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sabato 21 luglio 2012

Riviera, l’estate dei nuovi schiavi: “Noi, sottopagati e con contratti fasulli”


Pubblichiamo di seguito l'articolo apparso oggi nella home del Fatto quotidiano, articolo nato da alcune video interviste registrate martedì 17 luglio a Rimini dalla giornalista Antonella Beccaria. Interviste e contributi che hanno visto protagoniste le soggettività territoriali che da anni lavorano intorno all'emersione e alla denuncia del lavoro gravemente sfruttato nell'industria turistico/stagionale della riviera romagnola. Realtà che hanno contribuito ad aprire recentemente un dibattito all'interno del consiglio comunale con proposte concrete (reddito di sostegno per gli stagionali, marchio di qualità, rete di controlli) con il risultato che a settembre si terrà un consiglio comunale aperto sull'argomento. GlobalProject da spazio da diverso tempo ai contributi esterni di queste realtà, contributi e iniziative che aiutano a diramare la matassa sempre più vischiosa di un modo del lavoro non solo precario ma connotato sempre più da forme di sfruttamento e di assogettamento totale dei lavoratori e delle lavoratrici alle imprese, alle aziende e ai datori di lavoro quali paradigmi delle nuove modalità di organizzazione del lavoro al tempo della crisi e in quella che fu la ricca Europa e non la Cina più remota. Queste lotte estive rimandano anche ad una riflessioen più generale, la riforma Fornero appena entrata in vigore, infatti, incentiva ulteriormente questi processi e aggredisce anche gli ammortizzatori sociali con l'Aspi e la Mini aspi.

Riviera, l’estate dei nuovi schiavi: “Noi, sottopagati e con contratti fasulli”

dal Fatto quotidiano del 19 luglio 2012 - di Antonella Beccaria

Il racconto dei giovani costretti a turni massacranti e sottopagati. La difesa dell'associazione albergatori di Rimini: "Ci sono casi, ma isolati". Ma le associazioni rilanciano: "Il problema è così serio che non possiamo più combatterlo da soli"

Sono giovani, con un’età che arriva nella maggior parte dei casi ai 40 anni. E sono sia italiani che stranieri, un esercito di lavoratori in nero (in toto o in parte) che, nel comparto del turismo sulla riviera romagnola, condividono situazioni analoghe, con paghe orarie che variano dai 3 ai 4 euro e turni che possono raggiungere le 15 ore al giorno (per tutti tra le 80 e le 90 ore a settimana). Per Patrizia Rinaldis, presidente dell’Associazione italiana albergatori (Aia) di Rimini, sono “casi limite che non rispecchiano il nostro turismo”. Per altri, invece, il “lavoro gravemente sfruttato è un fenomeno talmente epidemico che non possiamo segnalare un datore di lavoro piuttosto di un altro: lo fanno tutti”.
Ad affermarlo sono due realtà che da anni lavorano a fianco degli stagionali. Sono il comitato Schiavi in Riviera e l’associazione Rumori Sinistri che nelle settimane scorse hanno collaborato con il consigliere riminese Fabio Pazzaglia della lista Fare Comune a un’interpellanza contro lo schiavismo nel turismo. Scopo è quello di arrivare a settembre a un consiglio comunale tematico in cui trovino spazio le voci dei lavoratori, quelle che denunciano condizioni di mancato rispetto dei contratti nazionali di categoria e un uso “disinvolto” di strumenti ad hoc, come i contratti a chiamata.
“Parlare di questo argomento in riviera è difficile”, dice Pazzaglia. “Si pensi che a Rimini ci sono 40 vigili che devono controllare gli ambulanti abusivi e solo 2 che invece devono occuparsi delle condizioni dei lavoratori in alberghi, ristoranti o impianti balneari”. Gli ispettori del lavoro che girano sono 23, “ma non sempre sono nelle condizioni di rilevare reali abusi da parte dei titolari degli esercizi”, spiega Marco, uno degli attivisti di Schiavi in Riviera. Trentatreenne, conosce bene il settore dato che “ho cominciato a lavorare come stagionale a 15 anni e ancora oggi ho bisogno di arrotondare per arrivare a fine mese. Così la sera faccio il cameriere”.
Marco ha iniziato nel 2008 a “fare squadra” con altri colleghi – oggi il gruppo è composto da una decina di attivisti e da un centinaio di sostenitori – e spiega che per “aggirare i controlli, i lavoratori sono istruiti a dire che è il loro primo giorno, hanno preso servizio da un’ora o da due e che non conoscono nessuno degli altri”. Il meccanismo, secondo gli attivisti romagnoli, è quello dell’abuso del contratto a chiamata, conosciuto anche come contratto di lavoro intermittente. “Avvalendosi male di questo strumento”, prosegue il giovane romagnolo, “i versamenti contributivi sono quasi inesistenti, non si ha diritto a indennità di disoccupazione e si può essere licenziati facilmente”.
E come se non bastasse, nel pieno della stagione, si viene “chiamati” tutti i giorni. Mauro, 19 anni, vive a San Mauro Mare e da quando ne aveva 14 d’estate fa il barista nei bar sulla spiaggia o in birrerie la sera. “Succede che possa lavorare ben oltre i giorni pattuiti e vengo avvertito all’ultimo momento. Ma può succedere anche il contrario: se c’è maltempo mi dicono via sms che me ne posso stare a casa. Il messaggio può arrivare alle 7 del mattino, dopo che ho lavorato fino alle 2 e che mi sono già svegliato per riprendere. Quest’anno ho fatto un colloquio in un pub: volevano che lavorassi tutte le notti senza contratto per una paga di 3 euro all’ora. Ho rifiutato”.
Claudio di anni ne ha 24, è di origine campana ma vive da tempo a Rimini e fa il cameriere in una pizzeria. “Il contratto a chiamata per me vale sempre, prendo un migliaio di euro al mese e in una settimana posso fare fino a 90 ore”. L’unica storia, tra quelle raccolte, con un esito positivo è quella Tommaso, 26 anni, un ragazzo riminese che lavora nel salvataggio. “Prima ero in un officina meccanica”, dice, “e quando sono rimasto disoccupato ho pensato di fare la stagione. Mi hanno preso ufficialmente per 6 ore e 20 minuti al giorno. Invece ne facevo almeno 8 e quando ho avuto un lutto in famiglia i miei datori di lavoro stentavano a lasciarmi i giorni per il funerale e per stare con i parenti. Allora ho iniziato a informarmi sui miei diritti e ho minacciato una vertenza. A quel punto mi hanno regolarizzato e regolare lo sono ancora oggi. Ma non tutti nel mio impianto lo sono”.
Laura, 40 anni, oggi fa la guida turistica, ha un contratto come si deve, ma del suo precedente lavoro in un hotel di Rimini non ha mai visto neanche un soldo. “Ero regolarizzata per il 30% di quello che in realtà lavoravo, il restante stipendio mi veniva dato in nero. All’inizio ho accettato perché avevo bisogno di denaro, ma poi passa il primo mese e non mi pagano, passa il secondo e la situazione è la stessa. A quel punto mi sono rivolta a chi poteva assistermi nell’avere quello che mi spettava. Durante una manifestazione davanti all’albergo, però, con sono stata aggredita a parole e non solo”.
Quello del passare dall’abuso contrattuale all’aggressività verbale e fisica è un nodo che segnala anche Manila Ricci dell’associazione Rumori Sinistri. “Il problema è nel complesso così grave che non possiamo più gestirlo come gruppo di volontari. Sta dunque partendo una campagna che prevede anche l’attivazione di una linea telefonica perché i lavoratori para-schiavizzati vanno oltre la stagione estiva e c’è un bisogno costante di supporto specialistico. Occorre rompere il meccanismo di omertà e il sistema del lavoro schiavistico del turismo”.
Un sistema che, se per gli italiani è drammatico, lo è ancora di più per gli stranieri, soprattutto donne comunitarie che arrivano dalla Romania. I migranti sono sotto ricatto anche per il posto letto compreso nel “pacchetto” lavorativo (se protestano, l’alloggio rischia di saltare) e nel 2011 l’associazione Rumori Sinistri ha ricevuto 198 persone allo sportello antisfruttamento. Di queste 174 erano romene e 142 hanno pagato agenzie di intermediazione italiane con uffici nei Paesi d’origine. Il prezzo per lavorare a condizioni estreme in Italia si aggira sui 600 euro per i cittadini comunitari, ma può arrivare a 1700 per chi viene da nazioni extra Unione europea.
Quattro di queste lavoratrici, tutte romene, hanno però reagito e attraverso l’associazione hanno ottenuto il supporto di un avvocato romagnolo, Raffaele Pacifico, che in tarda primavera ha presentato una denuncia alla procura della Repubblica di Rimini per riduzione in schiavitù e mobbing. “Ho raccolto i loro racconti in lingua originale e poi li ho fatti tradurre”, spiega il legale. “Sono racconti crudi che parlano di avanzi di cibo da mangiare con gli animali domestici dei titolari degli alberghi, di giorni di riposo mai concessi e di assenze per malattia negate. Avendo pagato per venire in Italia a lavorare, queste lavoratrici non potevano tornare nel loro Paese prima della fine della stagione. Ora i magistrati sono in fase istruttoria e stanno valutando tutta la documentazione che ho allegato alla denuncia, certificati medici compresi”.
Mentre il consigliere Pazzaglia e le associazioni di lavoratori chiedono che si arrivi a un “certificato di qualità” che attesti il rispetto degli operatori del settore per contratti e condizioni di lavoro, l’Aia respinge le accuse e dice che non si tratta di una situazione generalizzata. “Casi ce ne sono”, spiega ancora la presidente De Rinaldis. “Il figlio di una mia collaboratrice, per fare il bagnino, ha preso 50 euro per dieci giorni, è una vergogna, prenderei chi lo ha trattato così a calci nel sedere”. La rappresentante degli albergatori è in realtà ancora più esplicita quando parla di questo episodio, ma aggiunge riferendosi al comparto: “Vorrei andare io dai sindacati a dire che c’è personale in eccesso che non fa niente e che rifiuta di spostarsi per esempio dalle cucine ai piani se in cucina non c’è nulla da fare e invece serve una mano altrove”.
E insiste a parlare di “situazioni limite, da non difendere, certo, ma comunque marginali”. Ma limite o meno che siano queste situazioni, i lavoratori sfruttati potrebbero bussare alla porta dell’Aia trovando un interlocutore che intervenga per sanare ciò che sano non è? “Non è questo il nostro lavoro”, risponde Patrizia De Rinaldis. “Ci sono delle regole che devono essere rispettate, ma sono altri gli organi che lo devono fare. Personalmente faccio convegni e corsi per ribadire quali sono queste regole. Le verità è che noi per primi subiamo la concorrenza sleale di chi sfrutta i lavoratori usando forme di flessibilità estreme che mettono a rischio a 80 mila posti di lavoro nel settore”.

La foto dell'art. fa parte della Mostra Fotografica "14storie e 1000dignità calpestate" realizzata e curata da Melissa Cecchini per l'Ass. Rumori Sinistri

10 commenti:

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO.

Lavorando da anni ed anni nel settore, devo dire che queste sono dinamiche che vanno avanti da tempo.
Personalmente ho il contratto a tempo determinato comprensivo di tfr (una rarità nel settore, di solito i padroni se lo intascano), ma devo dire che negli ultimi anni la situazione è peggiorata, nel senso che le paghe sono sempre più basse e le forme contrattuali sempre più indegne, come qua viene spiegato molto bene.

Continuo a dire che la precarizzazione dei lavori garantiti (la fabbrica, ad esempio) è nè più nè meno che l'applicazione dello stile contrattuale e lavorativo di situazioni come la ristorazione o le cooperative o i supermercati ad altre fasce della società.

Ciò che mi fa rabbia è che la Fiom così 'antisistema' da quando la ristrutturazione capitalista ha toccato loro (mai prima...in buono stile italiano), non si sono mai interessati realmente di questa situazione e del precariato in generale; hanno solo fatto finta ai tempi di 'uniti contro la crisi' per mere ragioni di bottega ed ora sono tornati a fregarsene, in perfetto stile da aristocrazia operaia che guarda a chi ha lavori più sfortunati un po' dall'alto in basso.

Anonimo ha detto...

una realtà che conosco anche io, non direttamente ma perchè conosco chi lavora nel settore...tristissima,
uno sfruttamento a volte vergognoso...
roberta

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO.

Vorrei dire che secondo me c'è bisogno di una piccola precisazione: il contratto a chiamata permette la disoccupazione ridotta se vengono fatti 78 giorni lavorativi; non è invece possibile prendere l'ordinaria (52 settimane lavorate, in pratica un anno, in 2 anni)...ma con la bassa che c'è credo che le 52 settimane in due anni di stagione siano ormai roba rara.

Resta -se non mi sbaglio ma l'anno scorso in cui ad aprile e maggio avevo il contratto a chiamata e da giugno quello determinato continuato le giornate a chiamata mi sono state contate- tutto quello che è scritto lì resta ed è sacrosanto.

Tutto quel che l'articolo testimonia io l'ho visto accadere negli anni (compresi certi atteggiamenti violenti di alcuni padroni), e personalmente ho visto anche buste paga superiori alle paghe, per cui fidatevi di quel che c'è scritto.

Ci sono anche padroni bravi, ma sono pochi -io ne ho trovati in tutto tre, di cui uno è quello per cui lavoro, che, nonostante il lavoro sia poco (ho già finito il pranzo, contando che abito a un minuto dal lavoro), ci permette di guadagnare senza massacrarci- : l'esatto opposto di quel che dice il funzionario, decisamente in malafede.

Anonimo ha detto...

al di là delle testimonianze, su cui non ho dubbi, secondo me è interessante il lavoro che stanno svolgendo i compagni riminesi su tale tema. L'idea di stilare una lista di attività che rispettino la dignità dei lavoratori (marchio di qualità), l'idea del reddito di sostegno per gli stagionali, l'idea di creare una rete di controllo ed auto-tutela e l'idea di portare tali tematiche in consiglio comunali sono davvero apprezzabili ed andrebbero approfondite.

massimino

Anonimo ha detto...

Sì, hai perfettamente ragione, Massi.
Brunaccio.

Anonimo ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=nTuh3Ut-0g0&feature=player_embedded#!

..da "il fatto quotidiano"

massimino

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO

La cosa sintomatica è che nei commenti al video si leggono frasi tipo 'il movimento 5 stelle unica speranza'... mi ha fatto venire in mente che il rischio è che, riprendendo il discorso di Massi di ieri, se non ci arriviamo noi compagni in questo mondo ci arriva Grillo a fare danni, come in Valsusa, anche se ormai credo che il suo impatto sociale sia molto calato.
Non c'è invece in questo settore il pericolo dell'infiltrazione nazista per il fatto che il mondo degli stagionali è pieno di migranti spesso appena arrivati, oltre a giovanissimi, anziani in pensione, persone che spesso hanno problemi sociali e hanno bisogno di soldi subito...insomma un melting pot, che è in un certo senso la poesia di questo lavoro ma anche il suo lato debole, perchè in mezzo ad età, provenienze sociali e/o etniche e culturali tra le più disparate e disomogenee è difficile creare omogeneità nelle lotte.
Ma se ci si riesce è davvero una chiave di volta: ci vorrebbe l'impegno di un sindacato di classe o di un partito di classe, ma sappiamo bene che non esistono da un bel po', per cui sarà di nuovo la lotta autoorganizzata a dover farsi carico di tutto, coi problemi ed i limiti di tempo, preparazione e soldi che l'autonomia porta con sè; anche qua, il lato poetico e assieme il limite dell'autonomia di classe, almeno fino a oggi...domani non si sa, visti i tempi della crisi.

Anonimo ha detto...

...una voce fuori dal coro...l'Occidente capitalista ha prodotto una nuova forma di schiavitù: l'uomo senza desideri perennemente insoddisfatto; naufragio dei grandi ideali collettivi...siamo tutti responsabili di come sono andate le cose e di come stanno andando...lottare senza rinunciare a certe pratiche di lavoto -consolidate solo in Italia- mi pare poca cosa e soprattutto inaffiata di ipocrisia. riflettiamoci seriamente per iniziare a dire NO...la soddisfazione dell'uomo non può essere ridotta alla soddisfazione dei cosiddetti bisogni primari. "non di solo pane vive l'uomo" recita la parola di Gesù. Il desiderio non può essere confuso con il bisogno. Se il bisogno si dirige verso il soddisfacimento dell'urgenza (come l'acqua per la sete)il desiderio porta sempre con se una povertà:non si può avere tutto, godere di tutto, sapere tutto, essere tutto. non è forse nella notte più buia che possiamo riconoscere più facilmente il punto luminoso del desiderio? può davvero continuare così? si può davvero continuare a vivere senza desiderio, senza umanizzazione della vita, senza Comunità umana?

Anonimo ha detto...

..personalmente ho ben chiara la differenza tra bisogno e desiderio..un lavoro degnamente retribuito è un bisogno!! un bisogno che mi permette di avere dei desideri..
So bene che che la vita non è fatta di bisogni primari: mangiare, bere, dormire e che se ci limitassimo a questo sarebbe la fine, purtroppo però mi piacerebbe proprio che mi si desse un'alternativa...quando ti trovi costretto a NON fare il lavoro per cui tanto hai investito, quando già il fatto di lavorare, qualsiasi lavoro sia, ti mette su un piano in cui è impossibile avere dei diritti, già solo il fatto di non arrendersi e continuare a lottare e ad avere dei desideri è il massimo che si può ottenere..speriamo di continuare a mantenere questa determinazione...

PS: io nn mi sento responsabile proprio di niente!!! in questo casino mi ci hanno messo e tento di resistere!!
massimino

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO.

Anonimo,
un po' di responsabilità c'è sempre, e su questo sono d'accordo con te, perchè noi occidentali ci lamentiamo solo quando i danni ci toccano personalmente ma se noi stiamo bene il resto del mondo può crepare di fame.
Lo dimostra la grande critica sociale che è nata con la crisi, mentre prima, finchè noi stavamo bene e parte del resto del mondo crepava di fame per colpa della finanza e del Fmi (gli stessi meccanismi che oggi sono alla base della crisi europea), nessuno tuonava contro le perfide finanziarie, le agenzie di rating e il capitalismo...o meglio, lo facevamo in pochi, considerati estremisti e fanatici da quelli che oggi si indignano perchè è finita la pacchia anche per loro.
Ti dirò di più: se oggi la crisi finisse tutti tornerebbero tranquilli e sereni e continuerebbero a fregarsi di chi, fuori dell'Europa, fa la fame.

Ciò detto c'è un punto che non mi è chiaro del tuo scritto ed è questo:

-lottare senza rinunciare a certe pratiche di lavoto -consolidate solo in Italia- mi pare poca cosa e soprattutto inaffiata di ipocrisia-

Non capisco se vuoi dire che queste pratiche di lavoro sono barbare e vanno abolite o se vuoi dire il contrario.