da http://temi.repubblica.it/micromega-online/livorno-perche-il-pd-ha-perso-da-sinistra/
di Andrea Raspanti, candidato sindaco per la lista Buongiorno Livorno
Stupisce come dall'esterno sia difficile cogliere il senso di ciò che è successo a Livorno. Stupisce e fa riflettere.
Le versioni più accreditate sui media nazionali sono tutte ugualmente lontane dalla verità dei fatti. Non è stata la sconfitta dell'ultima roccaforte cuperliana da parte di un elettorato renziano. Non è stata la vittoria di un voto di protesta dalle implicazioni autolesioniste come ha suggerito in questi giorni Paolo Virzì. Non è stata nemmeno un'insolita alleanza tra destra sociale e sinistra radicale dietro ai vessilli del M5S come piace pensare e più che altro dire (e scrivere!) ad altri.
Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena su MicroMega e Michele Serra suRepubblica sono tra i pochi che si sono avvicinati alla verità. Peccato per quell'aggettivo di Serra, "nervosa", a etichettare una sinistra che ha condotto una campagna elettorale seria, moderata nei toni e moderna nei contenuti, mantenendo sempre un profilo responsabile da forza di governo e riuscendo infine a raccogliere un sorprendente 16,4% al primo turno.
Peccato perché se non si coglie la natura della sinistra che ha espresso la mia candidatura e, con la sua indicazione di voto, ha decretato al ballottaggio la vittoria di Filippo Nogarin sul candidato del Pd non si capisce davvero cosa sia successo a Livorno. E quello che è successo a Livorno è importante, e molto.
La sinistra che si è affermata a Livorno negli ultimi sei mesi è qualcosa di inedito in Italia. Per una seconda volta, forse per ironia della sorte ma forse no, Livorno ha fatto un passo avanti rispetto allo scenario politico del resto del Paese.
Il percorso che ha portato all'esito così mediaticamente appetibile di Livorno usurpata dal movimento di Beppe Grillo è iniziato sei mesi fa, quando ha preso vita Buongiorno Livorno, un movimento che fin dalla sua costituzione in associazione si è richiamato a un'idea pluralista della sinistra nel solco dell'eterogenea tradizione italiana e internazionale dell'antifascismo. Un movimento che si è raccolto quasi spontaneamente intorno a un'ipotesi tanto semplice quanto rivoluzionaria: la profonda crisi che Livorno sta vivendo è in misura sensibile l'effetto di un'assenza di ricambio della classe dirigente cittadina e della presenza di un Partito Democratico incapace di garantire l'emergenza dei talenti, delle vocazioni, delle energie e delle capacità di cui pure la città è ricca nelle sue intercapedini.
Da subito si è affermata come priorità la sperimentazione di nuove forme di agire politico, di strutture in grado di sostituire i vecchi partiti di massa ormai ridotti ad apparati per la gestione delle clientele (secondo la previsione che Enrico Berlinguer fece nel 1984) e di garantire le condizioni per una mediazione intelligente dell'interesse collettivo tra società civile e ruoli di pubblica responsabilità. L'opzione è caduta su una forma di democrazia assembleare che integrasse le istituzioni della democrazia rappresentativa con i percorsi partecipativi e la democrazia diretta. Nel giro di poche settimane, le assemblee di Buongiorno Livorno sono passate da riempire locali undeground a riempire teatri, fino a toccare quota 400 partecipanti (su quasi 2000 associati raccolti in due soli mesi di campagna di tesseramento). Ora capirete che 400 persone che per 4 o 5 ore si confrontano sui problemi della loro città sono di per sé un caso nazionale che prima di essere etichettato come fenomeno radicale o estremo richiede un po' di prudenza di giudizio e, magari, un'occhiata alla composizione delle liste, che annoveravano operai, disoccupati, precari, insegnanti, liberi professionisti, ricercatori, imprenditori...
Il risultato di BL al primo turno, quei 14.000 voti ottenuti nonostante la concomitanza tra le elezioni europee e amministrative e una campagna elettorale completamente autofinanziata e prossima al costo zero, è l'effetto di questo percorso. Se pensate che per soli 2300 voti di differenza dal M5S non sono finito al ballottaggio forse capite il peso e il significato che l'esperienza che vi ho brevemente tratteggiato ha avuto in città.
Ora, la domanda che tutti si fanno pensando a Livorno in questi giorni e che più spesso mi è stata rivolta è: come mai una forza politica di sinistra come la vostra decide di dare un'indicazione di voto per il candidato pentastellato e non per i "cugini" del Pd?
Abbiamo valutato in una partecipatissima assemblea che una forza che ha ambizioni di governo come la nostra, quando prenda atto che non ci sono le condizioni per realizzare il governo che ha in mente (e né il Pd né il M5S garantiscono, dal nostro punto di vista, queste condizioni), deve agire per produrre un'evoluzione dello scenario politico e culturale nella direzione che rende più praticabile in futuro il proprio progetto. La nostra valutazione è stata che un Pd come quello livornese, privo di ogni capacità di mobilitazione politica e ormai ridotto a "un apparato per la gestione delle clientele", aveva una sola carta per vincere: appellarsi alla trama di poteri e interessi che in decenni in cui a Livorno è mancato anche solo il rischio dell'alternanza ha fisiologicamente prodotto sul territorio e puntualmente anteposto ai bisogni e ai diritti dei cittadini. Se così avesse fatto e fosse stato premiato, la città avrebbe potuto dire addio, al di là dei proclami, al grande cambiamento di cui ha bisogno urgente e prioritario. Avrebbe in sostanza aumentato il livello del proprio "indebitamento" e rinunciato a qualunque possibilità di un rinnovamento interno.
D'altro canto, sebbene il M5S cittadino, composto da persone con una cultura politica di sinistra che aderirono ai meetup nella speranza di qualcosa di nuovo più a sinistra del Pd, si fosse presentato alle elezioni con un programma che presentava vari punti di convergenza col nostro sulle tematiche ambientali, del vivere urbano, del trasporto, delle politiche a rifiuti e volumi zero, della trasparenza amministrativa, rimanevano in molti di noi delle perplessità sull'opportunità anche di un appoggio informale. Il dubbio risaliva alle posizioni ufficiali del Movimento sul piano nazionale, dalle ambiguità per noi collegate alle collocazione in una prospettiva post-ideologica, alla questione delle alleanze europee, a un certo modo di intendere la partecipazione e a certe modalità comunicative e di gestione del dibattito interno. La scelta, doppo attento dibattito, è stata quella di un orientamento di voto condizionato: ai nostri elettori, fatta ovviamente salva la sacrosanta libertà di coscienza, abbiamo consigliato di votare per Filippo Nogarin solo se avessero ritenuto che il M5S livornese fosse stato in grado, nelle ultime due settimane di campagna elettorale, di smarcarsi dalle destre non solo sul piano formale degli apparentamenti resi impossibili dal loro statuto, ma soprattutto sul piano dei valori e dei principi.
Abbiamo in sostanza espresso un'indicazione di voto e sollecitato il M5S a una presa di posizione su temi cruciali come l'accoglienza degli stranieri, i diritti civili, le politiche di genere e dell'orientamento sessuale. Le prese di posizione sono arrivate, sono state credibili, e alla fine sono arrivati pure i voti. Senza entusiasmo, senza festeggiamenti, con una netta dichiarazione di rifiuto a qualunque incarico in giunta, dai banchi dell'opposizione BL oggi esprime la propria soddisfazione per aver contribuito in modo decisivo al progetto di discontinuità per cui è nata e per aver prodotto uno scenario cittadino più aperto ad accogliere i progetti che ha elaborato in questi mesi e per quelli che elaborerà d'ora in poi.
Ma la destra?, chiedono i giornalisti facendo riferimento alla convergenza sul candidato del M5S dei voti della candidata ex-missina Marcella Amadio. "Chiedetelo a loro", rispondo io, "a loro che hanno votato al ballottaggio un candidato e un programma con cui hanno molto poco in comune su quasi ogni tema". Non c'è bisogno di ricordare come tante buone cause siano state nella storia sostenute da ampi schieramenti che ospitavano al loro interno peroratori di cause che di buono avevano poco senza per questo perdere la loro ragion d'essere e, soprattutto, d'essere sostenute. Per stare agli ultimi anni, i 4 sì per acqua pubblica e rifiuto del nucleare erano una meno buona causa per il fatto che a sostenerla c'era anche Forza Nuova?
La risposta alla domanda sul nostro voto non è insomma in Renzi o in Cuperlo, né nell'immaturità di un movimento di protesta e testimonianza. La risposta è innanzitutto che il Pd, almeno sul piano cittadino, non è una forza di sinistra. O almeno non lo è più. E che alla resa dei conti, fatta salva la nostra distanza politica e culturale da entrambi, sussistono più dubbi sulla collocazione a sinistra del Pd livornese che non del meetup locale del M5S.
La verità su Livorno è che il Pd ha perso da sinistra. E ha perso perché è diventato una forza conservatrice dei privilegi di una piccola parte della popolazione. Un partito che ricorre a una comunicazione di matrice berlusconiana per vincere e ha del tutto rinunciato a elaborare letture in grado di mobilitare i cittadini in direzione di una trasformazione della società in senso più democratico e libertario. Il tentativo di costruire un'equazione tra M5S e la destra a cui i democratici si sono appellati nelle ultime due settimane è stato l'ultimo scivolone. I livornesi e le livornesi hanno capito che, almeno sul piano locale, questa equazione è falsa e disonesta. Adesso Nogarin, che nel frattempo ha dichiarato pubblicamente di aver votato Democrazia Proletaria, Radicali e poi sempre per i Verdi, si trova davanti un compito delicatissimo, e deve innanzitutto guardarsi dalla trappola psicologica di scambiare il consiglio comunale per la città. Già, perché la legge elettorale fa sì che chi, a fronte di un'astensione del 50% al secondo turno, può dire a conti fatti di essere stato votato solo dal 25% dell'elettorato (e un 25% messo insieme a un ballottaggio, con molti voti, come i nostri, espressi per senso di responsabilità e spirito di riduzione del danno), si ritrovi con una maggioranza blindatissima nelle istituzioni (il 60% dei seggi).
Governare in una situazione del genere impone un atteggiamento aperto e una disposizione all'ascolto della città. Una città che, con buona pace dei commentatori nazionali, non è affatto andata a destra ed è abbastanza smagata da saper distinguere la sostanza dai proclami. Livorno, insomma, è sempre Livorno la Rossa. Se lo ricordi Nogarin, e se lo ricordino gli italiani.
Andrea Raspanti, candidato Sindaco per la lista civica Buongiorno Livorno
di Andrea Raspanti, candidato sindaco per la lista Buongiorno Livorno
Le versioni più accreditate sui media nazionali sono tutte ugualmente lontane dalla verità dei fatti. Non è stata la sconfitta dell'ultima roccaforte cuperliana da parte di un elettorato renziano. Non è stata la vittoria di un voto di protesta dalle implicazioni autolesioniste come ha suggerito in questi giorni Paolo Virzì. Non è stata nemmeno un'insolita alleanza tra destra sociale e sinistra radicale dietro ai vessilli del M5S come piace pensare e più che altro dire (e scrivere!) ad altri.
Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena su MicroMega e Michele Serra suRepubblica sono tra i pochi che si sono avvicinati alla verità. Peccato per quell'aggettivo di Serra, "nervosa", a etichettare una sinistra che ha condotto una campagna elettorale seria, moderata nei toni e moderna nei contenuti, mantenendo sempre un profilo responsabile da forza di governo e riuscendo infine a raccogliere un sorprendente 16,4% al primo turno.
Peccato perché se non si coglie la natura della sinistra che ha espresso la mia candidatura e, con la sua indicazione di voto, ha decretato al ballottaggio la vittoria di Filippo Nogarin sul candidato del Pd non si capisce davvero cosa sia successo a Livorno. E quello che è successo a Livorno è importante, e molto.
La sinistra che si è affermata a Livorno negli ultimi sei mesi è qualcosa di inedito in Italia. Per una seconda volta, forse per ironia della sorte ma forse no, Livorno ha fatto un passo avanti rispetto allo scenario politico del resto del Paese.
Il percorso che ha portato all'esito così mediaticamente appetibile di Livorno usurpata dal movimento di Beppe Grillo è iniziato sei mesi fa, quando ha preso vita Buongiorno Livorno, un movimento che fin dalla sua costituzione in associazione si è richiamato a un'idea pluralista della sinistra nel solco dell'eterogenea tradizione italiana e internazionale dell'antifascismo. Un movimento che si è raccolto quasi spontaneamente intorno a un'ipotesi tanto semplice quanto rivoluzionaria: la profonda crisi che Livorno sta vivendo è in misura sensibile l'effetto di un'assenza di ricambio della classe dirigente cittadina e della presenza di un Partito Democratico incapace di garantire l'emergenza dei talenti, delle vocazioni, delle energie e delle capacità di cui pure la città è ricca nelle sue intercapedini.
Da subito si è affermata come priorità la sperimentazione di nuove forme di agire politico, di strutture in grado di sostituire i vecchi partiti di massa ormai ridotti ad apparati per la gestione delle clientele (secondo la previsione che Enrico Berlinguer fece nel 1984) e di garantire le condizioni per una mediazione intelligente dell'interesse collettivo tra società civile e ruoli di pubblica responsabilità. L'opzione è caduta su una forma di democrazia assembleare che integrasse le istituzioni della democrazia rappresentativa con i percorsi partecipativi e la democrazia diretta. Nel giro di poche settimane, le assemblee di Buongiorno Livorno sono passate da riempire locali undeground a riempire teatri, fino a toccare quota 400 partecipanti (su quasi 2000 associati raccolti in due soli mesi di campagna di tesseramento). Ora capirete che 400 persone che per 4 o 5 ore si confrontano sui problemi della loro città sono di per sé un caso nazionale che prima di essere etichettato come fenomeno radicale o estremo richiede un po' di prudenza di giudizio e, magari, un'occhiata alla composizione delle liste, che annoveravano operai, disoccupati, precari, insegnanti, liberi professionisti, ricercatori, imprenditori...
Il risultato di BL al primo turno, quei 14.000 voti ottenuti nonostante la concomitanza tra le elezioni europee e amministrative e una campagna elettorale completamente autofinanziata e prossima al costo zero, è l'effetto di questo percorso. Se pensate che per soli 2300 voti di differenza dal M5S non sono finito al ballottaggio forse capite il peso e il significato che l'esperienza che vi ho brevemente tratteggiato ha avuto in città.
Ora, la domanda che tutti si fanno pensando a Livorno in questi giorni e che più spesso mi è stata rivolta è: come mai una forza politica di sinistra come la vostra decide di dare un'indicazione di voto per il candidato pentastellato e non per i "cugini" del Pd?
Abbiamo valutato in una partecipatissima assemblea che una forza che ha ambizioni di governo come la nostra, quando prenda atto che non ci sono le condizioni per realizzare il governo che ha in mente (e né il Pd né il M5S garantiscono, dal nostro punto di vista, queste condizioni), deve agire per produrre un'evoluzione dello scenario politico e culturale nella direzione che rende più praticabile in futuro il proprio progetto. La nostra valutazione è stata che un Pd come quello livornese, privo di ogni capacità di mobilitazione politica e ormai ridotto a "un apparato per la gestione delle clientele", aveva una sola carta per vincere: appellarsi alla trama di poteri e interessi che in decenni in cui a Livorno è mancato anche solo il rischio dell'alternanza ha fisiologicamente prodotto sul territorio e puntualmente anteposto ai bisogni e ai diritti dei cittadini. Se così avesse fatto e fosse stato premiato, la città avrebbe potuto dire addio, al di là dei proclami, al grande cambiamento di cui ha bisogno urgente e prioritario. Avrebbe in sostanza aumentato il livello del proprio "indebitamento" e rinunciato a qualunque possibilità di un rinnovamento interno.
D'altro canto, sebbene il M5S cittadino, composto da persone con una cultura politica di sinistra che aderirono ai meetup nella speranza di qualcosa di nuovo più a sinistra del Pd, si fosse presentato alle elezioni con un programma che presentava vari punti di convergenza col nostro sulle tematiche ambientali, del vivere urbano, del trasporto, delle politiche a rifiuti e volumi zero, della trasparenza amministrativa, rimanevano in molti di noi delle perplessità sull'opportunità anche di un appoggio informale. Il dubbio risaliva alle posizioni ufficiali del Movimento sul piano nazionale, dalle ambiguità per noi collegate alle collocazione in una prospettiva post-ideologica, alla questione delle alleanze europee, a un certo modo di intendere la partecipazione e a certe modalità comunicative e di gestione del dibattito interno. La scelta, doppo attento dibattito, è stata quella di un orientamento di voto condizionato: ai nostri elettori, fatta ovviamente salva la sacrosanta libertà di coscienza, abbiamo consigliato di votare per Filippo Nogarin solo se avessero ritenuto che il M5S livornese fosse stato in grado, nelle ultime due settimane di campagna elettorale, di smarcarsi dalle destre non solo sul piano formale degli apparentamenti resi impossibili dal loro statuto, ma soprattutto sul piano dei valori e dei principi.
Abbiamo in sostanza espresso un'indicazione di voto e sollecitato il M5S a una presa di posizione su temi cruciali come l'accoglienza degli stranieri, i diritti civili, le politiche di genere e dell'orientamento sessuale. Le prese di posizione sono arrivate, sono state credibili, e alla fine sono arrivati pure i voti. Senza entusiasmo, senza festeggiamenti, con una netta dichiarazione di rifiuto a qualunque incarico in giunta, dai banchi dell'opposizione BL oggi esprime la propria soddisfazione per aver contribuito in modo decisivo al progetto di discontinuità per cui è nata e per aver prodotto uno scenario cittadino più aperto ad accogliere i progetti che ha elaborato in questi mesi e per quelli che elaborerà d'ora in poi.
Ma la destra?, chiedono i giornalisti facendo riferimento alla convergenza sul candidato del M5S dei voti della candidata ex-missina Marcella Amadio. "Chiedetelo a loro", rispondo io, "a loro che hanno votato al ballottaggio un candidato e un programma con cui hanno molto poco in comune su quasi ogni tema". Non c'è bisogno di ricordare come tante buone cause siano state nella storia sostenute da ampi schieramenti che ospitavano al loro interno peroratori di cause che di buono avevano poco senza per questo perdere la loro ragion d'essere e, soprattutto, d'essere sostenute. Per stare agli ultimi anni, i 4 sì per acqua pubblica e rifiuto del nucleare erano una meno buona causa per il fatto che a sostenerla c'era anche Forza Nuova?
La risposta alla domanda sul nostro voto non è insomma in Renzi o in Cuperlo, né nell'immaturità di un movimento di protesta e testimonianza. La risposta è innanzitutto che il Pd, almeno sul piano cittadino, non è una forza di sinistra. O almeno non lo è più. E che alla resa dei conti, fatta salva la nostra distanza politica e culturale da entrambi, sussistono più dubbi sulla collocazione a sinistra del Pd livornese che non del meetup locale del M5S.
La verità su Livorno è che il Pd ha perso da sinistra. E ha perso perché è diventato una forza conservatrice dei privilegi di una piccola parte della popolazione. Un partito che ricorre a una comunicazione di matrice berlusconiana per vincere e ha del tutto rinunciato a elaborare letture in grado di mobilitare i cittadini in direzione di una trasformazione della società in senso più democratico e libertario. Il tentativo di costruire un'equazione tra M5S e la destra a cui i democratici si sono appellati nelle ultime due settimane è stato l'ultimo scivolone. I livornesi e le livornesi hanno capito che, almeno sul piano locale, questa equazione è falsa e disonesta. Adesso Nogarin, che nel frattempo ha dichiarato pubblicamente di aver votato Democrazia Proletaria, Radicali e poi sempre per i Verdi, si trova davanti un compito delicatissimo, e deve innanzitutto guardarsi dalla trappola psicologica di scambiare il consiglio comunale per la città. Già, perché la legge elettorale fa sì che chi, a fronte di un'astensione del 50% al secondo turno, può dire a conti fatti di essere stato votato solo dal 25% dell'elettorato (e un 25% messo insieme a un ballottaggio, con molti voti, come i nostri, espressi per senso di responsabilità e spirito di riduzione del danno), si ritrovi con una maggioranza blindatissima nelle istituzioni (il 60% dei seggi).
Governare in una situazione del genere impone un atteggiamento aperto e una disposizione all'ascolto della città. Una città che, con buona pace dei commentatori nazionali, non è affatto andata a destra ed è abbastanza smagata da saper distinguere la sostanza dai proclami. Livorno, insomma, è sempre Livorno la Rossa. Se lo ricordi Nogarin, e se lo ricordino gli italiani.
Andrea Raspanti, candidato Sindaco per la lista civica Buongiorno Livorno
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