Testo

Tel. 3319034020 - mail: precariunited@gmail.com

lunedì 3 febbraio 2014

FUORI DELLA CGIL, L'IMPORTANZA DELLA PRIMA VOLTA

da http://www.contropiano.org/lavoro-conflitto/item/21913-fuori-dalla-cgil-l-importanza-della-prima-volta
È la prima volta nella storia che due dirigenti nazionali della Cgil lasciano l'organizzazione per “andare a sinistra”, scegliendo il maggiore dei sindacati di base per proseguire una militanza che dura da una vita.
Ma questi sono tempi pieni di “prime volte”.
Non si era mai visto un presidente della Camera – per giunta nominato “in quota” a un partito formalmente all'opposizione – usare la “ghigliottina” per troncare il dibattito parlamentare ed evitare così la decadenza di un (mostruoso) decreto governativo, strozzando le non molte possibilità dell'opposizione.Non si erano mai visti governi nazionali commissariati da organismi sovranazionali che decidono di smantellare il “modello sociale europeo”.
Non si era mai visto un disegno di legge elettorale che ribadisce esattamente i due punti centrali sanzionati come incostituzionali dalla Consulta (premio di maggioranza abnorme e assenza delle preferenze).
Non si era mai vista la pretesa di tre sindacati – Cgil, Cisl e Uil (più qualche complice minore, legato a scomparse cordate politiche, come l'Ugl) – di monopolizzare la rappresentanza dei lavoratori. Perlomeno, è dai tempi del “patto di Palazzo Vidoni” che una simile pretesa non veniva messa nero su bianco. Ma allora c'era il fascismo trionfante.
Potremmo continuare a lungo, ma ci fermiamo qui. Sono insomma tempi “eccezionali” in senso schmittiano. Ovvero pieni di “eccezioni” alla regola che vanno a fondare nuove regole, sulla base dei rapporti di forza e non più dei princìpi costituzionali. Ci muoviamo in terra incognita, senza più garanzie certe ma tra eventi che plasmano il paesaggio futuro.
La scelta di Maurizio Scarpa e Franca Peroni è figlia di questi tempi e di una visione del ruolo del sindacato che tiene insieme consapevolezza dei “tempi nuovi” e valori di lunga durata, non contingenti. Presentando la loro “svolta”, ieri mattina al Centro Congressi Cavour di Roma, hanno ragionato insieme a decine di altri “quadri” Cgil – alcuni già migrati verso Usb, altri che battagliano ostinatamente dentro il congresso che si chiuderà a Rimini all'inizio di maggio, ma con la certezza di finire “asfaltati” a causa dell'assoluto arbitrio con cui si va svolgendo il confronto interno – e di dirigenti Usb. In sala c'era anche Ezio Casagranda, dirigente e segretario storico della Cgil di Trento, uscito-espulso per le critiche radicali al “testo unico” sulla rappresentanza siglato il 10 gennaio scorso, ora dirigente locale Usb.
Del resto, la straordinaria avanzata di questo sindacato registrata all'Ilva di Taranto – dall'assenza al 20% nelle elezioni per le Rsu, in poco più di un anno – testimoniava già del cambiamento che va maturando tra i lavoratori, persino all'interno di una fabbrica storicamente “difficile”, nel settore privato ma con forte controllo clientelare-politico-territoriale. Ma di migrazioni dalla Cgil al sindacalismo di base è piena la storia degli ultimi 30 anni; si può dire che praticamente tutto questo arcipelago sia costituito da ex iscritti e delegati del fu sindacato “comunista”, ora guidato (da dodici anni) da ex fedelissimi di Bettino Craxi.
Che facciano altrettanto due membri del Direttivo Nazionale uscente – Scarpa ne è stato fino a ieri il vicepresidente – è però un evento simbolicamente importante. Non sono i dirigenti più segnalati dalla stampa mainstream, certo, ma hanno una lunghissima storia nell'organizzazione e rappresentano quindi un riferimento implicito per molti nella Cgil. Se loro hanno trovato in Usb un'alternativa all'altezza dell'ambizione – ricostruire il sindacato generale, di classe , conflittuale, in questo mondo stravolto e “eccezionale” - allora questa “alternativa” esiste davvero, è praticabile. Non si è più “costretti” a restare a vita nella Cgil per mancanza di meglio.
Va anche sottolineata la serietà di una fuoriuscita non organizzata secondo le antiche modalità della “scissione”. È il tempo dell'assunzione di responsabilità individuale, del fare seriamente i conti con i problemi; non quello degli “accorpamenti” di frammenti in contenitori teoricamente “ampi” ma dai contenuti abborracciati. E che non funzionano mai. Come in campo politico, per dirla tutta.
Le ragioni di una scelta certamente sofferta, complicata, meditata, non improvvisata, le abbiamo raccolte dalla voce si Franca Peroni, con una ragionamento che qui proviamo a sintetizzare.

*****

È una scelta maturata anche con la dovuta serenità. Ho avuto una esperienza con una lunga permanenza nel luogo di lavoro, con una “scuola di formazione” - in un piccolo comune come Rovereto - fatta da due compagni, delegati operai, che mi hanno insegnato cosa vuol dire fare sindacato; e trasmesso i valori, che erano anche quelli per cui mi ero iscritta, giovanissima, al Partito Comunista. Quei valori e quella “carta costituzionale” ha guidato tutto il mio percorso, anche quando nel '92 ho assunto incarichi nella conduzione della “funzione pubblica” in Trentino, e poi, nel 2002, nella segreteria nazionale.
Riassumo il tutto in una considerazione semplice. Quando io firmo un contratto – e mi è capitato di farlo - non posso più “nascondermi” dietro le scelte di qualcun altro e devo pensare immediatamente alle conseguenze di quell'accordo sulle condizioni materiali di vita dei lavoratori e delle lavoratrici. Il mantenere un radicamento forte alle condizioni materiali sui posti di lavoro ti induce “naturalmente” a stare sulla “retta via”.
Facciamo un esempio. Quando abbiamo riorganizzato tutto il settore dell'igiene ambientale, nell'ambito del contratto nazionale, Confindustria ci diceva: “ma in fondo, se l'autista del camion fa anche la raccolta dei sacchetti, andando da solo anziché in squadra come prima, cosa cambia?”. Cambia che quel lavoratore deve salire e scendere dalla vettura 400 volte nel turno. Ecco, a me piace riferirmi sempre alle condizioni concrete di lavoro quotidiano; bisogna essere in grado di tradurre le impostazioni teoriche o le strategie, lo sviluppo della contrattazione e della legislazione, nella quotidianità della gente che devi rappresentare.
L'altro elemento fondamentale, quello che mi ha fatto capire che non ce la potevo più fare in Cgil, l'ho toccato con mano quando sono tornata a lavorare, “in produzione”, facendo la micro-contrattazione sul territorio. Quando vedi che non più gli strumenti per intervenire, per difendere i lavoratori; e questi strumenti non ti vengono negati dal padrone pubblico o privato, ma dalla tua stessa organizzazione che ha rinunciato a monte ad opporre una qualsiasi resistenza a quanto sta avvenendo – che sta distruggendo il mondo del lavoro. Quando ti accorgi di questo, non puoi più cavartela dicendo ''ma io in fondo resto una persona onesta, che prova a lavorare seriamente'. Perché quel tuo lavoro non produce più risultati, difesa, benessere del lavoratore.
C'è poi un'altra grande questione. Oggi rischi di fare esclusivamente il patronato (da cui ormai derivano il 70% delle entrate della Cgil), la tutela individuale. Che pure è importante per il singolo lavoratore, ma è una cosa limitata, non cambi le condizioni di riferimento, strutturali. Oggi i lavoratori vivono una profonda solitudine; dobbiamo mettere in campo un percorso - è per questo che aderisco a Usb – per combattere prima di tutto la rassegnazione, la solitudine di quanti si sentono e sono soli sul posto di lavoro. E che non riescono a reggere lo scontro impari con il padrone.
Va chiusa la partita su quali sono stati gli sbagli della Cgil e bisogna guardare avanti. Bisogna ragionare sulla prospettiva e aprire alle esperienze e percorsi sindacali diverse. Il confronto tra esperienze diverse può essere molto utile in questa fase, perché ora dobbiamo ricostruire un percorso di resistenza e riappropriazione della consapevolezza delle proprie condizioni; quel che ormai viene negato al mondo del lavoro. Lavoratori e lavoratrici non possono più decidere sulle proprie condizioni. Quando entri in un luogo di lavoro ti ritrovi in una condizione che Maurizio definisce “da sudditi”, ma che è vera. Sei solo, e quindi senza diritti. Se manca la solidarietà di classe, la consapevolezza che è l'unità, il collettivo, a proporre e fondare il principio della “rappresentanza”, allora capisci perché molti hanno deciso di rinunciare a esprimersi, ad avere una rappresentanza sociale e anche politica. Che è poi quello sta avvenendo a tutti i livelli. È drammatico che più della metà della popolazione non esprima un'opzione politica. Per “ricostruire una sinistra” bisogna tornare sui luoghi di lavoro, ri-alfabetizzare politicamente e culturalmente, sui propri diritti.
Ed è importante il ruolo delle donne. Oltre ad abbracciare l'impegno politico e sindacale, ho avuto un approccio anche pacifista-ambientalista, ma soprattutto mi ha formato un approccio femminista. Non ho mai pensato che il sistema delle “quote” potesse rappresentare l'interesse delle donne. Può aiutare nelle fasi più nere, e oggi siamo in una fase nerissima, ma non consentono di risolvere questo problema dell'assenza della voce delle donne nel sindacato in Parlamento.
Il problema è che le donne, ad un certo punto, hanno deciso di “fare altro”. Perché quando ti scontri quotidianamente – anche dentro le organizzazioni di sinistra – con un “pensiero unico”, e non c'è una valorizzazione della differenza di genere, una decide che fa altro, costruisce delle relazioni in altra maniera. È importante il ruolo delle donne nel mondo del lavoro perché purtroppo si tratta di un mondo molto sessista. Viaggia ancora sugli stereotipi. A livello di dirigenza il “tetto di cristallo” viene sfondato da pochissime donne di grande capacità. A livello intermedio hai una pletora di donna in gamba, ma quando sali al livello della dirigenza trovi soltanto uomini. E non è mica perché si sono perse per strada...
Serve il punto di vista delle donne perché c'è un altro approccio al lavoro di cura, riproduttivo (ovviamente), ma anche produttivo. Stare dentro la discussione sindacale con questi punti di vista di genere è necessario per dare risposte migliori a livello complessivo. Non ho mai creduto neppure nei “coordinamenti donne”, perché non ci posssono essere compagne che elaborano a parte una serie di cose e poi le “trasmettono” all'organizzazione. Ci deve essere una discussione con i compagni e le compagne su alcune priorità che devono essere di tutta l'organizzazione. Altrimenti rimani “la bandierina” messa sul tema.
È accaduto anche in Cgil, e penso che molto dipenda anche dal linguaggio. Credoche il linguaggio sessuato sia il punto di partenza per una alfabetizzazione in un tempo in cui tutto va a ritroso. Le conquiste femministe degli anni '70 e successivi sembrano quasi scomparse, si è tornati agli stereotipi. Il fatto che la segretaria generale della Cgil si faccia chiamare “segretario” è per me motivo di sofferenza e di insofferenza al tempo stesso. Significa che neghi te stessa, il tuo genere, la tua soggettività. E questo si vede anche nella contrattazione. Quando tu cominci a porre dei limiti alla tutela sugli orari e i turni, tu stai pesando sulla quotidianeità delle donne molto più di quanto non avvenga per gli uomini. Quando introduci delle riduzioni in materia di malattia, cura, assistenza, maternità, stai intaccando quella sfera dei diritti che le donne si erano faticosamente conquistate. Non ci può essere l'idea che certi diritti esistono quando l'economia va bene e si restringe quando invece va male. Certi paletti debbono rimanere anche in periodi di estrema crisi. E questo manca, ora.
Sul congresso Cgil. È possibile che l'organismo dirigente della Cgil “faccia finta” di non accorgersi dei problemi giganteschi che ci sono. Nel 2009, noi della funzione pubblica e la Fiom avemmo un'intuizione modesta ma straordinaria per l'epoca: mettere insieme lavoro pubblico e lavoro privato. Vivevamo in un'epoca per cui quando andavamo a discutere il rinnovo del contratto ci dicevano “ma che volete, i lavoratori privati prendono anche di meno...”. C'era sempre stata questa separazione netta. Noi abbiamo cercato la ricomposizione – simile a quella avvenuta in Fiom tra operai e impiegati – rimettendo insieme le due maggiori categorie del “pubblico” e del “privato”. Questo progetto si è poi tramutato in una proposta di rinnovamento e ricostituzione del modello di sindacato, che aveva cominciato a scricchiolare. E che ha trovato sbocco nel documento dell'altro congresso, “La Cgil che vogliamo”, capace di raccogliere un'adesione importante in altri settori e categorie. Per esempio nella Filcams, in cui si esprimevano tutte le “innovazioni” in peggio della precarietà e dei luoghi di lavoro atomizzati. Un congresso molto combattuto, in cui sono entrati i “beni comuni”, l'acqua, il ruolo del pubblico in economia, ecc. Lì c'è stata discussione vera e scontro. Lì la Cgil si è spaventata, perché non c'erano solo i meccanici; c'era anche un pezzo “moderato” della Cgil, come la funzione pubblica, che aveva però raggiunto una certa radicalità sui temi del pubblico nell'economia, nei servizi, le partecipate, ecc.
Lì si è aperta una “guerra termonucleare” contro l'opposizione interna, e la costruzione di un gruppo dirigente fondato su un unico criterio valoriale: la fedeltà al segretario generale.
Quel gruppo dirigente ha accettato implicitamente la perdita di relazione con lavoratori e lavoratrici; ovvero il modello di sindacato che io chiamo “cislizzazione della Cgil”, il modello di sindacato per la tutela individuale, ma che non mette in discussione le relazioni generali e accetta la “centralità dell'impresa”.
Quando a monte fai delle scelte politiche, il modello organizzativo ne discende. Nella Cgil ci sono migliaia di compagni che lavorano onestamente e provano a fare una battaglia dentro l'organizzazione- Ma è ormai una battaglia impari, E anche un po' inutile, perché non consente di andare davanti ai lavoratori esponendo le opzioni di fondo. Le assemblee si svolgono in un'ora, non è stato distribuito il materiale, non si conoscono davvero le diverse posizioni.
E c'è rassegnazione. Quando sono tornata a lavorare nel pubblico, che è ancora un settore un po' “protetto”, mi sono trovata davanti a un atteggiamento disperante: “a noi sono cinque anni che non ci rinnovano il contratto, ma in fondo noi abbiamo un lavoro”. Questo significa che i padroni hanno vinto culturalmente, “nella testa” della gente. E allora non puoi continuare ad andare avanti così. Bisogna cambiare strada.

15 commenti:

precari united ha detto...

SONO BRUNACCIO

La Cgil ha fatto nella sua Storia due scelte gravissime: 1) Rappresentare solo i lavoratori dei settori industriali e del mondo della catena di montaggio, fregandosene di tutto il mondo della precarietà che, nelle campagne, negli hotel, negli stabilimenti balneari, nelle cooperative sociali, esisteva da molto prima della crisi, pensando così di garantire così voti al PCI poi PD ecc 2) Interrompere la lotta di classe e diventare un sindacato di fatto 'giallo'. Sono due scelte che in qualche modo si compenetrano, nel senso che scegliere di scaricare tutto un mondo del lavoro che soffre e suda solo perchè non è omogeneo ed è difficile da ricondurre ad un'opera di proselitismo e normalizzazione come lo era il mondo della grande industria è già un annullamento del conflitto; e questa mentalità dei quadri e dei dirigenti ha portato spesso gli operai a considerare i precari quasi svogliati (mettendo i proletari l'uno contro l'altro). Bene questa è già una scelta di annullamento e recupero filopadronale del conflitto. Ora che il sistema fordista in Italia si sta disgregando, che con la crisi sistemica anche gli operai garantiti si stanno precarizzando, che tutto quel piccolo mondo che le garantiva la sua sopravvivenza corporativa sta crollando, credo che la Cgil pagherà amaramente le sue scelte, così come merita. Speriamo però che non continuino a pagare le classi povere, ma non è più nel mondo del sindacato confederale che esse possono trovare sponde. In questo senso, il mondo della logistica, che è oggi la punta più avanzata di classe in Italia per l'importanza della circolazione delle merci (ovvero che se si ferma ferma il Paese), e che con uno sciopero fatto con i sindacati di base hanno bloccato tutto e vinto la vertenza in poco tempo, indica una buona via. E se pensiamo che, oltre ad essere l'elemento centrale strutturale, per loro natura -forte componente di migranti, forte precarietà, flessibilità- i lavoratori della logistica sono anche la fotografia più fedele della composizione del proletariato odierno, qualche piccolo spunto di ottimismo per il futuro si può avere. Uscendo dal quadro sindacale e buttando uno sguardo di insieme, manca ancora la sintesi politica e la sua organizzazione, come diciamo sempre.

precari united ha detto...

SONO BRUNACCIO. RIPORTO UNA CONVERSAZIONE SU FB CON ALCUNI AMICI, CONVERSAZIONE PROBABILMENTE ANCORA IN CORSO E CHE AGGIORNERO' IN CASO DI ULTERIORI INTERVENTI

Bruno i tre sindacati confederati sono sempre stati gialli.La mattina facevano la lotta di classe,la sera si mettevano d'accordo con i padroni.E non parliamo delle prodezze di cui si sono macchiati(a chi ne faceva parte privilegi e avanzamenti d carriera a tutto spiano,ai lavoratori normali,trattenute,licenziamenti,cassintegrazioni a zero ore etc.Comportamenti simil-dc della serie"se sei dei nostri avrai il posto,altrimenti pedala cocco,pedala).Al sindacato(anche in tempi fordisti)del lavoratore non è mai interessato granchè,gli unici scopi erano le tessere e le carriere politiche.Unica eccezione lo statuto dei lavoratori del 1970 per giunta mai attuato di fatto.

Roberto

precari united ha detto...

Certamente. Di fatto, però, quel modo di fare almeno ad un segmento della classe operaia, ovvero i metalmeccanici, garantiva una certa dignità, oggi nemmeno quello. Certo non è giusto e probabilmente, come dicevo già sopra, erano interessi di bottega, ma di fatto una parte di classe, con tutte le ricadute di consumi che ricade a vantaggio dell'intera società, ne traeva forza. Oggi nessuna classe ne trae forza e dunque il peggioramento, anche generale, è evidente. Su quegli anni, anche la sanità pubblica con la sua riforma è stata in certo modo segnata da quelle lotte, così tutta una serie di avanzamenti sociali generali, anche per le donne, in quanto storicamente un momento di avanzamento parziale di solito trae in avanti anche altri settori sociali, così come succede con l'arretramento.

P.S. I primi tempi che facevo politica ricordo molto bene Trentin che doveva parlare da dietro gli scudi di plexiglass perchè gli operai gli tiravano i bulloni...per cui, per capirci, non sono uno che è cresciuto dietro i sindacati in modo acritico. Poi sono abituato che quando parlo della fase cerco di tenere fuori il più possibile le faccende etiche ma di ragionare in puri termini di causa ed effetto, e le cause e gli effetti erano quelli di cui dicevo stanotte, al di là delle intenzioni storiche della CGIL come istituzione (che, come dicevo, era anche garantire serbatoi di voti al PCI). Solo in questo senso va inteso il discorso che facevo.

Brunaccio

precari united ha detto...

Io dico che in molti casi purtroppo i sindacati sono lo specchio dei loro tesserati.

Bigio

precari united ha detto...

Anche questo è vero Bigio, nel senso che spesso il mondo operaio della grande industria ha avuto un pessimo atteggiamento verso i lavoratori meno garantiti, ma io a istinto penso che sia proprio colpa della propaganda delle dirigenze sindacali (mentre alcuni sindacalisti nel loro piccoli sui territori si sono anche impegnati) che ha instillato una certa mentalità borghese nel mondo operaio, visto che era lo stesso periodo in cui nel PCI si passava dalla scuola di sezione al carrierismo e nel sindacato al dirigente professionista concertativo. Poi non so, sapere se il pesce ha iniziato a puzzare dalla testa o dalla coda, è sempre difficile da stabilire ;)

Brunaccio

precari united ha detto...

si bruno ma io accantonerei proprio il discorso di atteggiamento tra le varie fasce produttive, che non sto a giudicare, e perseguirei più il discorso di coscienza dei lavoratori che occupano tutte le categorie.

Bigio

precari united ha detto...

La coscienza è però qualcosa che non nasce dal nulla ma è il risultato di impegno, pensiero e lotte. infatti, se fai caso io auspico un'uscita di massa dalla Cgil in favore della saldatura tra lotte di base per il lavoro, la casa ed il welfare che è progetto embrionale che alcuni compagni stanno tentando anche con buoni risultati, come per la Granarolo e l'Ikea e altre lotte che ci sono state e ci sono.

Brunaccio

precari united ha detto...

io ho subito le angherie sindacali in prima persona, ma ti assicuro che il potere con cui sono stato colpito dal mostro è stato forgiato proprio dai comportamenti delle persone che ne hanno creato la massa.

Bigio

precari united ha detto...

E allora è da domandarsi da dove nasce l'imborghesimento. Se non nasce dal sindacato, proprio perchè le cose non vengono dal nulla, io credo che dipenda da due fattori: il discreto avanzamento del tenore di vita della classe operaia (soprattutto) metalmeccanica (anche in quanto capace, per la struttura stessa della fabbrica, grande e concentrata, di produrre lotte forti) con conseguente attaccamento a questo tenore, e la fine della spinta propulsiva e organizzativa del PCI e dell'incapacità delle sue forze politiche a sinistra di costruire dalla base e di radicarsi nei territori. Il miglioramento delle condizioni materiali di alcune parti del proletariato di suo non sarebbe assolutamente un male, visto che il tanto peggio/ tanto meglio storicamente sappiamo a che cosa porta, ma la combinazione di questi due aspetti è letale. E dunque io continuo a vedere un passaggio di classe innanzitutto nelle strutture e nelle dirigenze, in cui peraltro quasi nessun operaio (Bertinotti a parte, ma con una storia personale molto particolare) ha fatto carriera ad altri vertici, per cui nemmeno ha potuto riportare in alto la sua perdita di coscienza di classe. Altre spiegazioni sensate, personalmente faccio fatica a trovarne.

Brunaccio

precari united ha detto...

le azioni più delle parole, le scelte che si fanno tutti i giorni fanno di un uomo quello che più si avvicina all'Uomo, la domanda è perchè i comportamenti delle persone, e non solo in tempo di crisi, assomigliano sempre di più a ciò che critichiamo tutti i giorni? forse l'esame di coscienza bisogna cominciare a farselo dal basso per poi criticare e distruggere quello che ci sovrasta. Ritrovarsi e fermarsi a pensare senza delega alcuna a ciò che sarebbe bene per noi e per i nostri figli, la cosa grave secondo me è che oggi il bivio è molto più marcato, bisogna ricominciare a pensare a che tipo di uomini vogliamo essere domani. Non so sicuramente io come siamo arrivati a tutto ciò, ma la mia ormai quasi ventennale esperienza lavorativa e sociale, intesa al di fuori di rapporti lavorativi, conferma come l'esistenza di sentimenti quali la solidarietà, l'amore, la coscienza, siano soppiantati dai loro antagonisti più beceri, e se basta una classe dirigente o un tipo di educazione a far si che si crei tutto questo, allora dobbiamo fare mea culpa e ricostruire ii nostri stessi principi morali.

Bigio

precari united ha detto...

Tutto questo è sacrosanto, bigio, ed è un lavoro da fare. Ma intanto che dobbiamo fare un lavoro del genere, credo che si debba stare con quelli che provano ad autoorganizzarsi o che provano a non farsi fregare quel poco che rimane o addirittura provano a costruire un percorso di occupazioni e scioperi e che sono, come si dice nel post, gente altra, sia per estrazione etnica, culturale, che per età e condizioni di mobilità, molto diversi dalle vecchie generazioni, compresa la nostra. Perchè anche le prese di coscienza si sviluppano meglio dentro le lotte che fuori, non fosse altro che per un maggiore confronto (dovuto alla partecipazione) con un mondo che è comunque in trasformazione, o almeno ci sta provando (ossia chi sta andando fuori dalla CGIL).

Brunaccio

precari united ha detto...

sai benissimo bruno, tanto quanto è il tempo che ci conosciamo, la mia vicinanza morale ai movimenti di questo genere, e per intenderci, sono quindici anni che vivo dentro ad un mare agitato senza l'ausilio di nessun salvagente sindacale, sto pagando a duro prezzo tutto questo, la mia oltranza però ultimamente è un continuo conflitto personale.

Bigio

precari united ha detto...

Noi siamo con te, Bigio, e speriamo di riuscire a fare qualcosa per tutti noi che in questo momento stiamo soffrendo. Sai che per qualsiasi cosa io possa contribuire a fare, e così diversi compagni, puoi contattarmi. Se penso a migliorare la mia situazione, non posso non pensare anche alla tua. Bona Bigio, a presto!

Brunaccio

precari united ha detto...

Bruno se ci fossero sindacalisti come il mio conterraneo Giuseppe Di Vittorio(nativo di Cerignola,cittadina a mezzora dal mio paese Ascoli Satriano)ne andrei più che fiero.Non pretendo gente dello stesso spessore(di Di Vittorio ne nascono uno ogni secolo se ci va bene)ma ameno le tutele essenziali dovrebbero curarle....

Roberto

precari united ha detto...

Robi, io credo che se leggi tutta la discussione, non siamo per nulla lontani in quel che diciamo. Semplicemente io ho constatato una serie di effetti sociali, ma sono assolutamente d'accordo sulla funzione storica assolutamente insufficiente, per usare un eufemismo, della storia sindacale degli ultimi quaranta anni almeno.

Brunaccio