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giovedì 9 gennaio 2014

LA FORMAZIONE DI UNA CLASSE OPERAIA MONDIALE. UNO STUDIO.

'La speculazione di regola si presenta nei periodi in cui la sovrapproduzione è in pieno corso. Essa offre alla sovrapproduzione momentanei canali di sbocco, e proprio per questo accelera lo scoppio della crisi e ne aumenta la virulenza. La crisi stessa scoppia dapprima nel campo della speculazione e solo successivamente passa a quello della produzione. Non la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione, che a sua volta è solo un sintomo della sovrapproduzione, appare perciò agli occhi dell'osservatore superficiale come causa della crisi'. (Karl Marx)
Se ben ricordate, qualche tempo fa avevamo annunciato un post, o una serie di post, incentrati sul concetto di classe oggi, nell'epoca della globalizzazione e del terziario avanzato.La missione si è rivelata quanto mai difficile e dunque si è rallentata, ma questo studio ci permette di iniziare a sedimentare qualcosina.
Innanzitutto questo lavoro ci conferma che chi crede che lo sfruttamento sia principalmente nella finanza, anzichè nello sfruttamento della manodopera, scambia la propria piccola fetta di mondo con la grandezza del mondo reale.
Insomma, la teoria del valore-lavoro a livello globale è ancora fortissima (dove abbiamo visto che il valore di scambio, a parità di valore d'uso, viene determinato principalmente dal lavoro e dal tempo di lavoro necessario a produrre una merce).
Pongo come scontata questa acquisizione per ragioni di agilità comunicativa, giacchè in questo blog più volte discussa, ma ove ci siano problemi o divergenze rispetto a questa riflessione, invito ad intervenire tranquillamente
In secondo luogo -e questo è l'impegno per il prossimo post- dovremo ragionare sul terziario, parola che racchiude innumerevoli figure professionali, e che contiene al suo interno, a mio parere, già diverse spaccature di classe, e che al tempo di Marx era ben lontano dagli sviluppi odierni.
Possiamo preliminarmente notare già da subito che l'articolo parla di 'lavoro salariato', e io penso che qualsiasi figura professionale che riceve un salario perchè impegnata nel pensare, disegnare e produrre merci, vada annoverata in una situazione medesima di classe, quella del lavoro vivo.
Chi invece, come chi studia marketing e pubblicità, lavora solo per ampliare il capitale dell'azienda senza passare per la produzione di beni di utilità sociale che poi diviene merce, va considerato nel medesimo fronte dei padroni, perchè il suo stipendio non deriva dal prodotto in sè, ma sempre dalla parte di salario che il padrone sottrae dal tempo di lavoro dell'operaio.
Credo che questa prima differenziazione potrebbe essere utile quando parleremo solo ed esclusivamente di terziario, e anche qua, se qualcosa non è chiaro o se non si è d'accordo, ad intervenire.
Per finire, invito a considerare un altro fondamento di questo studio: la natura globale della figura odierna del lavoratore salariato.
Ma qua, appunto, momentaneamente mi fermo perchè l'articolo mi pare chiarissimo,salvo tornarci nei commenti ove sia necessario.

da http://lacuocadilenin.noblogs.org/post/2014/01/08/la-formazione-di-una-classe-operaia-mondiale/
La formazione di una classe operaia mondiale
Posted on 08/01/2014 by la cuoca di lenin

[traduciamo di seguito un breve ma interessante intervento di Michel Husson, economista e statistico francese da sempre vicino ai movimenti anticapitalisti. Il tema è la costituzione e le caratteristiche embrionali di una classe operaia mondiale, prodotto della globalizzazione del capitale: nulla di particolarmente originale, se non dovessimo constatare la fastidiosa persistenza di teorie che da decenni celebrano il funerale della classe operaia e del lavoro salariato - funerale che a quanto pare è più un (poco) pio desiderio di pensatori affascinati da post-ismi di varia natura che una oggettiva e sincera fotografia della realtà. Il dato interessante è la trasformazione oggettiva del lavoro salariato rispetto a come lo abbiamo conosciuto nel XX secolo: mentre nel '900 era internazionale la rappresentazione politica dei proletariati nazionali, a fronte di condizioni di sfruttamento profondamente diverse, oggi sembra che ci troviamo di fronte ad un soggetto costitutivamente internazionale, tendenzialmente omogeneo nelle condizioni di esistenza, drammaticamente diviso nella autorappresentazione cosciente. Ancora, il rapporto percentuale tra lavoro salariato nei paesi avanzati e lavoro salariato nei paesi emergenti deve spingere ad abbandonare ogni residuale eurocentrismo, pur inconsapevole, ed ogni spocchia nel guardare quantosi muove oltre lo stretto di Gibilterra e nei cosiddetti Sud del Mondo. E' compito nostro approfondire questi aspetti per comprendere le basi dalle quali far ripartire l'azione politica: analisi anche brevi come quella di Husson sono, in tal senso, estremamente utili]
Durante gli anni ’90 un fenomeno decisivo si è prodotto con l’entrata nel mercato mondiale della Cina, dell’India e del vecchio blocco sovietico, che ha portato a un raddoppio della forza lavoro rispetto alla concorrenza sul mercato mondiale[1].
I dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro[2] permettono una stima del lavoro salariato su scala mondiale. Nei paesi “avanzati” è aumentato di circa il 20% tra il 1992 e il 2008, per poi restare stagnante con l’avvento della crisi. Nei paesi “emergenti” è aumentato di circa l’80% nello stesso periodo.(grafico 1).
Ritroviamo lo stesso tipo di risultato, ancora più marcato, per l’impiego nell’industria manifatturiera: tra il 1980 e il 2005 la manodopera industriale è aumentata del 120% nei paesi “emergenti” mentre è diminuita del 19% nei paesi “avanzati”[3].
La stessa constatazione emerge da uno studio recente del Fondo Monetario Internazionale[4] che calcola la forza lavoro nei settori esportatori di ogni paese. Si ottiene una stima della forza lavoro mondializzata, quella che è direttamente integrata nella catena del valore globale. La divergenza è ancora più marcata: tra il 1990 e il 2010, la forza lavoro globale così calcolata è aumentata del 190% nei paesi “emergenti” contro il 46% nei paesi “avanzati”(grafico 2).

Grafico 1Il lavoro salariato mondiale
Base 100 nel 1992. Fonte : OIL


Grafico 2
La forza lavoro globalizzata
Base 100 nel 1990. Fonte : FMI

La globalizzazione conduce quindi tendenzialmente alla formazione di un mercato mondiale e anche a quella di una classe operaia mondiale, la crescita della quale si colloca essenzialmente nei paesi cosiddetti emergenti. Questo processo si accompagna ad una tendenza alla salarizzazione della forza lavoro. Il tasso di salarizzazione (la proporzione di salariati nell’impiego) aumenta in modo continuo, passando dal 33% al 42% nel corso degli ultimi 20 anni. Si verifica anche che questa tendenza èpiù marcata per le donne (grafico 3).

Grafico 3
Tasso di salarizzazione nei paesi “emergenti”
 
Fonte : OIL

La dinamica dell’impiego nel mondo è illustrata dal grafico 4 e si può riassumere in questo modo: quasi stabilità o debole avanzamento del lavoro dipendente nei paesi “avanzati”, esclusivamente aumento nei paesi “emergenti”: +40% tra il 1992 e il 2012, con un’accresciuta salarizzazione (lavoro salariato: +76%, altri impieghi: +23%).

Grafico 4
Ripartizione della forza lavoro mondiale
 
Fonte : OIL

Per l’anno 2012, i dati dell’OIL portano alla seguente ripartizione dell’impiego mondiale in miliardi:

Lavoro dipendente nei paesi “avanzati”
0,47
Lavoro salariato nei paesi “emergenti”
1,11
Altro lavoro nei paesi “emergenti”
1,55
Lavoro mondiale
3,13

Questa classe operaia mondiale è estremamente segmentata, in ragione di scarti salariali considerevoli, ma la sua mobilità è limitata mentre i capitali hanno ottenuto una libertà di circolazione pressocché totale. A queste condizioni, la mondializzazione ha per effetto di mettere potenzialmente in concorrenza i lavoratori di tutti i paesi. Questa pressione concorrenziale si esercita sia sui salariati dei paesi avanziati che su quelli dei paesi emergenti e si traduce per una diminuzione tendenziale della parte dei salari nella massa delle entrate mondiali (Grafico 5).

Grafico 5
Parte dei salari nelle entrate mondiali 1970-2010
 
In % sul PIL. Calcoli effettuati sulla base di Stockhammer, 2013 [5].

Media dei seguenti paesi:
Germania, Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Stati Uniti, Spagna, Francia, Finlandia, Irlanda, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Argentina, Brasile, Cile, Cina, Costa Rica, Kenya, Messico, Namibia, Oman, Panama, Perù, Russia, Africa del sud, Corea del sud, Thailandia, Turchia.

Note:
[1] Richard Freeman, « China, India and the Doubling of the Global Labor Force: Who Pays the price of Globalization? », The Globalist, Juin 2005.
[2] ILO, Key Indicators of the Labour Market (KILM)
[3] John Smith, « Imperialism and the Law of Value », Global Discourse [Online], 2: I, 2011.
[4] FMI, Jobs and growth: analytical and operational considerations for the Fund, Mars 2013.
[5] Engelbert Stockhammer, « Why have wage shares fallen? », ILO, Conditions of Work and Employment Series No. 35, 2013.

DATA LA LUNGHEZZA E LA COMPLESSITA' DELL'ARGOMENTO, IL PROSSIMO POST USCIRA' SABATO.

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