Pubblichiamo di seguito un contributo, la storia personale di un lavoratore di un'azienda di telecomunicazioni. La sua vicenda è il riassunto di una miriade di situazioni con le quali molti lavoratori si trovano ad avere a che fare tutti i giorni. Abbiamo scelto di pubblicare e condividere questa storia perchè pensiamo che rispecchiarsi, riconoscere la propria vita lavorativa in quella di altre migliaia di lavoratori, sia uno dei primi passi per riconoscere la comunanza del proprio sfruttamento e dei propri interessi e, da qui, cominciare ad organizzarsi per cambiare le cose.
COME COLLETTIVO DI PRECARI RITENIAMO GIUSTO CONDIVIDERE QUESTA ESPERIENZA TRATTA DA da http://www.clashcityworkers.org
La storia che sto per raccontarvi è la mia storia, la storia di un lavoratore qualunque, impiegato di un’azienda di telecomunicazioni che lavora per conto di due gestori telefonici, quello che oggi si usa definire un “precario” dei call center. Perché da questa storia si possono trarre tanti spunti, stimoli alla riflessione soprattutto per chi, in buona o in cattiva fede, crede ancora che esista una distinzione tra lavoratori “garantiti” e non.L’azienda per cui lavoro è organizzata così: si divide in un ufficio che è il vero e proprio call center in cui lavorano una cinquantina di operatori (che sono cambiati continuamente durante i miei 6 anni in quest’azienda, ormai delle 30 persone che c’erano quando sono entrato io non è rimasto più nessuno!) che hanno tutti, tranne pochissime eccezioni, un contratto a progetto (ovviamente un “progetto” che non esiste, il mio è un semplice lavoro subordinato, vincolato ad orari e gerarchie), e il mio ufficio, un back office, che si occupa della lavorazione finale dei contratti, in cui ci sono 7-8 lavoratori “storici” che hanno il contratto di lavoro a tempo indeterminato e altri 4 (me compreso) che hanno il contratto a progetto.
Stiamo ancora aspettando, io e gli altri lavoratori a progetto come me, il rispetto delle condizioni minime di lavoro, quelle che dovrebbero essere garantite a tutti, che prevedono un salario dignitoso, contributi previdenziali, ferie, malattie, maternità, diritti che conosciamo solo indirettamente e che ormai sono tristemente considerati come veri e propri “privilegi”.
Quest’anno abbiamo vissuto tutti momenti di forte tensione per la paura di perdere il lavoro. Il mese di dicembre di quest’anno è stato una vera e propria tortura, abbiamo saputo se l’anno nuovo saremmo rimasti o meno in azienda solo l’ultimo giorno lavorativo del 2012.
Nell’incontro faccia a faccia con i miei due capi, scopro (per fortuna!) di essere scampato ai tagli e ai licenziamenti previsti, con un enorme paradosso: i miei datori di lavoro mi parlano di licenziamenti, obbligati dalle condizioni economiche oggettive e “dolorosi in primis per loro”, ma fatti per poter essere più solidi e ripartire meglio nel futuro, e che quindi non c’era nulla da aver paura. Nel corso della giornata continuano i colloqui singoli datori di lavoro-lavoratore e scopriamo che i licenziamenti avrebbero riguardato, in maniera assolutamente imprevedibile per tutti noi, in particolare tre lavoratrici con contratto a tempo indeterminato,troppo gravose economicamente per l’azienda e in più una dozzina di ragazzi e ragazze a cui semplicemente non è stato rinnovato il contratto a progetto (così, pur non avendo diritto a un salario dignitoso, a ferie, malattie, e che costa meno in termini di tasse e contributi previdenziali mi trovo a far parte della schiera di quelli che sono considerati dei “fortunati”).
Ma la storia non è ancora finita. Il 3 gennaio scorso, primo giorno di lavoro dell’anno nuovo, i capi portano me e gli altri lavoratori “a progetto” presso l’ufficio vertenze del sindacato UGL, e alla presenza di un segretario e di una consulente del lavoro ci hanno fatto firmare un VERBALE DI CONCILIAZIONE (cito testualmente: “redatto ai sensi e per gli effetti dell’art 411 cpc, modificato dalla legge 533/73”) , in cui noi lavoratori abbiamo dichiarato (“a transazione e a saldo di tutte le pretese rivendicative sull’applicazione ed interpretazione del CCNL”) di accettare € 50 euro in contanti (che ci ha dato uno dei nostri due datori di lavoro davanti al sindacalista, poiché ci teneva che il gesto fosse fatto “davanti ai suoi occhi”) e € 1040 entro il 20/01 come compenso del mese di dicembre (come se lo stipendio fosse un premio per aver raggiunto la falsa conciliazione..)
In parole povere i miei carissimi datori di lavoro, sapevano benissimo di non avere più la possibilità, a termini di legge e come sancito da varie sentenze della Cassazione, di stipulare altri contratti a progetto, avendo oltrepassato abbondantemente, con tutti noi, il limite legale di 3 co.co.pro consecutivi ( a me ad esempio quello firmato quest’anno è il sesto co.co.pro!). E per questo hanno pensato bene di inscenare una vertenza legale sulla mancata applicazione del CCNL e per il riconoscimento della sussistenza di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e risarcimento del danno (cosa che verosimilmente sarebbe stata assolutamente legittima da parte nostra, ma che avrebbe, ovviamente, comportato l’immediato licenziamento) e una contestuale conciliazione, che per la grandiosa cifra di 50 €, elargiti naturalmente cash (quindi a nero), dichiara che tutti noi lavoratori non avremo null’altro a pretendere dall’azienda, con il sindacalista UGL - complice - a fare da testimone!
E naturalmente oltre al danno la beffa!
Dopo aver firmato, senza possibilità di scelta, una conciliazione che almeno formalmente ci toglie la possibilità di veder riconosciuta la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, il pomeriggio ci aspetta una riunione nel quale i capi spiegheranno il perché delle loro scelte aziendali e i loro progetti futuri.
Ci ritroviamo in una riunione, presentata come democratica e aperta ad ogni proposta da parte nostra, in cui per un’ora abbondante i nostri datori di lavoro parlano, ancora una volta, della durezza della crisi (come se non la conoscessimo..) delle banche che non fanno più credito, del gestore telefonico H3G che ha dimezzato le provvigioni e paga in ritardo e, di conseguenza, dell’impossibilità di continuare con l’organico che avevano avuto fino a quel momento, per essere più solidi e ripartire meglio di prima. Citando prima Jim Collins, famoso consulente e “motivatore” aziendale a livello internazionale, e poi il “mitico” Henry Ford (quale genio parla ancora di postfordismo?) con l’aiuto di slides, diagrammi e disegnini, ci hanno detto che quelli che erano rimasti sono sì bravi e professionali, ma che non basta più, che ora è arrivato il momento di passare dal “buono all’“eccellente”. L’azienda, per competere e “lottare tra le difficoltà della crisi”, ha bisogno del salto di qualità e questo significa che il salto deve farlo ognuno di noi, dando fondo a tutte le energie e la dinamicità di cui siamo capaci.
Il messaggio, neanche troppo velato, che hanno voluto trasmetterci è stato: “abbiamo licenziato alcuni vostri colleghi (…scatenando la paura di perdere il lavoro in ognuno di voi), abbiamo tagliato gli stipendi in busta paga, o al massimo rinnovato le stesse “precarie” condizioni di lavoro e abbiamo inscenato prima una vertenza di lavoro per il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e, contemporaneamente, una conciliazione per la stessa, ma è tutta colpa della crisi; voi ora però lavorate di più, perché il lavoro da fare comunque non è mai mancato, ma stavolta sarà ripartito tra meno persone,e se potete, fate contratti ai vostri parenti, amici o qualche volta mettetevi al telefono, insomma date sfogo alla vostra fantasia per produrre, e in più nei momenti più acuti di lavoro restate un altro po’ in ufficio, non scappate subito che dobbiamo lottare assieme (???) per uscire dalla crisi”.
E ti viene da piangere quando parlando con una delle colleghe licenziate - per sapere cosa avesse intenzione di fare e come si sentisse - ricevi di tutta risposta l’affermazione che, effettivamente, i dipendenti costano troppo, che non biasima l’azienda per il licenziamento e che anzi è stata felice di farne parte e che coglierà l’occasione per andare via da Napoli perché la odia. E tu rimani lì esterrefatto a pensare se sei tu ad essere così sbagliato da avere una rabbia in corpo infinita per tutti i ricatti e i soprusi ricevuti, o se è proprio così che ci vogliono far diventare: docili e in balia delle onde, di Henry Ford, delle banche o della crisi.
La storia che sto per raccontarvi è la mia storia, la storia di un lavoratore qualunque, impiegato di un’azienda di telecomunicazioni che lavora per conto di due gestori telefonici, quello che oggi si usa definire un “precario” dei call center. Perché da questa storia si possono trarre tanti spunti, stimoli alla riflessione soprattutto per chi, in buona o in cattiva fede, crede ancora che esista una distinzione tra lavoratori “garantiti” e non.L’azienda per cui lavoro è organizzata così: si divide in un ufficio che è il vero e proprio call center in cui lavorano una cinquantina di operatori (che sono cambiati continuamente durante i miei 6 anni in quest’azienda, ormai delle 30 persone che c’erano quando sono entrato io non è rimasto più nessuno!) che hanno tutti, tranne pochissime eccezioni, un contratto a progetto (ovviamente un “progetto” che non esiste, il mio è un semplice lavoro subordinato, vincolato ad orari e gerarchie), e il mio ufficio, un back office, che si occupa della lavorazione finale dei contratti, in cui ci sono 7-8 lavoratori “storici” che hanno il contratto di lavoro a tempo indeterminato e altri 4 (me compreso) che hanno il contratto a progetto.
Stiamo ancora aspettando, io e gli altri lavoratori a progetto come me, il rispetto delle condizioni minime di lavoro, quelle che dovrebbero essere garantite a tutti, che prevedono un salario dignitoso, contributi previdenziali, ferie, malattie, maternità, diritti che conosciamo solo indirettamente e che ormai sono tristemente considerati come veri e propri “privilegi”.
Quest’anno abbiamo vissuto tutti momenti di forte tensione per la paura di perdere il lavoro. Il mese di dicembre di quest’anno è stato una vera e propria tortura, abbiamo saputo se l’anno nuovo saremmo rimasti o meno in azienda solo l’ultimo giorno lavorativo del 2012.
Nell’incontro faccia a faccia con i miei due capi, scopro (per fortuna!) di essere scampato ai tagli e ai licenziamenti previsti, con un enorme paradosso: i miei datori di lavoro mi parlano di licenziamenti, obbligati dalle condizioni economiche oggettive e “dolorosi in primis per loro”, ma fatti per poter essere più solidi e ripartire meglio nel futuro, e che quindi non c’era nulla da aver paura. Nel corso della giornata continuano i colloqui singoli datori di lavoro-lavoratore e scopriamo che i licenziamenti avrebbero riguardato, in maniera assolutamente imprevedibile per tutti noi, in particolare tre lavoratrici con contratto a tempo indeterminato,troppo gravose economicamente per l’azienda e in più una dozzina di ragazzi e ragazze a cui semplicemente non è stato rinnovato il contratto a progetto (così, pur non avendo diritto a un salario dignitoso, a ferie, malattie, e che costa meno in termini di tasse e contributi previdenziali mi trovo a far parte della schiera di quelli che sono considerati dei “fortunati”).
Ma la storia non è ancora finita. Il 3 gennaio scorso, primo giorno di lavoro dell’anno nuovo, i capi portano me e gli altri lavoratori “a progetto” presso l’ufficio vertenze del sindacato UGL, e alla presenza di un segretario e di una consulente del lavoro ci hanno fatto firmare un VERBALE DI CONCILIAZIONE (cito testualmente: “redatto ai sensi e per gli effetti dell’art 411 cpc, modificato dalla legge 533/73”) , in cui noi lavoratori abbiamo dichiarato (“a transazione e a saldo di tutte le pretese rivendicative sull’applicazione ed interpretazione del CCNL”) di accettare € 50 euro in contanti (che ci ha dato uno dei nostri due datori di lavoro davanti al sindacalista, poiché ci teneva che il gesto fosse fatto “davanti ai suoi occhi”) e € 1040 entro il 20/01 come compenso del mese di dicembre (come se lo stipendio fosse un premio per aver raggiunto la falsa conciliazione..)
In parole povere i miei carissimi datori di lavoro, sapevano benissimo di non avere più la possibilità, a termini di legge e come sancito da varie sentenze della Cassazione, di stipulare altri contratti a progetto, avendo oltrepassato abbondantemente, con tutti noi, il limite legale di 3 co.co.pro consecutivi ( a me ad esempio quello firmato quest’anno è il sesto co.co.pro!). E per questo hanno pensato bene di inscenare una vertenza legale sulla mancata applicazione del CCNL e per il riconoscimento della sussistenza di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e risarcimento del danno (cosa che verosimilmente sarebbe stata assolutamente legittima da parte nostra, ma che avrebbe, ovviamente, comportato l’immediato licenziamento) e una contestuale conciliazione, che per la grandiosa cifra di 50 €, elargiti naturalmente cash (quindi a nero), dichiara che tutti noi lavoratori non avremo null’altro a pretendere dall’azienda, con il sindacalista UGL - complice - a fare da testimone!
E naturalmente oltre al danno la beffa!
Dopo aver firmato, senza possibilità di scelta, una conciliazione che almeno formalmente ci toglie la possibilità di veder riconosciuta la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, il pomeriggio ci aspetta una riunione nel quale i capi spiegheranno il perché delle loro scelte aziendali e i loro progetti futuri.
Ci ritroviamo in una riunione, presentata come democratica e aperta ad ogni proposta da parte nostra, in cui per un’ora abbondante i nostri datori di lavoro parlano, ancora una volta, della durezza della crisi (come se non la conoscessimo..) delle banche che non fanno più credito, del gestore telefonico H3G che ha dimezzato le provvigioni e paga in ritardo e, di conseguenza, dell’impossibilità di continuare con l’organico che avevano avuto fino a quel momento, per essere più solidi e ripartire meglio di prima. Citando prima Jim Collins, famoso consulente e “motivatore” aziendale a livello internazionale, e poi il “mitico” Henry Ford (quale genio parla ancora di postfordismo?) con l’aiuto di slides, diagrammi e disegnini, ci hanno detto che quelli che erano rimasti sono sì bravi e professionali, ma che non basta più, che ora è arrivato il momento di passare dal “buono all’“eccellente”. L’azienda, per competere e “lottare tra le difficoltà della crisi”, ha bisogno del salto di qualità e questo significa che il salto deve farlo ognuno di noi, dando fondo a tutte le energie e la dinamicità di cui siamo capaci.
Il messaggio, neanche troppo velato, che hanno voluto trasmetterci è stato: “abbiamo licenziato alcuni vostri colleghi (…scatenando la paura di perdere il lavoro in ognuno di voi), abbiamo tagliato gli stipendi in busta paga, o al massimo rinnovato le stesse “precarie” condizioni di lavoro e abbiamo inscenato prima una vertenza di lavoro per il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e, contemporaneamente, una conciliazione per la stessa, ma è tutta colpa della crisi; voi ora però lavorate di più, perché il lavoro da fare comunque non è mai mancato, ma stavolta sarà ripartito tra meno persone,e se potete, fate contratti ai vostri parenti, amici o qualche volta mettetevi al telefono, insomma date sfogo alla vostra fantasia per produrre, e in più nei momenti più acuti di lavoro restate un altro po’ in ufficio, non scappate subito che dobbiamo lottare assieme (???) per uscire dalla crisi”.
E ti viene da piangere quando parlando con una delle colleghe licenziate - per sapere cosa avesse intenzione di fare e come si sentisse - ricevi di tutta risposta l’affermazione che, effettivamente, i dipendenti costano troppo, che non biasima l’azienda per il licenziamento e che anzi è stata felice di farne parte e che coglierà l’occasione per andare via da Napoli perché la odia. E tu rimani lì esterrefatto a pensare se sei tu ad essere così sbagliato da avere una rabbia in corpo infinita per tutti i ricatti e i soprusi ricevuti, o se è proprio così che ci vogliono far diventare: docili e in balia delle onde, di Henry Ford, delle banche o della crisi.
1 commento:
SONO BRUNACCIO.
Io non me la prendo coi padroni: sarebbe come prendersela con il leone perchè sbrana la preda. (Ciò non toglie che gente simile meriterebbe punizioni molto severe, direi staliniane).
Ma i principali colpevoli sono i sindacati, che si sono sempre disinteressati del precariato concentrandosi solo sulle aristocrazie operaie, serbatoio di voti per i loro padroni politici del Pd, altro colpevole enorme...o meglio, forse, visto che il Pd è il partito della borghesia europeista, per lui vale il discorso del leone; ergo, forse i sindacati sono i veri e unici traditori del loro ruolo storico, e, appunto, il ruolo storico, nemmeno tanto mascherato, del Pd è quello già detto, cioè un partito di classe della borghesia.
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