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giovedì 30 gennaio 2014

ANCORA ELECTROLUX, TRA BANDITISMO PADRONAL-SINDACALE E UNA PROPOSTA DI MILITANT.

Mentre i padroni della Electrolux, stanno 'trattando', torniamo sulla vicenda, per due motivi:
1) L'esempio di come sbaglino tante anime belle ad elogiare troppo le società scandinave. Il fatto che abbiano una gestione capitalista (all'interno) decisamente impostata su diritti più rispettati che da noi ci spinge spesso a vedere quel mondo come accettabile e quasi alternativo a quello del capitale oligopolista che impropriamente definiamo neoliberismo. Nulla di più impreciso: innanzitutto quel Capitale può permettersi quella gestione (la democrazia è una variabile del mercato) perchè profondamente inserito nei meccanismi del comando del capitale finanziarizzato, e il fatto che all'interno abbia una serie di tutele non esime i falchi del capitale scandinavo dal massacrare i lavoratori dei Paesi esterni.
2) Le riflessioni del collettivo Militant sull'Europa e sul salario minimo europeo, che mi sembra uno slancio avanzatissimo anche rispetto alle proposte sul 'reddito' (termine di per sè anche un po' discutibile e concetto elaborato in modo ancora piuttosto impreciso) finora ascoltate.
Per fare questo riportiamo due articoli: uno delle Usb e un altro, appunto, di Militant.

da http://www.contropiano.org/archivio-news/documenti/item/21831-electrolux-tra-banditismo-padronale-e-complicita-politiche-e-sindacali
Vogliamo dei lavoratori sempre più simili a schiavi, devono costare poco e produrre molto di più,altrimenti ce ne andiamo, dove è possibile farlo.
Questo è in estrema sintesi il ricatto fatto dai vertici dell’Electrolux ai lavoratori degli stabilimenti dell’ex Zanussi, ma è una minaccia rivolta a tutti i lavoratori.
La proposta infame prevede che i salari medi di circa 1400 euro mensili, siano ridotti a circa 700/800 euro. A questa miseria ci si arriva sia attraverso la riduzione di 3 euro della paga oraria e sia attraverso la riduzione della giornata lavorativa a sei ore.
In aggiunta, ci sono il taglio dell’80% dei 2700 euro di premio aziendale, il blocco dei pagamenti delle festività, la riduzione delle pause per gli addetti alla catena di montaggio e lo stop agli scatti di anzianità.
Poiché nell’azienda del futuro c’è poco spazio per i diritti, i dirigenti Electrolux hanno messo sul tavolo il taglio del 50% dei permessi sindacali per le RSU.
Questo scempio però non è la sola richiesta messa sul piatto della bilancia dall’Electrolux. Come tutti gli industriali, infatti, hanno richiesto aiuti sotto forma di fondi, d’incentivi al mercato, di defiscalizzazione e una riduzione dei costi che a loro dire grava in maniera indebita sulle imprese; sull’altro piatto c’è il trasferimento delle produzioni in Polonia dove il costo del lavoro è pari a 7 euro l’ora.
L’accettazione di questo ricatto, però non salverebbe i lavoratori del sito di Porcia e non darebbe garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali degli altri stabilimenti di Solaro, Forlì e Susegana per i quali si parla di oltre 800 esuberi.
Dopo decenni di politiche concertative, che hanno dato mano libera agli industriali, non c’è da stupirsi se oggi di fronte alla crisi economica che rende ancora più aspra la competizione sui mercati, gli speculatori e gli industriali non si fanno nessuno scrupolo nel ridurre i lavoratori in carne da macello e di impoverire il paese.
Di cosa si lamentano i sindacati Confederali, istituzioni locali e i dirigenti del PD come Deborah Serracchiani?
Sono lacrime la cui ipocrisia viene immediatamente smentita dai fatti e dalle dichiarazioni di personaggi come il Ministro dello sviluppo Zanonato che insiste sulla riduzione del costo dei salari in Italia che a suo dire rendono poco competitiva l’industria.
Minacciare la de localizzazione non è una novità, l’hanno fatto molti industriali seguiti e assecondati dalle istituzioni con finanziamenti e dai sindacati complici con accordi in perdita.
E’ accaduto anche in Electrolux; è la storia del declino del tessuto industriale italiano, fatto di privatizzazioni e vendite che hanno coinvolto gruppi come la Zanussi come pure altre importanti aziende del settore chimico, della metallurgia, dei trasporti, dell’alimentare, della distribuzione e della meccanica.
La macchina del consenso ha sempre sostenuto queste operazioni, presentandole come necessità dure ma utili a rendere competitivo il prodotto finale e a rafforzaregli assett industriali nel nostro paese.
Questa volta è diverso: il ricatto fatto dai banditi dell’Electrolux è devastante e carico di ricadute sociali e politiche. Aggiorna in peggio la filosoFIAT di Marchionne che già si è spinto molto avanti con l’operazione FIAT Chrysler e con il progetto Fabbrica Italia.
La famiglia Wallemberg proprietaria di Electrolux coglie il momento politico offerto dalle ricette di stampo liberista come il Jobs Act di Renzi o come lo Statuto dei Lavori di Sacconi
Politiche che concordano nel sostenere che l’uscita dalla crisi può avvenire solo riducendo i salari e aumentando la flessibilità, passando attraverso un sistema di relazioni sindacali blindato da CGIL CISL e UIL.
Da anni ormai affermiamo che la crisi rappresenta un alibi formidabile per ridisegnare non solo i rapporti di forza tra il capitale e lavoro, ma anche tra i paesi ad economia forte e paesi più deboli, riducendo i lavoratori in questi ultimi a schiavi dell’era moderna.
Cosa aspettiamo per capire che su questa strada il peggio non avrà mai fine?
Cosa aspettiamo per capire che bisogna mutare la paura in rabbia, rompere la gabbia in cui ci hanno rinchiusi sindacati complici, governi antipopolari e un’Europa Unita il cui unico mantra è salvaguardare i mercati finanziari mentre c’è un’unica soluzione: rompere con l’Europa dei tecnocrati e dei Trattati e con tutti quelli che li sostengono.

Usb Lavoro Privato

Il cosiddetto “piano Polonia” proposto dalla Electrolux sembra aver riacceso un seppur minimo interesse sulla condizione salariale europea e, nello specifico, italiana. Il fatto, fanno sapere dai vertici della multinazionale svedese, è che la stessa lavatrice che oggi viene assemblata in uno stabilimento italiano se prodotta in un paese dell’est costerebbe all’azienda ben 30 euro in meno rispetto ai costi attuali. Per cui il messaggio è chiaro: o accettate i tagli salariali oppure “saremo costretti” a delocalizzare. E’ il mercato, bellezza! E i padroni sanno bene che al momento di scegliere tra la disoccupazione e un salario, per quanto più basso, la legge della sopravvivenza finirà per imporsi salvaguardando i loro lauti profitti. Anche perché i dati del “settore del bianco” diffusi in questi giorni rappresentano al riguardo un monito più che eloquente: la percentuale dei frigoriferi prodotti in Italia dal 2007 ad oggi è calata del 20%, quella delle lavatrici e delle lavastoviglie è scesa del 24%, con una perdita netta di oltre 14.000 posti di lavoro. Per evitare di prospettare lotte esclusivamente “difensive” o rassegnarsi ed accettare questa condizione come qualcosa di ineluttabile è necessario però comprendere come tutto questo non sia accaduto e non accada per caso. Non è stato certo il destino “cinico e baro” ad accanirsi sui proletari, quanto piuttosto il disegno cosciente delle classi dominanti, un progetto che almeno a queste latitudini ha preso la forma specifica dell’Unione Europea. Capiamoci bene, non stiamo qui sostenendo ipotesi isolazioniste, sovraniste o neonazionaliste. Lo spazio politico a cui guardare deve essere come minimo europeo e il respiro delle lotte, se vuole essere efficace, non può che essere internazionale. Del resto è questo il piano d’azione che il Capitale si è dato ed è su questo piano che dovremmo giocarci la partita, anche perché nel pieno della mondializzazione capitalistica la cartografia delle classi corrisponde sempre meno a quella politica. Ma proprio per questo motivo occorre aver chiaro che l’Europa è cosa ben diversa dall’Unione Europea, ovvero dalla costruzione di un polo imperialistico capace di garantire al capitale europeo la forza necessaria a reggere l’urto della competizione globale. Un progetto che fin dall’inizio nasce e si sviluppa in chiave antiproletaria e che non a caso individua proprio nelle gabbie salariali tra i diversi stati membri uno dei suoi architravi. Ragion per cui un operaio in Bulgaria è costretto oggi a lavorare per un salario minimo orario di appena 95 centesimi di euro mentre un lavoratore polacco deve accontentarsi di un salario minimo mensile di appena 369 euro, esercitando di fatto un freno ed una spinta al ribasso per ogni rivendicazione salariale. Crediamo che sia proprio contro questo architrave che sia giunto il tempo di ingaggiare una lotta che finalmente sia “in avanti”, una lotta capace di generalizzare e unire ciò che oggi è frammentato e diviso, una lotta per rivendicare un salario minimo europeo che sia almeno pari a quello più alto percepito oggi in Europa. Non sarà una lotta “esaustiva”, non sarà la sola possibile, ma è certamente un buon punto da cui provare a cominciare.

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