ANNUNCIO CON GIOIA IL TERZO APPUNTAMENTO COL COMPAGNO MELIBEO E I SUOI EXCURSUS NELLA CUCINA POPOLARE TRADIZIONALE.
OGGI, COME VEDRETE, NIENTE RICETTE MA STORIA E ANEDDOTICA, SEMPRE IN TONO DI COLLOQUIO, DI DUE PARTICOLARI ALIMENTI.
BOCC'ONTA NUN DIC MAI MAL

Qualche mese fa ho ricevuto in dono da una delle mie nonne un'opera magnifica, "Marchigiando, dizionario della cucina marchigiana"; lo scopo di questi volumetti raccolti periodicamente con un quotidiano è quello di fornire una conoscenza "enciclopedica" su tutti i prodotti e le preparazioni tipiche della nostra zona. Così sfogliando questo testo ho incontrato la voce sul ciauscolo, e sentendomi piccolo di fronte a tanta storia ho deciso di riportare il testo nella sua versione originale, sperando di rendere onore ad uno dei salumi più rappresentativi della nostra regione.
"Il suo nome, secondo una delle teorie più accreditate, deriva dal latino (cibusculum) ad indicare piccolo cibo e quindi merenda. Fino a non troppi anni fa, in dialetto nelle campagne veniva chiamato ciavusculu ingentilito poi in ciabuscolo ed oggi ha assunto la denominazione attuale di ciauscolo.
E veniamo alla caratteristica della spalmabilità. Le fonti più autorevoli ritengono che la si debba attribuire ad influenze galliche. Infatti nel 295a.C. i Galli Senoni (che occupavano Senigallia) furono sconfitti, in una celebre e sanguinosa battaglia in cui erano alleati con altre popolazioni italiche, dai romani a Sentino (Sassoferrato) e le loro terre distribuite ai veterani. I Galli sfuggiti al massacro si dispersero lungo la zona pedemontana trovando ospitalità nella zona compresa tra Matelica (60km a sud di Sassoferrato) e Amandola, venendo quindi assorbiti dalla popolazione di Visso, Castelsantangelo sul Nera, Sarnano ecc. Si accredita quindi alla loro influenza questa specializzazione dei norcini della zona nel preparare un ciauscolo spalmabile come un patè. Caratteristica che si ottiene appunto con una maggiore raffinazione della carne ma anche con un impiego più consistente del grasso di maiale.
Ma c'è un altra coincidenza storica da sottolineare. Nel 70/71 d.C. Vespasiano, conquistata Gerusalemme grazie al figlio Tito, dopo averli fatti sfilare nel corteo trionfale a Roma, fece deportare tra Visso e Norcia i capifamiglia ed i primogeniti dei maggiorenti ebrei, destinandoli a fare da guardiani ai suoi allevamenti di maiali, nei suoi numerosi possedimenti terrieri. E gli ebrei (che allevavano, uccidevano e lavoravano le carni dei maiali, senza poterle però mangiare) portarono proprio in quest'area nuove tecniche di lavorazione e nuove conoscenze.
In questa stessa zona nel V secolo, troviamo numerosi insediamenti di monaci provenienti dalla Siria. Essi conoscevano molto bene l'uso delle erbe medicinali con cui riuscivano a sanare le ferite, evitare le infezioni e fermare le emorragie.
Erano gli elementi indispensabili perchè proprio qui si creasse una delle prime scuole di chirurgia rudimentale. E la sperimentazione di base veniva fatta proprio sui maiali di cui tutti divennero esperti macellatori. È per questo che a Preci, a circa 8 km da Visso, nel 900 fu fondata dai Benedettini l'abbazia di Sant'Eutizio, che ben presto si trasformò in un importante centro per la medicina e specialmente per la chirurgia, essendo collegata anche alla scuola salernitana. Nel 1215 però il Concilio Lateranense vietò ai religiosi qualsiasi intervento che comportasse spargimento di sangue, per cui i benedettini trasferirono le loro conoscenze agli abitanti della zona. I figli di alcune delle famiglie più importanti si trasformarono in veri e propri chirurghi, chiamati in tutta europa per compiere operazioni di cataratta e di rimozione dei calcoli. Ma anche per evirare cantanti destinati ai cori di voci bianche ( di cui le donne non potevano far parte). Inizialmente venivano chiamati preciani (da Preci) o eutiziani, poi prevalse la denominzione di nursini (da Norcia), trasformatosi poi in norcini, Scomparsa la scuola di Preci il nome di norcini rimase solo ai preparatori di insaccati."
Questa è la storia, che partendo dai Galli Senoni tanto il petto mi ha gonfiato d'orgoglio. Se dovessi dire come mangiare il ciauscolo la risposta più giusta sarebbe:"così, sa 'l pan!" Ma volendo esagerare vi consiglio di sostituire alla classica salciccia il ciauscolo per condire insieme a della panna la solita pasta che risulterà buonissima con l'aggiunta di qualche fungo o di uno scorzone grattato.
Ora voglio invece parlarvi di un'erbetta tipica di tutto il centro Italia, la pimpinella (pimpinella anisum), per chi non la conoscesse è una piantina da pascolo che cresce in collina ed in montagna. Plinio consigliava di salutare la pianta, prima di raccoglierla e non a caso gli antichi le attribuivano molte proprietà che legittimano il rispetto portatole. I medici erboristi del Cinquecento la indicavano per la cura dei “cancari”, per frenare le emorragie interne, i vomiti, mentre per uso esterno ne consigliavano la polvere per le ragadi delle mammelle, mentre il succo della radice veniva consigliato per le macchie della pelle, per sanare le ferite, nei casi di morsicature dei serpenti e per fare più bello il viso delle donne. Qualche foglia nel vino lo avrebbe reso più giocondo, confortando anche il cuore. Tra i pastori e coloro che ancora praticano un’agricoltura di tipo tradizionale, è opinione diffusa che la presenza della pimpinella nei pascoli migliori la qualità e la quantità del latte e dunque del formaggio. Hanno anche osservato che in concomitanza di certi disturbi del rumine o intestinali gli animali la consumano in maggiore quantità. Gli agronomi del Settecento avevano già esaltato la pimpinella come ottimo foraggio, incoraggiandone la produzione. La medicina popolare usava sia le parti aeree, sia la radice. L’infuso delle foglie veniva utilizzato come astringente (antidiarroico) ed espettorante; esternamente come emostatico, vulnerario e contro la caduta dei capelli. Alla sua assunzione come alimento-medicina si ascriverebbero proprietà galattofore. Le donne di campagna ne facevano un uso più spinto durante l’allattamento, perché ciò avrebbe fatto aumentare la loro quantità del latte; un uso analogo, in veterinaria per i bovini, è documentato nel Lazio, ma è acquisizione comune a tutti gli allevatori che i pascoli ricchi di quest’erba garantiscono la qualità e la quantità del latte e di conseguenza dei formaggi. La fitoterapia moderna la usa quale emostatico ed antidiarroico.
Ad ogni modo questa pianta è in campo gastronomico nel nostro territorio da sempre associato nella composizione dell'insalata di misticanza, poichè veniva misticata dalle donne per equilibrare sapori e colori, composta con vari germogli e piantine selvatiche in primavera. Poteva accogliere borragine, menta, santoreggia, germogli di tarassaco e di cicoria, pimpinella, radicchi di campo, rucola, melissa, lattughina e quant'altro.
Ma si sa... L'insalata è libera! Perciò fatela come vi pare, la pimpinella darà comunque un tocco assolutamente autentico al tutto, un' unica cortesia, per condirla usate solo: olio vero, un pizzico di sale ed una lacrima d'aceto, non occorrerà altro. E come recita un proverbio tradizionale del maceratese: "l' insalata non è bbona se nun c'è la crispignola, l'insalata non è bella se nun c'è la pimpinella."
Melibeo
*Ugo Bellesi, Tommaso Lucchetti: "Marchigiando, dizionario della cucina marchigiana"
*F Costanzo Felici, "Dell'insalata e piante che in qualunque modo vengono per cibo del'homo."
CONTRIBUTO DI ROBERTA
Il dolce
È scontato il legame tra il cibo e il sesso, ma io trovo che sia il cucinare, non solo il mangiare,
un atto di amore.
Se mangiare è l’atto sessuale, il momento in cui si consuma il piacere e resta l’appagamento, cucinare è il corteggiamento: devi farlo con cura, con rispetto e gratitudine per il cibo che maneggi, devi dosare tutto con delicatezza: basta poco, un pizzico di sale in più, la fiamma troppo alta, una spezia troppo sapida a rovinare tutto.
Devi avere mano e occhio, certo anche delle buone ricette, ma quelle non bastano:
se non vedi non tocchi non annusi la tua preparazione non ti appartiene.
Assaggi pensando all’effetto che lo stesso sapore avrà sulle labbra dell’altro, se anche lui lo troverà aspro oppure squisito e vorrà gustarne ancora, cerchi di indovinare che cosa può dargli piacere,
e aggiungi e mescoli ingredienti per avvicinarti ai suoi desideri…
Il più bello è impastare le torte, una piccola magia: dosi gli ingredienti e all’inizio hai solo una massa molle e informe, ma se hai fatto tutto con cura, se hai fatto tutto con passione, la metti nel forno e vedi che lievita, come lievita il desiderio, come si gonfia il dono di un uomo, come si gonfiano i capezzoli e le labbra di una donna…
guardi attraverso il vetro del forno la pasta che continua a salire, sborda e sembra voglia scoppiare,
e il profumo avvolge l’aria intorno…e come nell’amore non vedi l’ora di addentare e gustare e portare con te quel calore e quella dolcezza, che poi ti resta dentro e ti inebria.
…Così un uomo e una donna preparano il dolce d’amore: con i corpi con gli occhi col cuore.
La cuoca paziente e serena prepara, sceglie dosa e distende, ogni tanto assaggiando sorride; scoccia unge aggiunge e ritira, modella guarnisce e sfarina.
Il cuoco separa e congiunge, batte sbatte frusta e lascia un po’ riposare; copre e accarezza, imburra e spolvera, inforna ed attende.
La torta la servono assieme…
…Preparata così la glassa buttateci dentro le mandorle, mescolate e intonacate il dolce, colle mandorle divise in due parti rifioritelo al di sopra infilandole ritte. … Con la crema riesce un dolce squisito e perciò vi consiglio di provarlo. (Pellegrino Artusi)
(LA SARTINA)
5 commenti:
SONO BRUNACCIO
Io non posso che ringraziare pubblicamente il compagno Melibeo, perchè ci scrive sempre delle chicche eccezionali, e stavolta mi ha emozionato.
Qualunque amatore e appassionato di Storia non può che amare la storia sociale e la cosidetta microstoria (ovvero la storia locale, anche a livello accademico ormai valutatissima come tassello dei puzzle che formano la macrostoria), e leggendo la storia del ciauscolo e della pimpinella -a proposito, al più presto col ciauscolo mi ci faccio la pasta- è impressionante vedere quanti eventi storici di portata epocale vi si ritrovano.
Mi dispiace solo che Melibeo non abbia una platea più ampia per pubblicare queste ricette riflettute o queste perle di storia sociale gastronomica, ma io faccio il possibile per diffondere i suoi scritti, in particolare questo.
Anche io, da senigalliese come il compagno Melibeo, mi sono sentito un po' di orgoglio in cuore sentendo parlare dei Galli Senoni.
Snigaja mezz'ebreo mezza canaja' dice il proverbio: i Galli Senoni li abbiamo toccati, gli Ebrei pure con il sacco di Gerusalemme e la distruzione del Tempio nel '70, mancano solo le canaje...ah, è vero, quelle siamo noi! ;-)
Come sempre la domenica i commenti sono totalmente liberi e chiunque può mettere qualsiasi scritto, anche non inerente all'argomento del post.
Buona domenica!
grande!!!
conosco bene e frequento da anni i posti descritti nell'articolo, ma certe "perle" nn le sapevo proprio..
come sempre disquisisco solo sull'uso della panna!!!!!!!!
grazie e alla prox!
massimino
bello questo "sconfinamento" nella cucina...roberta
visto che si parla di cucina..
La sartina
Il dolce
È scontato il legame tra il cibo e il sesso, ma io trovo che sia il cucinare, non solo il mangiare,
un atto di amore.
Se mangiare è l’atto sessuale, il momento in cui si consuma il piacere e resta l’appagamento, cucinare è il corteggiamento: devi farlo con cura, con rispetto e gratitudine per il cibo che maneggi, devi dosare tutto con delicatezza: basta poco, un pizzico di sale in più, la fiamma troppo alta, una spezia troppo sapida a rovinare tutto.
Devi avere mano e occhio, certo anche delle buone ricette, ma quelle non bastano:
se non vedi non tocchi non annusi la tua preparazione non ti appartiene.
Assaggi pensando all’effetto che lo stesso sapore avrà sulle labbra dell’altro, se anche lui lo troverà aspro oppure squisito e vorrà gustarne ancora, cerchi di indovinare che cosa può dargli piacere,
e aggiungi e mescoli ingredienti per avvicinarti ai suoi desideri…
Il più bello è impastare le torte, una piccola magia: dosi gli ingredienti e all’inizio hai solo una massa molle e informe, ma se hai fatto tutto con cura, se hai fatto tutto con passione, la metti nel forno e vedi che lievita, come lievita il desiderio, come si gonfia il dono di un uomo, come si gonfiano i capezzoli e le labbra di una donna…
guardi attraverso il vetro del forno la pasta che continua a salire, sborda e sembra voglia scoppiare,
e il profumo avvolge l’aria intorno…e come nell’amore non vedi l’ora di addentare e gustare e portare con te quel calore e quella dolcezza, che poi ti resta dentro e ti inebria.
…Così un uomo e una donna preparano il dolce d’amore: con i corpi con gli occhi col cuore.
La cuoca paziente e serena prepara, sceglie dosa e distende, ogni tanto assaggiando sorride; scoccia unge aggiunge e ritira, modella guarnisce e sfarina.
Il cuoco separa e congiunge, batte sbatte frusta e lascia un po’ riposare; copre e accarezza, imburra e spolvera, inforna ed attende.
La torta la servono assieme…
…Preparata così la glassa buttateci dentro le mandorle, mescolate e intonacate il dolce, colle mandorle divise in due parti rifioritelo al di sopra infilandole ritte. … Con la crema riesce un dolce squisito e perciò vi consiglio di provarlo. (Pellegrino Artusi)
SONO BRUNACCIO.
Grande, Roberta, sottoscrivo!
Ora aggiorno il post col tuo contributo.
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