha permesso ai padroni [...]"
Sono il primo ad ammettere (nella mia piccola situazione lavorativa) che con grande ostinazione il datore usi sfacciatamente e senza ritegno il divide et impera. E su questo hai ragione ricollegandolo alla "guerra fra poveri" situazione assolutamente ben spiegata da Marx nel passo sull'alienazione, ossia, l'uomo è alienato anche verso gli altri uomini, in quanto in competizione sfrenata con essi, al fine della sopravvivenza. [Non l'ho citato testualmente, odio imparare a memoria].
Ma non era questo che volevo dire quando ti ho detto della mia condizione, l'ho fatto per farti capire che io meglio di molti altri posso comprendere tutto ciò, tutta la situazione.
Parte: "[...]che sente obsoleto questo termine..."
Non accetto il termine padrone, in quanto mi reputo un uomo libero, davvero libero, e non faccio della retorica. E sì, questo è il mio monte ore tipico e medio delle ultime 5 stagioni. Ora mi trovo in una situazione in cui per lui, sostituirmi è un grande problema:
economico: in quanto le conoscenze sulla clietela, del locale, del lavoro in sè, per farle fare da qualcun altro, si necessiterebbe di almeno 2-3 persone (ok, ora sto peccando un po' di superbia, ma concedimelo!) e quindi un problema organizzativo di conseguenza.
Aver accettato una servitù in queste stagioni, già altamente incompatibile con la mia indole, mi ha fatto ora guadagnare una posizione più forte nei suoi confronti (contrattualmente anche se come dico sempre lavoro comunque in grigio) che ha portato (e lo so, anche io ammetto che è pessimo come fattore ma...) ad un aumento retributivo stile taylorista in questi anni eni miei confronti... aumento che di certo non mi ripaga del danno psicologico, o che comunque non appaga la mia personalità (come ci insegnano i Motivazionalisti).
Parte: "[...] la modernità è finita"
Gli Inglesi direbbero: "citation needed" o meglio, direi io, gli studi non me lo hanno insegnato, forse perchè sono soltanto putti di vista, e tu hai il tuo e io ho il mio. Ma alla fine, posso dire che la tua concezione di post modernità non è poi lontana dalla mia, che tu ci creda o meno.
Parte: Ah...ma non sono 'padroni', anche il loro fare mobbing è una mossa democratica e tollerante che solo noi che non abbiamo studi di scienze economiche non riusciamo ad afferrare..."
Qua sei stato un po' scortese, consentimi di dirtelo. In quanto non mi sono mai permesso nella mia vita, di dire a qualcuno "che non poteva capire certe cose". Uno dei miei migliori amici, è apprendista meccanico, ha sputato sangue per farmi capire il funzionamento di alcune particolari valvole... ed io di mio, invece, ho fatto molta meno fatica ha spigargli un concetto quale la cartolarizzazione.
Quindi ti prego, dimmi qualsiasi cosa, ma non accusarmi di una cosa del genere poichè ti assicuro che non è così.
FINE: chiudo innanzitutto facendoti notare, come a volte, in situazioni difficili, non si possa far altro che credere in se stessi e spezzarsi la schiena, e da ciò deriva quasi come conseguenza diretta, un rafforzamento del proprio orgoglio personale, positivo o negativo che sia. Ma il mio non era un autoelogio, come ti ho scritto nella premessa, e spero tu sia riuscito a capire cosa davvero ti voglia dire a riguardo.
PS. Domani ho l’esame di Diritto del lavoro. Terrò bene a mente quanto appreso qui..! ;)
Ipse.
La modernità è finita sotto tanti punti di vista, primo dei quali è il discorso del crollo della sovranità nazionale, mentre sullo Stato Nazionale e la sua formazione la modernità è nata.
Ovvio che cadendo la sovranità nazionale, cade anche tutto il discorso del patto sociale capitale/lavoro e si apre il discorso del Capitale (nelle sue diramazioni...capitale finanziario sopra quello produttivo) contro l'Umanità.
Citazioni? Potremmo partire dal sucomandante Marcos, passando per Negri e arrivando a Lyotard da un punto di vista più filosofico e culturale (quello della rappresentazione unitaria).
Sul discorso del 'padrone', è qui che è nato il mio astrio, quando scrivi che definirli tali è surreale e indietro con le scienze economiche, poi vengo a scoprire che è semplicemente un fatto di sensibilità che in quanto tale non autorizza quel senso di superiorità intellettuale che c'era nelle tue parole.
Peraltro ora ho capito che i ritmi del lavoro a cui ti riferisci riguardano la stagione estiva, e non l'intero anno e trovi uno che di stagioni ne ha fatte una marea, dunque ora capisco quel che intendi.
Io continuo a chiamarli 'padroni', perhè, al di là della sensibilità, la mano che dà non è mai alla stessa altezza di quella che riceve e chi definisce l'intensità e la scansione del tuo tempo lavorativo inevitabilmente determina ritmi e qualità del tuo tempo libero, e quindi incide sull'intera tua esistenza.
Ovvio che esistono padroni umanamente migliori e anche padroni poveri, perchè nel sistema il ruolo sociale non è determinato dal censo ma dal ruolo che si ha nella struttura produttiva e un padrone impoverito resta sempre un padrone.
Vedi che di motivi, al di là della sensibilità personale e delle singolarità individuali che come tali non sono generalizzabili e dunque non sono oggetti di nessun tipo di scienza, per chiamarli padroni ce ne sono?
E per uno che lavora duramente e studia credo che sia facile capire cosa intendo.
Se solo ti fossi espresso con maggior rispetto e avessi parlato come ora, senza parlare di termini surreali ecc..., anche io sarei stato più cortese.
Ma scrivi come se ci conoscessimo...ci conosciamo?
In ogni caso, in bocca al lupo per domani!
Ah, ah ,ah.
Uno che dice che trova anacronistico e curioso sentir parlare di padroni....
Eh già i padroni non ci sono piu', ora ci sono i "datori di lavoro".
E chi l'ha detto che i padroni non ci sono piu'?
Chi ti fa lavorare 10 ore al giorno per poterti mantenere gli studi, chi ti fa lavorare "a chiamata" (si potrebbe dire a fischio che tanto è lo stesso), chi ti costringe a dover lavorare duramente in modo assolutamente precario, chi non ti da e darà mai un minimo di sicurezza nel futuro, che ha in mano la tua vita, i tuoi affetti, chi con un si od un no può cambiarti l'eistenza, tu come lo chiami?
Quello è padrone della tua vita, caro mio. Ed a nulla giova chiamarlo diversamente, serve solo a confondere le acque. A nulla giova dire che tu hai il libero arbitrio: hai lo stesso libero arbitrio di un pece rosso in un acquario.
E quel che piu' è grave è che sono i moderni schiavi stessi che non se ne accorgono, che anzi gratificano i loro padroni quasi di riconoscenza. I casi sono sempre due: o soffrono della sindrome di Stoccolma oppure, in cuor loro, ambiscono a diventare anch'essi padroni od a sostituirsi a lui.
Noi comunisti, brutta razza per nulla arrendevole, continuiamo a pensare che esista, e sia piu' evidente che mai, un insanabile conflitto tra capitale e lavoro. E combattiamo per abbattere lo stato presente delle cose, non ci rassegniamo. Anche perchè noi, senza i padroni, stiamo benissimo, ma loro che farebbero senza di noi?
@Brunaccio
Non non ci conosciamo..! Ma è stato un piacere conoscerti qua. E da ora frequenterò più assiduamente questo blog.
L'esame ho preso 28! ;) Proprio sull'A.18, avrei potuto fare di più, vedrò di riscattarmi.
@Ilic
Perdonami, ma ho sempre fatto fatica ad accettare gli estremisti politici. Come faccio fatica a sopportare quelli che non lo so. No, non sto facendo un ossimoro.
Tuttavia, ad oggi, faccio fatica a dover per forza guardare chi (e nel modo più assoluto non parlo di te, non ti conosco ;) ) "sputtana" il pensiero di Marx [di cui ho praticamente letto, nonchè studiato quasi tutto].
Ti dico ciò in via di premessa, per farti capire che parto con un po' di pregiudizio nei tuoi confronti. :)
Tornando a quanto hai scritto... In particolari situazioni forse è come dici tu, il datore assume il ruolo di padrone in virtù di quel potere che sotto elenchi con molta minuziosità.
Nel mio caso, e parlo di me visto che sarebbe difficile generalizzare, non sono libero "come un pesce rosso" [e anche tu qui mi hai strappato un sorriso :)], in quanto on avendo famiglia ed essendo solo, non ho problemi ad andare via, se non quello di perdere dei "diritti" che ho guadagnato negli anni. [un po' stile anni 50-60 prima che la legge arrivasse a regolare tutta la parte sul lavoro dando alla Costituzione le sue leggi "attuative"].
Discorso totalmente diverso immagino, se una persona avesse famiglia. Da quello che scrivi, mi viene da pensare che effettivamente, una persona che non ha solo se stesso come responsabilità, è molto meno libero [o molto più prigionierio?] di chi a persone a carico. In quella situazione, il datore [padrone --> così seguo il vostro filo] volente o nolente ha già molto più potere e se in più non è neanche tanto "Illuminato"...beh, lo scenario penso possa avvicinarsi molto a quello da te descritto.
Altra cosa, ho il contratto a chiamata, ma solo di facciata. Come dicevo a Brunaccio, lavoro come se avessi un contratto a tempo determinato e tempo pieno.
Poi... Sai, adesso che mi ci fai pensare, un po' o forse un po' tanto, comincio a legarmi allo chalet in cui lavoro ma non penso sia la Sindrome di Stoccolma [ed anche qui mi hai sorridere :)] però.. però mi sono legato ai clienti di sempre, ho visto di anno in anno crescere i loro figli...e quando sto solo al locale, in effetti lo sento un po' mio... ;) Quindi devo dedurre che inconsciamente vorrei subentrare al mio padrone per diventarlo io a mia volta... ahah chissà, il futuro penso sia talmente incerto, che solo in parte lo so possa prevedere o organizzare.
In riferimento alla tua frase di chiusura. La risposta alla tua domanda è ovvia, o forse no?! Dovendo fare l'avvocato del diavolo, direi che la risposta è meno ovvia di quanto sembra. Io penso sia una condizione quasi simbiotica, fra capitale e lavoro, in cui l'uno non può fare a meno dell'altro se si vuole tenere un equilibrio. Penso tuttavia che lo stesso equilibrio di cui vi sto parlando, non ci sia ogni qualvolta l'una o l'altra sfera cresca a discapito dell'altra.
Infine, essendo un grande appassionato di Marx, posso davvero capire a cosa tu alludi. Quando con i miei amici, arrivo a questi discorsi, dico sempre una cosa:
"Se fossimo in Utopia, la città che non c'è...." non lo dico con disfattismo o disprezzo, forse talvolta lo dico proprio con speranza, ma lo dico, in modo da delineare la realtà dei ragionamenti che faccio.
Però io credo nella democrazia...faccio fatica a credere ad altre forme di espressione dell'uomo. [Nonostante tutti i difetti che la Democrazia ha.]
@Entrambi:
Sapete, alcuni sociologi, che fanno riferimento alla corrente motivazionalista (Teoria delle Risorse Umane), enunciavano un principio molto interessante: Ci sono uomini, che soffrono la maglia stretta della propria situazione lavorativa, che sentono oppresso il proprio carattere, la propria creatività, la propria energia e sono questi gli uomini su cui bisogna agire andando a toccare punti quali l'arricchimento delle mansioni e la maggiore libertà nel far fare loro il proprio lavoro. Tuttavia, ci sono uomini, che stanno bene dentro la medesima maglia, che si sentono al sicuro, al riparo e al caldo, questi uomini, non voglio essere tolti dalle loro mansioni dalla loro quotidianità, non trovano stimolo nell'essere promossi a responsabilità maggiori, e spesso evitano proprio di essere proposti.
Questi sociologi mi hanno fatto riflettere molto ultimamente... vi suggerisco di leggerli sono molto interessanti: gli esponenti più importanti sono Herzberg, Likert, Argyris.
Sono sicuro che vi daranno grandi spunti di riflessoine come li hanno dati a me. ;)
P.S. Le biblioteche sono piene di questi libri di questi autori che nessuno legge, non dovreste avere problemi a trovarli!
Ipse.
Alcuni spunti, perlomeno dove il tuo discorso riguarda me; Ilic magari risponderà quando può.
Dico solo che non ha senso per me parlare di estremismo (essendo un comunista e militante di collettivi e movimenti sono un 'estremista' anche io), perchè è proprio il capitalismo il sistema più estremista che l'Uomo abbia mai concepito e non è certo la democrazia formale a renderlo differente.
E vedo di spiegare perchè dico questo.
Il tuo citare il motivazionismo mi fa vedere come nemmeno tu sia uscito dal clichè in cui oggi continuano in molti, anche a sinistra, ostinatamente a credere: il mito della produttività e della 'crescita', modello di sviluppo positivista che ha inficiato di sè gli ultimi due secoli di storia economica (nel capitalismo come nel comunismo) e che oggi mostra più che mai di essere davvero una bussola rotta.
Oggi un europeo medio vive e consuma come se ci fossero due pianeti, uno statunitense tre mentre le condizioni diperate di vita del Quarto mondo hanno per ora evitato, sulla pelle di chi ci vive, la catastrofe ambientale.
Ma questo modello di sviluppo non può continuare all'infinito pena la distruzione dell'ambiente e dunque di noi stessi.
E infatti la crisi che viviamo oggi non è certo una crisi di sottoproduzione, ma è titpicamente una crisi finanziaria che si sviluppa su una chiusura dei mercati, l'esatto opposto della necessità di ampliare la produzione.
Per cui non è certo questo il tempo di incentivare la gente a faticare di più, ma sarebbe semmai il tempo di una nuova politica industriale e dei consumi, anche perchè l'ambiente è poi ciò che consumiamo.
E a questo punto bisogna riflettere su un altro dato: l'automazione.
Le capacità umane di fabbricare macchine capaci di aiutare il lavoro dell'Uomo, teoricamente ridurrebbero sempre di più il tempo di lavoro e fatica mantenendo invariata la produzione, ed è proprio dalla fine dell'operaio-massa che il Capitale ha potuto scardinare man mano il patto col Lavoro perchè aveva abbastanza macchine e un vasto esercito di riserva di poveracci, e le grandi migrazioni iniziano proprio parallelamente allo scardinamento dei diritti del lavoro in quanto meno diritti con tanta domanda di lavoro porta ad abbassarne il costo, meccanismo di guadagno su cui i padroni, in mancanza di alternative dei mercati aperti, investono ideologicamente sempre di più per continuare a guadagnare: privatizzare gli utili e socializzare le perdite, come si dice.
A questo punto...con le capacità che la tecnica ci offre, davvero oggi (in sintonia con Marx che vedeva il comunismo possibile solo dove il capitalismo fosse giunto al suo gradi massimo di svilupppo e dunque di contraddizione e il fatto che sia proprio l'ecosistema ad essere a rischio sembra mostrare che le contraddizioni ultime siano arrivate) non ci sarebbe più bisogno del padrone per gestire e pianificare un'economia in cui non c'è bisogno di correre verso la produzione e lo 'sviluppo continuo' e in cui il reddito si possa distribuire diversamente dal mero mercato della domanda ed offerta di lavoro.
Sono spunti di utopia?
Può essere, ma è l'unica utopia percorribile perchè l'utopia è come l'orizzonte, esso non si raggiunge mai ma serve ad indicarci la via per scoprire nuove porzioni di Cielo.
Pensare invece che l'istituto della democrazia formale (che peraltro è ormai crollata come mostra l'imposizione della Trojka sui Governi nazionali, cosa che ci mostra come purtroppo questo istituto stia finendo con la modernità stessa che lo ha partorito riprendendo il discorso di ieri) possa risovere una crisi strutturale e di sistema di queste proporzioni è altrettanto utopico, anzi è cattiva utopia perchè crede di vedere l'orizzonte dove non è.
Estremismo? Io preferisco chiamarlo radicalismo politico.
Oggi, col crollo della modernità (e nel corso di questa risposta credo di averti portato nuovi spunti su quel che intendo), dunque della sovranità nazionale, della necessità di produrre, del partto Capitale/Lavoro, del rapporto tempo di lavoro/tempo libero (ormai in molti settori il lavoro copre, a tranche, l'intera giornata per chi lavora ad esempio nelle cooperative sociali, mentre molti hanno tantissimo tempo e poco reddito)portare le categorie che tu porti secondo me vuol dire non aver capito la novità storica, e paradossalmente chiamare 'padrone' il 'padrone' non è un ritorno all'ottocento (il liberismo classico) ma accorgersi che esiste un neoliberismo che si innesta su una crisi produttiva e di mercato insieme a capacità di automazione enormi (dati che nel liberismo classico non esistevano)tali da farci rivedere completamente le categorie con cui leggevamo la realtà, compresa la necessità di motivare la gente a faticare e produrre all'estremo perchè ciò non solo non è più necessario ma addirittura controproducente.
Per cui se oggi sono i padroni ad aver bisogno del lavoro (o meglio della competizione al ribasso tra chi ha bisogno di lavorare) forse il lavoro può benissimo, e ho spiegato perchè vedo nell'oggi e nell'immediato futuro il momento più idoneo, il kairos di Machiavelli e Negri, a questa situazione- svilupparsi fuori dal sistema capitalista e dal mercato come regolatore ultimo.
Posta un commento