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domenica 17 marzo 2013

SUNDAY MAGAZINE

PER NON PARLARE DELLA DONNA SOLO L'8 MARZO...
Il Manifesto delle Donne Sagge

Le Donne Sagge
sono madri di tutti i figli del mondo
meditano e si prendono cura di sé
scelgono con la saggezza del cuore
ascoltano e raccolgono i segnali della vita
si fidano del proprio istinto
hanno una vita gustosa e la assaporano
chiedono aiuto e sanno stare da sole
coltivano la curiosità e mantengono la capacità di stupirsi
improvvisano e ridono insieme
vanno oltre la tolleranza e accolgono
si rimettono in gioco
sanno dire di no e sanno dire di sì
assumono oggi la propria responsabilità per il futuro
custodiscono tutto quello che conta per loro
riconoscono e salvaguardano la sacralità della Terra
percorrono la via di mezzo e sanno ricondurre all’unità
camminano leggere sui fili
e appoggiano il piede saldo sulla Terra
tessono la trama della vita e inventano il tempo
amano e sanno trasformare la pietra in pane.
(Roberta Piliego)






STUPIDA

“ Stupida, stupida, stupida !” Anna non faceva che ripeterselo da quando era scesa dall’auto, tirandosi dietro la borsa e sbattendo la portiera.
“Stupida!” e le sembrava di vederlo scritto su tutte le insegne lungo le strada, di sentirsi addosso tutti gli sguardi dei passanti che certo poi avrebbero mormorato che lei era davvero così…
Quella consapevolezza si era schiantata come un fulmine nella sua mente intristita: per la prima volta aveva una percezione ben chiara di tutti i suoi errori, di anni, decenni di errori, iniziati…quando?
Forse prestissimo, quando ancora bambina aveva conteso l’affetto dei genitori con la sorella minore, che già allora era molto determinata e riusciva immancabilmente a ottenere tutto quello che voleva; inutile dire che le attenzioni dei genitori erano sempre e comunque rivolte a lei.

Dopo qualche tentativo lanciato contro un muro di negazione, Anna aveva rinunciato a protestare: si era illusa che sforzandosi di essere brava, accomodante, di compiacere in tutto i genitori, un giorno sarebbe stata ricompensata: i suoi genitori si sarebbero accorti delle sue qualità e avrebbero dirottato su di lei le attenzioni riservate da sempre alla tempestosa sorella, la quale sembrava divertirsi a procurare loro ogni genere di angoscia…sì un giorno avrebbero capito.
Quel giorno non arrivò mai: lei aveva da poco superato i trent’anni quando i genitori vennero a mancare entrambi nel giro di qualche mese, lasciandole oltre al dolore l’amarezza: non avrebbero più potuto darle quello che Anna chiedeva disperatamente da tanti anni...vicenda chiusa, per sempre.


Anna continuava a camminare nel tentativo di calmarsi: l’eco risuonava ancora nella sua testa.
Stupida, stupida, stupida…
La vicenda dei genitori avrebbe dovuto insegnarle qualcosa, invece lei continuava inesorabilmente a ripetere lo stesso schema: a scuola si faceva in quattro per non deludere gli insegnanti, che però finivano per irritarsi visto che lei li metteva in difficoltà con la sua preparazione fuori dal comune;
i compagni poi, si ricordavano della sua esistenza solo quando avevano bisogno di una mano con i compiti…mai una volta che la invitassero a prendere un gelato, o anche solo ad andare a zonzo per le strade del centro.
Al lavoro e con gli amici più o meno stessa cosa…ma il meglio della stupidità, naturalmente, Anna riusciva a darlo in amore.
Quando cercava di definire i suoi rapporti con gli uomini, immancabilmente le tornava alla memoria il personaggio di un vecchio telefilm di fantascienza: una splendida femmina aliena umanoide, che in virtù di una rarissima combinazione genetica riusciva a captare telepaticamente i desideri e le inclinazioni di ogni maschio che la avvicinasse: non solo, era capace di aderire perfettamente al modello ideale di quel maschio, di assecondarlo in tutto e per tutto.
Però, mentre l’aliena del telefilm era ammirata e contesa dagli umanoidi di ogni angolo della galassia, Anna doveva accontentarsi di relazioni molto più terrestri, e di uomini che a dispetto della sua totale dedizione ( o forse proprio per quella, pensava adesso) finivano per annoiarsi e allontanarsi. A lei naturalmente sembrava di essere la sola responsabile della fine di tutte le storie:
forse non aveva fatto abbastanza…non era abbastanza brillante, o non era abbastanza razionale, o non era abbastanza spregiudicata… o era troppo spregiudicata, o troppo razionale, e chissà che altro.
A ogni nuova relazione arrivava diffidente, decisa a non lasciarsi trascinare…sì! Dopo due settimane era totalmente calata nel suo nuovo ruolo, e quanti ne aveva interpretati!
Per amore si era lanciata a frequentare un corso di cucina messicana che tra l’altro detestava, a trasferirsi a Lione per due anni, ad ammazzarsi in palestra ( fidanzato fissato con la linea perfetta…per lei, lui invece si teneva la sua pancetta e il suo divano) a fare vacanze nei luoghi più assurdi; e poi a vestire di volta in volta come una ragazzina, come una dark lady, come una donna fatale un po’ retrò…per non parlare del periodo tuniche orientali-cucina vegan-meditazione-incensi sempre a beneficio del fidanzato di turno…per carità, alla fine tutte belle esperienze, così almeno le archiviava con una punta di rassegnazione.
Poi era arrivato Luca: bello, deciso, con una spiccata personalità; non le chiedeva niente, ripeteva di adorarla per la splendida donna che era ( ma che donna era in realtà? Lei se lo chiedeva, stupita del fatto che lui lo sapesse meglio di lei) e poi era un amante passionale e pieno di fantasia: con lui Anna era felice.

Non erano andati a vivere insieme: lui era ansioso di farlo, ma aspettava prima l’agognata promozione a direttore operativo nella società per la quale prestava servizio: così, le diceva,
avrebbe potuto offrirle una vita più agiata e piacevole, e questo a dispetto delle proteste di lei 
che era sempre stata indipendente, viveva del proprio lavoro e si sentiva un tantino umiliata da simili discorsi. Inutile: lui era irremovibile.

La settimana prima Anna aveva preso un permesso dal lavoro per andare a fare compagnia a una cara amica, ricoverata in clinica in un’altra città: niente di drammatico, solo un piccolo intervento di routine, ma l’amica aveva insistito per averla al fianco e lei non si era sentita di dire di no.
“Peccato…proprio dopodomani ci sarà la riunione aziendale…” ovviamente Luca si riferiva alla fatidica promozione.
“Non fa niente tesoro: avremo molto da festeggiare al mio ritorno…tu intanto brinda con i tuoi amici…non troppo però!” Si erano baciati…dai baci erano passati a carezze appassionate…Anna aveva ritardato di un paio d’ore la partenza .


******

Stava sfogliando alcune riviste di moda, nel silenzio ovattato della piccola camera della clinica: l’intervento era stato superato bene e adesso l’amica si spingeva a fare commenti maliziosi su un giovane infermiere del reparto ( non cambierà mai, pensava Anna). 
Lei era inquieta: la telefonata trionfale non era arrivata.
Uscì a passeggiare nervosamente nel giardino e alla fine vinse la sua resistenza e chiamò Luca.
Come temeva la risposta non fu allegra.
“Hanno scelto Russo al mio posto, quel lecchino incapace capisci…solo perché la sua famiglia ha conoscenze influenti, ma non avrei mai creduto che lo scegliessero al mio posto…la promozione era mia, ho lavorato duro per ottenerla e sono la persona più qualificata…che Paese schifoso che è diventato questo, tutti corrotti e raccomandati!!!” la sua voce era carica di amarezza.
“Mi dispiace tanto tesoro…avrai altre occasioni, vedrai…”
“No, credo di avere chiuso con questa società….inizierò a valutare altre offerte, a inviare il curriculum, ma non subito.
È stato un brutto colpo per me, mi prendo qualche giorno per riflettere…”
“Mi dispiace, parto tra poco e per il pomeriggio sono da te”
“Grazie ma non affrettarti: tanto ormai le cose non possono cambiare…ti amo”

Naturalmente Anna aveva ignorato l’invito a non affrettarsi e dopo un’ora era già in autostrada:
insieme ai chilometri divorava pensieri su quello che avrebbe potuto dire o fare per aiutare Luca.

Arrivò direttamente sotto casa di lui: non vedeva l’ora di fargli sentire il suo sostegno, di ascoltarlo e farlo sfogare, soppesava con cura tutto quello che gli avrebbe detto…tirò fuori dalla borsa la sua copia di chiavi e le girò preparandosi ad accogliere il suo uomo triste e disfatto tra le sue braccia…
Ma quello che vide e udì la lasciò di ghiaccio, con la mano ancora aggrappata al pomello del portone.

No, Luca non era tra le braccia di un’altra donna: eventualità che pur facendola infuriare sarebbe stata forse meno sorprendente.
No, Luca era con quattro amici sul divano, e tutti e cinque con lattine di birra in mano e sciarpe bicolori al collo ridevano e facevano un tifo da ultras all’indirizzo della TV a schermo piatto del soggiorno.
La loro squadra era in vantaggio, a giudicare dall’allegria e dai lanci di popcorn da un capo all’altro del pregiato divano.


Luca si alzò con un misto di malavoglia e di imbarazzo:
“Non era necessario che ti affrettassi”
“Già, vedo che non era davvero necessario…io non sono necessaria qui”
Salutò freddamente gli amici e iniziò a portare in cucina le ciotole vuote e i tovaglioli stazzonati.
“ Non capisco perché ti arrabbi…ti ho forse chiesto io di correre qui? Certo è stato un brutto colpo per me, ma ne uscirò, sono adulto e questa non è la fine del mondo.” 
Infatti non era la fine del mondo, e non era il caso di prolungare oltre la conversazione, con Luca che stava sulle spine e lanciava occhiate nervose verso il soggiorno: c’era il pericolo che la squadra avversaria pareggiasse magari.
Lei lasciò andare le lattine vuote alla rinfusa nel lavello: “Hai ragione…non hai bisogno di me”
Lo baciò sulla guancia e uscì, senza disturbare con un saluto gli amici ipnotizzati dallo schermo.

******


Stupida sì, perché ( se ne accorgeva chiaramente adesso) la colpa non era degli altri ma soltanto sua, che si ostinava a voler piacere a tutti, a dare aiuto non richiesto e non apprezzato: il mondo invece se la cavava benissimo anche in sua assenza.
Entrò in un bar per concedersi un aperitivo: dopo averlo ordinato si diresse all’unico tavolo rimasto libero, senza accorgersi subito che un altro cliente stava per fare altrettanto.
Il suo primo impulso fu di scusarsi e cedere il posto, ma quella parola risuonava ancora nella sua testa come un pungente ammonimento: avanzò decisa e si sedette con un sorriso angelico.
L’altro, un uomo attraente a dire il vero, non si dette per vinto e chiese con naturalezza se potevano dividere il tavolo.
Perché no....lui si presentò con eleganza e poi :
“Posso offrirle un bicchiere di vino bianco?”
“Ho già ordinato, ma accetto volentieri il vino, grazie: oggi voglio brindare…”
“Sono indiscreto se le chiedo a che cosa brindiamo ?”
“Brindiamo a un evento importantissimo: la scomparsa della mia stupidità.”



FINE

Questo racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale.


(La Sartina)





E’ da una vita che Ipazia Rosas non ha imparato a fare il colore per tingersi i capelli. Spesso ha tentato ma senza riuscirvi come i tentativi per trasformare la vita:c'era sempre un pensiero a rimorchio della paura.

La stessa cosa di quando da bambina faceva salti di gioia:c'era sempre un pericolo in agguato per poi buscare i rimproveri dei genitori e delle donne anziane. Rimaneva un lato coperto da eccessivo un grande entusiasmo: c'era come un freno alla passione. 

Ipazia, che pensava di avere un nome raro e impegnativo, lei che in fondo era una precaria da sempre, un mattino d’inverno pieno di sole, che assomigliava a un giorno di primavera caldissima, al centro del bivio, chiamato rotonda degli alberi in fiore, svoltò nell’altro viale parallelo al principale e fiancheggiato da alberi sempreverdi.

Quando prendeva una decisione, in bocca le rimaneva il sapore del ferro, ma a lei bastava una premuta di limone e qualche ai sogni. Certo il buio e il freddo dell'anima erano sempre lì, pronti ad aggredirla.

E con il viso in fiamme e una sottile fitta di dolore Ipazia pensò: Almeno ci provo. E aprì la porta rossa. E ricordò quando gli piantarono due spade nel collo e pur non vedendo il sangue sgorgare dalla ferita, cadde in ginocchio in ginocchio, ma senza morire. Qualcuno, sbirciando di nascosto, gridò al miracolo e altre donne anziane aggiunsero rosso. 

Sul confine tra la vita e la morte, Ipazia fu supportata dal silenzio della voce interiore. Da sempre la voce non si mostrava mai. Ipazia, in lontananza, vide una porta, rossa. In un estate piena di luce non soltanto solare, Ipazia partì per un isola e fu lì che pitturò una casa tutta bianca e la porta d’ingresso, rossa. Il resto era azzurro come il cielo e il mare. E ricordò il sangue.





Tutte le donne della vita sono un albero che per abbracciarlo ci vogliono tutte insieme milioni di braccia e mani, anche quelle disperate che non hanno partorito e lo volevano ardentemente con tutte le forze. 

Tutte le donne nascono sempre con la luna, le stelle e il sole nel ventre e negli occhi hanno una luce strana che noi uomini spesso non vediamo: e impazziscono di quel sentimento che nemmeno la loro morte estingue.

Tutte le donne hanno un furore calmo e paziente e aspettano e e cantano e piangono(di nascosto)e sperano che gli uomini rinascono in loro, mentre li tengono stretti e li baciano sorridendo in maniera velata come lo è la felicità.

Tutte le donne portano ancora il lutto, anche seguendo la moda. Le donne sanno che devono portare la croce, eppure non parlano del figlio, ma semmai del padre. Il figlio è solo amore e strazio. Le donne allungano l'amore per il figlio come una tela a cui lavorano notte e giorno, ma Penelope è lontana come l'orizzonte irraggiungibile.

Tutte le donne scrivono sulla loro pelle un romanzo che poi cancellano ad ogni passo:sono pagine e pagine, inchiostro a inchiostro;sanno che vivere è cancellare quello che si è scritto nel buio della propria condizione sulla terra madre.

Tutte le donne sono tutte madri, per questo s'innamorano e hanno spesso la testa tra le nuvole della materia dei sogni.

Tutte le donne sono prisma di luce. E buio. E percorrono le strade.

(Transit)

8 commenti:

Transit ha detto...

E’ da una vita che Ipazia Rosas non ha imparato a fare il colore per tingersi i capelli. Spesso ha tentato ma senza riuscirvi come i tentativi per trasformare la vita:c'era sempre un pensiero a rimorchio della paura.

La stessa cosa di quando da bambina faceva salti di gioia:c'era sempre un pericolo in agguato per poi buscare i rimproveri dei genitori e delle donne anziane. Rimaneva un lato coperto da eccessivo un grande entusiasmo: c'era come un freno alla passione.

Ipazia, che pensava di avere un nome raro e impegnativo, lei che in fondo era una precaria da sempre, un mattino d’inverno pieno di sole, che assomigliava a un giorno di primavera caldissima, al centro del bivio, chiamato rotonda degli alberi in fiore, svoltò nell’altro viale parallelo al principale e fiancheggiato da alberi sempreverdi.

Quando prendeva una decisione, in bocca le rimaneva il sapore del ferro, ma a lei bastava una premuta di limone e qualche ai sogni. Certo il buio e il freddo dell'anima erano sempre lì, pronti ad aggredirla.

E con il viso in fiamme e una sottile fitta di dolore Ipazia pensò: Almeno ci provo. E aprì la porta rossa. E ricordò quando gli piantarono due spade nel collo e pur non vedendo il sangue sgorgare dalla ferita, cadde in ginocchio in ginocchio, ma senza morire. Qualcuno, sbirciando di nascosto, gridò al miracolo e altre donne anziane aggiunsero rosso.

Sul confine tra la vita e la morte, Ipazia fu supportata dal silenzio della voce interiore. Da sempre la voce non si mostrava mai. Ipazia, in lontananza, vide una porta, rossa. In un estate piena di luce non soltanto solare, Ipazia partì per un isola e fu lì che pitturò una casa tutta bianca e la porta d’ingresso, rossa. Il resto era azzurro come il cielo e il mare. E ricordò il sangue.

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO

Grandioso questo scritto, Transit: uno stille narrativo lirico di tipo sudamericano con analogie evocative a partire da Ipazia, che è un nome importante.
Scommetto, conoscendoti ormai da un po', che questo scritto in giornata continuerà o che ne verranno altri.
Ne sarei particolarmente lieto, proprio perchè avevo pensato ad un post sul mondo femminile: troppo spesso ci diciamo che se l'8 marzo non ha continuità non ha senso darlo...in modo minimale come può fare un blog della remota periferia della rete, noi facciamo quel che possiamo!
Al solito, aggiornerò domani il post, coi contributi di Transit o di chiunque vorrà.

Buona domenica a tutte/i .

Transit ha detto...

Tutte le donne


Tutte le donne della vita sono un albero che per abbracciarlo ci vogliono tutte insieme milioni di braccia e mani, anche quelle disperate che non hanno partorito e lo volevano ardentemente con tutte le forze.

Tutte le donne nascono sempre con la luna, le stelle e il sole nel ventre e negli occhi hanno una luce strana che noi uomini spesso non vediamo: e impazziscono di quel sentimento che nemmeno la loro morte estingue.

Tutte le donne hanno un furore calmo e paziente e aspettano e e cantano e piangono(di nascosto)e sperano che gli uomini rinascono in loro, mentre li tengono stretti e li baciano sorridendo in maniera velata come lo è la felicità.

Tutte le donne portano ancora il lutto, anche seguendo la moda. Le donne sanno che devono portare la croce, eppure non parlano del figlio, ma semmai del padre. Il figlio è solo amore e strazio. Le donne allungano l'amore per il figlio come una tela a cui lavorano notte e giorno, ma Penelope è lontana come l'orizzonte irraggiungibile.

Tutte le donne scrivono sulla loro pelle un romanzo che poi cancellano ad ogni passo:sono pagine e pagine, inchiostro a inchiostro;sanno che vivere è cancellare quello che si è scritto nel buio della propria condizione sulla terra madre.

Tutte le donne sono tutte madri, per questo s'innamorano e hanno spesso la testa tra le nuvole della materia dei sogni.

Tutte le donne sono prisma di luce. E buio. E percorrono le strade.

Anonimo ha detto...

LA SARTINA

STUPIDA

“ Stupida, stupida, stupida !” Anna non faceva che ripeterselo da quando era scesa dall’auto, tirandosi dietro la borsa e sbattendo la portiera.
“Stupida!” e le sembrava di vederlo scritto su tutte le insegne lungo le strada, di sentirsi addosso tutti gli sguardi dei passanti che certo poi avrebbero mormorato che lei era davvero così…
Quella consapevolezza si era schiantata come un fulmine nella sua mente intristita: per la prima volta aveva una percezione ben chiara di tutti i suoi errori, di anni, decenni di errori, iniziati…quando?
Forse prestissimo, quando ancora bambina aveva conteso l’affetto dei genitori con la sorella minore, che già allora era molto determinata e riusciva immancabilmente a ottenere tutto quello che voleva; inutile dire che le attenzioni dei genitori erano sempre e comunque rivolte a lei.

Dopo qualche tentativo lanciato contro un muro di negazione, Anna aveva rinunciato a protestare: si era illusa che sforzandosi di essere brava, accomodante, di compiacere in tutto i genitori, un giorno sarebbe stata ricompensata: i suoi genitori si sarebbero accorti delle sue qualità e avrebbero dirottato su di lei le attenzioni riservate da sempre alla tempestosa sorella, la quale sembrava divertirsi a procurare loro ogni genere di angoscia…sì un giorno avrebbero capito.
Quel giorno non arrivò mai: lei aveva da poco superato i trent’anni quando i genitori vennero a mancare entrambi nel giro di qualche mese, lasciandole oltre al dolore l’amarezza: non avrebbero più potuto darle quello che Anna chiedeva disperatamente da tanti anni...vicenda chiusa, per sempre.


Anna continuava a camminare nel tentativo di calmarsi: l’eco risuonava ancora nella sua testa.
Stupida, stupida, stupida…
La vicenda dei genitori avrebbe dovuto insegnarle qualcosa, invece lei continuava inesorabilmente a ripetere lo stesso schema: a scuola si faceva in quattro per non deludere gli insegnanti, che però finivano per irritarsi visto che lei li metteva in difficoltà con la sua preparazione fuori dal comune;
i compagni poi, si ricordavano della sua esistenza solo quando avevano bisogno di una mano con i compiti…mai una volta che la invitassero a prendere un gelato, o anche solo ad andare a zonzo per le strade del centro.
Al lavoro e con gli amici più o meno stessa cosa…ma il meglio della stupidità, naturalmente, Anna riusciva a darlo in amore.
Quando cercava di definire i suoi rapporti con gli uomini, immancabilmente le tornava alla memoria il personaggio di un vecchio telefilm di fantascienza: una splendida femmina aliena umanoide, che in virtù di una rarissima combinazione genetica riusciva a captare telepaticamente i desideri e le inclinazioni di ogni maschio che la avvicinasse: non solo, era capace di aderire perfettamente al modello ideale di quel maschio, di assecondarlo in tutto e per tutto.
Però, mentre l’aliena del telefilm era ammirata e contesa dagli umanoidi di ogni angolo della galassia, Anna doveva accontentarsi di relazioni molto più terrestri, e di uomini che a dispetto della sua totale dedizione ( o forse proprio per quella, pensava adesso) finivano per annoiarsi e allontanarsi. A lei naturalmente sembrava di essere la sola responsabile della fine di tutte le storie:
forse non aveva fatto abbastanza…non era abbastanza brillante, o non era abbastanza razionale, o non era abbastanza spregiudicata… o era troppo spregiudicata, o troppo razionale, e chissà che altro.
A ogni nuova relazione arrivava diffidente, decisa a non lasciarsi trascinare…sì! Dopo due settimane era totalmente calata nel suo nuovo ruolo, e quanti ne aveva interpretati!

Anonimo ha detto...

Per amore si era lanciata a frequentare un corso di cucina messicana che tra l’altro detestava, a trasferirsi a Lione per due anni, ad ammazzarsi in palestra ( fidanzato fissato con la linea perfetta…per lei, lui invece si teneva la sua pancetta e il suo divano) a fare vacanze nei luoghi più assurdi; e poi a vestire di volta in volta come una ragazzina, come una dark lady, come una donna fatale un po’ retrò…per non parlare del periodo tuniche orientali-cucina vegan-meditazione-incensi sempre a beneficio del fidanzato di turno…per carità, alla fine tutte belle esperienze, così almeno le archiviava con una punta di rassegnazione.
Poi era arrivato Luca: bello, deciso, con una spiccata personalità; non le chiedeva niente, ripeteva di adorarla per la splendida donna che era ( ma che donna era in realtà? Lei se lo chiedeva, stupita del fatto che lui lo sapesse meglio di lei) e poi era un amante passionale e pieno di fantasia: con lui Anna era felice.

Non erano andati a vivere insieme: lui era ansioso di farlo, ma aspettava prima l’agognata promozione a direttore operativo nella società per la quale prestava servizio: così, le diceva,
avrebbe potuto offrirle una vita più agiata e piacevole, e questo a dispetto delle proteste di lei
che era sempre stata indipendente, viveva del proprio lavoro e si sentiva un tantino umiliata da simili discorsi. Inutile: lui era irremovibile.

La settimana prima Anna aveva preso un permesso dal lavoro per andare a fare compagnia a una cara amica, ricoverata in clinica in un’altra città: niente di drammatico, solo un piccolo intervento di routine, ma l’amica aveva insistito per averla al fianco e lei non si era sentita di dire di no.
“Peccato…proprio dopodomani ci sarà la riunione aziendale…” ovviamente Luca si riferiva alla fatidica promozione.
“Non fa niente tesoro: avremo molto da festeggiare al mio ritorno…tu intanto brinda con i tuoi amici…non troppo però!” Si erano baciati…dai baci erano passati a carezze appassionate…Anna aveva ritardato di un paio d’ore la partenza .


******


Stava sfogliando alcune riviste di moda, nel silenzio ovattato della piccola camera della clinica: l’intervento era stato superato bene e adesso l’amica si spingeva a fare commenti maliziosi su un giovane infermiere del reparto ( non cambierà mai, pensava Anna).
Lei era inquieta: la telefonata trionfale non era arrivata.
Uscì a passeggiare nervosamente nel giardino e alla fine vinse la sua resistenza e chiamò Luca.
Come temeva la risposta non fu allegra.
“Hanno scelto Russo al mio posto, quel lecchino incapace capisci…solo perché la sua famiglia ha conoscenze influenti, ma non avrei mai creduto che lo scegliessero al mio posto…la promozione era mia, ho lavorato duro per ottenerla e sono la persona più qualificata…che Paese schifoso che è diventato questo, tutti corrotti e raccomandati!!!” la sua voce era carica di amarezza.
“Mi dispiace tanto tesoro…avrai altre occasioni, vedrai…”
“No, credo di avere chiuso con questa società….inizierò a valutare altre offerte, a inviare il curriculum, ma non subito.
È stato un brutto colpo per me, mi prendo qualche giorno per riflettere…”
“Mi dispiace, parto tra poco e per il pomeriggio sono da te”
“Grazie ma non affrettarti: tanto ormai le cose non possono cambiare…ti amo”

Naturalmente Anna aveva ignorato l’invito a non affrettarsi e dopo un’ora era già in autostrada:
insieme ai chilometri divorava pensieri su quello che avrebbe potuto dire o fare per aiutare Luca.

Anonimo ha detto...

Arrivò direttamente sotto casa di lui: non vedeva l’ora di fargli sentire il suo sostegno, di ascoltarlo e farlo sfogare, soppesava con cura tutto quello che gli avrebbe detto…tirò fuori dalla borsa la sua copia di chiavi e le girò preparandosi ad accogliere il suo uomo triste e disfatto tra le sue braccia…
Ma quello che vide e udì la lasciò di ghiaccio, con la mano ancora aggrappata al pomello del portone.

No, Luca non era tra le braccia di un’altra donna: eventualità che pur facendola infuriare sarebbe stata forse meno sorprendente.
No, Luca era con quattro amici sul divano, e tutti e cinque con lattine di birra in mano e sciarpe bicolori al collo ridevano e facevano un tifo da ultras all’indirizzo della TV a schermo piatto del soggiorno.
La loro squadra era in vantaggio, a giudicare dall’allegria e dai lanci di popcorn da un capo all’altro del pregiato divano.


Luca si alzò con un misto di malavoglia e di imbarazzo:
“Non era necessario che ti affrettassi”
“Già, vedo che non era davvero necessario…io non sono necessaria qui”
Salutò freddamente gli amici e iniziò a portare in cucina le ciotole vuote e i tovaglioli stazzonati.
“ Non capisco perché ti arrabbi…ti ho forse chiesto io di correre qui? Certo è stato un brutto colpo per me, ma ne uscirò, sono adulto e questa non è la fine del mondo.”
Infatti non era la fine del mondo, e non era il caso di prolungare oltre la conversazione, con Luca che stava sulle spine e lanciava occhiate nervose verso il soggiorno: c’era il pericolo che la squadra avversaria pareggiasse magari.
Lei lasciò andare le lattine vuote alla rinfusa nel lavello: “Hai ragione…non hai bisogno di me”
Lo baciò sulla guancia e uscì, senza disturbare con un saluto gli amici ipnotizzati dallo schermo.

******


Stupida sì, perché ( se ne accorgeva chiaramente adesso) la colpa non era degli altri ma soltanto sua, che si ostinava a voler piacere a tutti, a dare aiuto non richiesto e non apprezzato: il mondo invece se la cavava benissimo anche in sua assenza.
Entrò in un bar per concedersi un aperitivo: dopo averlo ordinato si diresse all’unico tavolo rimasto libero, senza accorgersi subito che un altro cliente stava per fare altrettanto.
Il suo primo impulso fu di scusarsi e cedere il posto, ma quella parola risuonava ancora nella sua testa come un pungente ammonimento: avanzò decisa e si sedette con un sorriso angelico.
L’altro, un uomo attraente a dire il vero, non si dette per vinto e chiese con naturalezza se potevano dividere il tavolo.
Perché no....lui si presentò con eleganza e poi :
“Posso offrirle un bicchiere di vino bianco?”
“Ho già ordinato, ma accetto volentieri il vino, grazie: oggi voglio brindare…”
“Sono indiscreto se le chiedo a che cosa brindiamo ?”
“Brindiamo a un evento importantissimo: la scomparsa della mia stupidità.”





FINE

Questo racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale.


Anonimo ha detto...

Sono Roberta: scusate se il racconto l'ho postato così, ma ho finito di scriverlo poco fa...ciao

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO

Grazie mille, Roberta e Transit: siete riusciti a fare del post quel che speravo...un quadro sulle donne.

Il personaggio di Anna -Roberta- è ottimamente riuscito e rimanda molto, anche se con un finale più ottimista, alle maschere di Pirandello, proprio perchè, chi più chi meno, nella vita capita di indossare maschere per essere quello che gli altri vorrebbero che fossimo.

Sulla seconda prosa lirica di Transit ho poco da dire: è molto bella e si commenta da sè.

Ora aggiorno il post.