da http://www.senzasoste.it/speciali/gaza-hamas-likud-e-la-manipolazione-storica-e-linguistica-dei-media
Le guerre si combattano con la propaganda e gli slogan. Finiti gli argomenti per giustificare il massacro palestinese ora il tormentone è Hamas. Ma nessuno dice che il governo israeliano in carica ha una storia fatta di terrorismo e estremismo quantomeno al pari di Hamas ma con una sproporzione di forza militare a proprio favore compreso il possesso della bomba atomica
Sembra che se ne siano accorti tutti dopo 8 anni, ma Hamas è al potere nel parlamento palestinese dal 2006, esattamente il 26 gennaio. Hamas ha vinto le elezioni per diversi governatorati tra cui Gaza e Gaza nord, che fanno parte della ANP, Autorità Nazionale Palestinese. L'ANP è stata costituita secondo gli accordi di Oslo del '93 ratificati dall'ONU. Hamas, per quanto turbi le colombe della pace, ha vinto le elezioni della Striscia ANP. Dopo una prima fase di contestazione nell'aprile di quest'anno ANP Cisgiordania e ANP Gaza, leggi Olp e Hamas, hanno raggiunto un accordo di pace riconoscendosi a vicenda e garantendo nuove regolari elezioni ANP entro 5 anni. E' uno dei motivi per cui Israele ha attaccato: impedire la ricostruzione della ANP secondo gli accordi di Oslo del '93. Dire queste cose non è incitare alla Jihad e non è nemmeno difficile informarsi.
1. Hamas
2. Le richieste
Il famigerato statuto di Hamas che prevede la cancellazione dello stato di Israele e la sostituzione con uno stato islamico palestinese è invece datato 1988. Come vedremo sulla parte dedicata ad Israele, chi governa ora in Israele dal punto di vista storico, statutario e teorico non è da meno. Con la differenza che nessuno ne parla. Noi non ne facciamo un problema storico-teorico e tantomeno religioso e quindi ci limitiamo a leggere le richieste che fa Hamas per un cessate il fuoco e per il futuro della striscia di Gaza:
ritiro dell’esercito israeliano e autorizzazione dei coltivatori a lavorare le loro terre fino al muro di sicurezza; scarcerazione di tutti i prigionieri rilasciati in cambio della liberazione di Gilad Shalit e poi arrestati; fine dell’assedio e apertura dei valichi; apertura di un porto e di un aeroporto sotto gestione Onu; ampliamento della zona di pesca; supervisione internazionale del valico di Rafah; impegno da parte di Israele a mantenere un cessate il fuoco decennale e chiusura dello spazio aereo di Gaza ai velivoli israeliani; concessione ai residenti di Gaza di permessi per visitare Gerusalemme e pregare nella moschea Al Aqsa; impegno da parte di Israele a non interferire con le decisioni politiche interne dei palestinesi, vedi la creazione di un governo di unità nazionale; infine, apertura della zona industriale di Gaza.
In Hamas l’estremismo convive con una certa dose di realismo, sia pure ambiguo. Ad esempio, dopo l’operazione dell’esercito israeliano “Piombo Fuso” del Natale 2008, Khaled Mesh’al, capo dell’ufficio politico a Damasco, dichiarò che Hamas era intenzionato a cooperare con una “soluzione del conflitto Arabo-Israeliano che includesse uno stato Palestinese sui confini del 1967”, a condizione che Gerusalemme est fosse riconosciuta come capitale del nuovo stato e che fosse riconosciuto il diritto al ritorno per i milioni di rifugiati palestinesi, profughi loro e i loro figli e nipoti fin dalla guerra del 1948. Infatti, al di là delle divergenze di natura religiosa, la differenza i conflitti fra Fatah e Hamas nascono proprio dalla differente interpretazione degli accordi di Oslo che Hamas non riconosce e che hanno sempre cercato di boicottare con una fitta azione di attentati terroristici anche verso civili israeliani, fermatosi poi in seguito alla tregua del 2004. Secondo Hamas la linea di compromesso con Israele non può essere, detta in termini semplicistici, quella del rientro ai confini del 1967. Dal 2005 non sono stati compiuti più attentati verso la popolazione civile e la strategia militare di Hamas si è spostata verso il lancio dei famigerati missili artigianali Qassam che hanno fatto registrare non più di 20 morti in 10 anni cioè quello che le operazioni militari israeliani ogni 10 minuti di attacchi.
Nel 2006 Isma'il Haniyeh, leader di Hamas all'epoca aveva dichiarato: "Se Israele dichiarasse di dare ai palestinesi uno Stato e ridare loro tutti i loro diritti, allora saremmo pronti a riconoscerli". L'ala militare di Hamas sono le Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām che prendono nome da uno dei padri della resistenza palestinese contro i britannici che controllavano il territorio. Mentre per Usa e UE Hamas è un'organizzazione terroristica, Gran Brestagna e Australia si limitano a considerare tale solo l'ala militare. Capi di Hamas e esponenti delle Brigate sono stati uccisi dai cosiddetti "omicidi mirati" dell'esercito israeliano.
E’ inoltre molto complesso capire il rapporto di Hamas con i vari gruppi armati presenti nella Striscia, atteggiamento che varia spesso dalla collusione alla repressione a seconda dei momenti storici e delle strategie politiche e militari.
3. La Fratellanza musulmana
4. La nuova geopolitica mediorientale con Hamas isolata
5. Terrorismo e guerra asimmetrica
Mentre nei principali media e specialmente nel lessico politico italiano siamo fermi al concetto di terrorismo per spiegare qualunque cosa si muova fuori da un esercito “regolare” e uno Stato ben definito, negli ultimi 20 anni ogni libro di tattica e strategia di guerra e di diritto internazionale non può non far riferimento al concetto di guerra asimmetrica. Le tecnologie militari sofisticate e la crescita delle capacità militari fra chi può permettersele o meno, ha creato un enorme differenza di potenza militare nel mondo. Dall’Iraq, all’Afghanistan, alla Libia fino a Gaza assistiamo a guerre asimmetriche in cui una delle due parti non ha alcuna capacità di potersi difendere militarmente con eserciti regolari o sistemi di contraerea. Per questo motivo molti movimenti di liberazione o di resistenza alle occupazioni militari utilizzano sempre di più tecniche moderne di guerriglia che hanno come unico scopo minare le sicurezze e la quotidianità del nemico con attacchi finalizzati ad una destabilizzazione per lo più psicologica. Chi applica queste tecniche viene tacciato preventivamente di terrorismo, con le stesse motivazioni che i nazifascisti definivano “banditen” i partigiani italiani. In questa guerra asimmetrica, posto che Hamas utilizzi tecniche da definirsi terroristiche (e potrebbe anche essere ma vanno motivate seriamente), come si possono definire i bombardamenti israeliani a Gaza City? Che senso ha sventolare sempre lo spauracchio di Hamas per legittimare l’autodifesa di Israele? In una guerra asimmetrica il quadro da valutare è quello globale. Se Hamas è terrorista lo è anche il governo israeliano. Non lo diciamo noi, ma l'ONU: il bombardamento di scuole, rifugi e ospedali è una scelta deliberata di Israele, non è un errore. Senza contare che in passato era definito terrorista anche Arafat e l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Quindi cosa è cambiato? Nel gergo mediatico e politico terrorista è da 50 anni chiunque combatti con le armi l’occupazione israeliana. Che si chiami Hamas o OLP l’uccisione della popolazione palestinese e il logoramento del territorio va avanti senza tregua.
6. Israele e terrorismo: storia
6a. Il terrorismo fra le due guerre mondiali
Per rispondere alla prima domanda bisogna fare un salto indietro nel tempo, precisamente al 1923.In quest'anno l'ebreo russo Vladimir Jabotinskij, veterano dell'Esercito Imperiale Britannico e organizzatore di milizie di autodifesa ebraiche durante i Pogrom, scrive “la Muraglia d'Acciaio”, dando origine al movimento sionista revisionista, una fazione minoritaria in rottura con l'Organizzazione Sionista Mondiale. Il Partito Sionista Revisionista, destrorso, nazionalista, antisocialista e anticomunista, ha le idee molto chiare: lo scontro con gli arabi è inevitabile, quindi i sionisti, organizzati in una Legione Ebraica sotto l'egida britannica, devono conquistare militarmente tutto il territorio tra le due rive del Giordano per creare uno stato ebraico molto più esteso dell'odierna Israele. Naturalmente, nel progetto sionista revisionista originale non c'era alcun spazio “geografico” per una nazione palestinese e, addirittura, neanche per la Giordania. Qui la cronologia è importante: questo piano ideale (e militare) noto come “Grande Israele” è concepito già a partire dal 1925. Per avere un'idea dello sfondo culturale di questi gruppi politici, aspramente criticati e osteggiati anche dal resto del sionismo, è sufficiente citare una circolare dei revisionisti italiani, datata 1929: "Ci hanno chiamato i fascisti del Sionismo. E sia. Voglia il Signore che la nostra opera sia così provvida per le sorti d’Israele risorgente come lo è stato e lo è quella del Fascismo per l’Italia”.Del resto, lo stesso Jabotinskij aveva allacciato rapporti con Mussolini, possibile alleato contro i britannici che l'avevano esiliato dalla Palestina. Frutto di questa collaborazione sarà, nel 1934, la nascita a Civitavecchia della Marina di Israele, avvenuta solo quattro anni prima della promulgazioni delle leggi razziali antisemite in Italia.
Abbiamo dunque la risposta a una delle domande iniziali. Senza nulla togliere alle vittime delle rivolte armate palestinesi, è evidente che, nella storia del conflitto arabo-israeliano, le prime organizzazioni terroristiche capaci di compiere attentati rivendicati contro obiettivi civili sono state fondate da sionisti ebrei, in particolare dai sionisti revisionisti.
6b. Il dopoguerra e la nascita del Likud
Per rispondere alla seconda domanda posta all'inizio basterà invece seguire la carriera politica di due terroristi sionisti: il capo dell'Irgun, Begin, e il leader della banda Stern, Shamir. Già nel 1948, una trentina di intellettuali ebrei tra cui Albert Einstein e Anna Harendt, preoccupati per la situazione politica di Israele, scrissero un'accorata lettera al New York Times in cui accusavano senza mezzi termini Begin e il suo neonato partito Herut di "fascismo", "terrorismo" e di "propagandare idee di superiorità razziale". Ciononostante, Begin, dopo un periodo all'opposizione parlamentare, diventerà nel 1967 ministro del governo di unità nazionale. Successivamente fonderà proprio il Likud, il partito dell'attuale premier Benjamin Netanyahu, con il quale vincerà le elezioni nel 1977 diventando Primo Ministro di Israele. Nel 1978 riconsegnerà il Sinai agli Egiziani a seguito degli accordi di Camp David, ricevendo il Nobel per la Pace. Forte di questa “meritata” onorificenza, bombarderà una centrale nucleare irachena, ordinerà l'invasione del Libano nel 1982 e il suo ministro della difesa Ariel Sharon sarà condannato come responsabile del massacro di Sabra e Shatila. A seguito del protrarsi della guerra in Libano (un disastro che finirà solo nel 2000) e della crisi economica, darà le dimissioni nel 1983 passando le consegne al compagno di attentati e scorribande Shamir. L'ex terrorista della Banda Stern sarà Primo Ministro per ben due volte, fino al 1992, oltre che leader del partito Likud. Eccoci dunque ai giorni nostri: l'erede politico di Shamir alla guida del Likud è proprio Benjamin Netanyahu, per la prima volta premier nel 1996. Il Likud, infatti, è la diretta filiazione ideologica, politica e “dinastica” del Partito Sionista Revisionista e dell'Irgun.
Nel 1943 Shamir si riconosceva in queste affermazioni, pubblicate sul giornale nazionalista “The Front”: “Né l’etica ebraica né la tradizione ebraica possono escludere il terrorismo come mezzo di combattimento. Siamo molto lontani dal farci scrupoli morali fino a quando la nostra guerra nazionale va avanti. Abbiamo di fronte a noi il comando della Torah, la cui moralità sorpassa quella di ogni altro corpus giuridico nel mondo: ‘Voi li cancellerete fino all’ultimo uomo’. Siamo particolarmente lontani dal farci scrupoli morali nei riguardi di qualsiasi nemico, il cui degrado morale è qui universalmente riconosciuto”.
Quando è morto, nel 2012, Netanyahu ha voluto rendergli omaggio con queste parole: “Yitzhak Shamir apparteneva alla generazioni di giganti che hanno fondato lo Stato di Israele e che hanno lottato per la libertà del popolo ebraico nella propria terra”. Ha anche citato una sua frase che mette i brividi: “gli arabi sono gli stessi arabi, così come il mare è lo stesso mare”, aggiungendo che “aveva compreso verità fondamentali”.
7. Netanyahu e Lieberman
Pubblichiamo questo testo diviso in 7 paragrafi e scritto a più mani sui motivi politici, economici e geopolitici del massacro che si sta perpretando a Gaza. Per arrivare a delle conclusioni abbiamo cercato di ripercorrere la storia e il contesto in cui sono nate le attuali organizzazioni politiche che governano Israele e Striscia di Gaza. A differenza di come la propaganda occidentale vuole far passare, scoprirete come l'attuale governo israeliano è diretta filiazione delle peggiori istanze terroristiche ed estremiste che lo stato di Israele ha espresso in un secolo di violenze in medioriente. Questo testo non ha la velleità nè di essere esaustivo della ricca e lunga storia di quella striscia di terra nè di essere un saggio storico o politico. E' solo il risultato di un impegno da parte di persone interne ed esterne alla nostra redazione di mettere insieme le proprie conoscenze e le esperienze dirette e di dare alcuni strumenti di analisi per difendersi dalla manipolazione mediatica. Tutto ciò anche alla luce del fatto che molti singoli o organizzazioni che si rifanno ad una tradizione di sinistra e filopalestinese affrontano con timore e superficialità questa situazione di conflitto sfociata in genocidio, finendo per ripetere incoscientemente le manipolazioni e il linguaggio che gli viene propinato quotidianamente dai media principali. redazione 11 agosto 2014
***Le guerre si combattano con la propaganda e gli slogan. Finiti gli argomenti per giustificare il massacro palestinese ora il tormentone è Hamas. Ma nessuno dice che il governo israeliano in carica ha una storia fatta di terrorismo e estremismo quantomeno al pari di Hamas ma con una sproporzione di forza militare a proprio favore compreso il possesso della bomba atomica
Sembra che se ne siano accorti tutti dopo 8 anni, ma Hamas è al potere nel parlamento palestinese dal 2006, esattamente il 26 gennaio. Hamas ha vinto le elezioni per diversi governatorati tra cui Gaza e Gaza nord, che fanno parte della ANP, Autorità Nazionale Palestinese. L'ANP è stata costituita secondo gli accordi di Oslo del '93 ratificati dall'ONU. Hamas, per quanto turbi le colombe della pace, ha vinto le elezioni della Striscia ANP. Dopo una prima fase di contestazione nell'aprile di quest'anno ANP Cisgiordania e ANP Gaza, leggi Olp e Hamas, hanno raggiunto un accordo di pace riconoscendosi a vicenda e garantendo nuove regolari elezioni ANP entro 5 anni. E' uno dei motivi per cui Israele ha attaccato: impedire la ricostruzione della ANP secondo gli accordi di Oslo del '93. Dire queste cose non è incitare alla Jihad e non è nemmeno difficile informarsi.
1. Hamas
Hamas nasce verso la fine degli anni ’80, precisamente nel 1987, e nei 20 anni successivi aumenta il proprio radicamento con il peggiorare della situazione e specialmente a Gaza. Se Fatah progressivamente viene visto come “spuntato” e corrotto, Hamas acquisisce popolarità con una fitta rete di welfare militante (ambulatori, ospedali, scuole) fino alla vittoria del 2006 con il 44% dei voti contro il 41% di Fatah ma con un netto predominio nella striscia di Gaza, fatto che ha dato vita a duri scontri fra le due fazioni. Ma nella storia di questi scontri interni ci sono anche tentativi di riavvicinamento e accordi politici e di governo per tenere unite fazioni e territori, ultimo dei quali proprio pochi giorni prima del rapimento dei 3 coloni israeliani che poi si è rivelato il “casus belli” per riprendere le ostilità. D’altra parte non è un caso che si legga in molti articoli e analisi che Israele abbia per primo bisogno di Hamas per legittimare la propria politica di occupazione. Il nodo infatti sta tutto qui, cioè rompere da parte della comunità internazionale il tabù dell'impossibilità di appoggiare un governo palestinese che includa Hamas, e indicare nel nuovo governo di unità nazionale un interlocutore possibile e legittimo. Volenti o nolenti, Hamas rappresenta, al momento, i palestinesi di Gaza, anche se stanno crescendo i segnali di insofferenza verso metodi, strategia e ideologia di questo movimento.
Hamas per il popolo palestinese è stato soprattutto la risposta ad una progressiva sfiducia in Fatah, specialmente negli ultimi anni di vita e dopo la morte di Arafat, accusata di utilizzare gli aiuti internazionali per mantenere una fitta rete clientelare all’interno del partito mangiato dalla corruzione. Fatah era anche accusato di portare avanti una linea troppo morbida mentre le condizioni di vita dei palestinesi peggioravano e gli insediamenti israeliani avanzavano nonostante gli accordi di Oslo.2. Le richieste
Il famigerato statuto di Hamas che prevede la cancellazione dello stato di Israele e la sostituzione con uno stato islamico palestinese è invece datato 1988. Come vedremo sulla parte dedicata ad Israele, chi governa ora in Israele dal punto di vista storico, statutario e teorico non è da meno. Con la differenza che nessuno ne parla. Noi non ne facciamo un problema storico-teorico e tantomeno religioso e quindi ci limitiamo a leggere le richieste che fa Hamas per un cessate il fuoco e per il futuro della striscia di Gaza:
ritiro dell’esercito israeliano e autorizzazione dei coltivatori a lavorare le loro terre fino al muro di sicurezza; scarcerazione di tutti i prigionieri rilasciati in cambio della liberazione di Gilad Shalit e poi arrestati; fine dell’assedio e apertura dei valichi; apertura di un porto e di un aeroporto sotto gestione Onu; ampliamento della zona di pesca; supervisione internazionale del valico di Rafah; impegno da parte di Israele a mantenere un cessate il fuoco decennale e chiusura dello spazio aereo di Gaza ai velivoli israeliani; concessione ai residenti di Gaza di permessi per visitare Gerusalemme e pregare nella moschea Al Aqsa; impegno da parte di Israele a non interferire con le decisioni politiche interne dei palestinesi, vedi la creazione di un governo di unità nazionale; infine, apertura della zona industriale di Gaza.
In Hamas l’estremismo convive con una certa dose di realismo, sia pure ambiguo. Ad esempio, dopo l’operazione dell’esercito israeliano “Piombo Fuso” del Natale 2008, Khaled Mesh’al, capo dell’ufficio politico a Damasco, dichiarò che Hamas era intenzionato a cooperare con una “soluzione del conflitto Arabo-Israeliano che includesse uno stato Palestinese sui confini del 1967”, a condizione che Gerusalemme est fosse riconosciuta come capitale del nuovo stato e che fosse riconosciuto il diritto al ritorno per i milioni di rifugiati palestinesi, profughi loro e i loro figli e nipoti fin dalla guerra del 1948. Infatti, al di là delle divergenze di natura religiosa, la differenza i conflitti fra Fatah e Hamas nascono proprio dalla differente interpretazione degli accordi di Oslo che Hamas non riconosce e che hanno sempre cercato di boicottare con una fitta azione di attentati terroristici anche verso civili israeliani, fermatosi poi in seguito alla tregua del 2004. Secondo Hamas la linea di compromesso con Israele non può essere, detta in termini semplicistici, quella del rientro ai confini del 1967. Dal 2005 non sono stati compiuti più attentati verso la popolazione civile e la strategia militare di Hamas si è spostata verso il lancio dei famigerati missili artigianali Qassam che hanno fatto registrare non più di 20 morti in 10 anni cioè quello che le operazioni militari israeliani ogni 10 minuti di attacchi.
Nel 2006 Isma'il Haniyeh, leader di Hamas all'epoca aveva dichiarato: "Se Israele dichiarasse di dare ai palestinesi uno Stato e ridare loro tutti i loro diritti, allora saremmo pronti a riconoscerli". L'ala militare di Hamas sono le Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām che prendono nome da uno dei padri della resistenza palestinese contro i britannici che controllavano il territorio. Mentre per Usa e UE Hamas è un'organizzazione terroristica, Gran Brestagna e Australia si limitano a considerare tale solo l'ala militare. Capi di Hamas e esponenti delle Brigate sono stati uccisi dai cosiddetti "omicidi mirati" dell'esercito israeliano.
E’ inoltre molto complesso capire il rapporto di Hamas con i vari gruppi armati presenti nella Striscia, atteggiamento che varia spesso dalla collusione alla repressione a seconda dei momenti storici e delle strategie politiche e militari.
3. La Fratellanza musulmana
Quindi la questione non è affatto ideologica, ma politica e di sopravvivenza della Striscia. Hamas è un braccio della Fratellanza Musulmana e si porta dietro tutti i conservatorismi, la cultura religiosa e politica di quella parte di Islam politico. Un Islam politico con cui Europa e Stati Uniti non hanno mai esitato ad avere rapporti quando conveniva e che anzi hanno anche sostenuto durante le Primavere Arabe. Naturalmente i Fratelli Musulmani andavano bene, ad esempio, in Siria quando c’era da combattere Assad ma non in Egitto che è considerato storicamente un protettorato di Usa e Israele e dove Morsi e la Fratellanza sono stati arrestati e tolti di mezzo con un colpo di stato militare benedetto dall’occidente. L’accordo di governo di unità nazionale fra Fatah e Hamas era da leggere proprio alla luce dell’indebolimento politico di Hamas dopo la caduta forzata di Morsi in Egitto. Ma a Israele questo quadro non andava bene. Quindi è ben facile capire che la questione teorico-religiosa ha poco a che fare con questa situazione che non si può certo leggere con i razzi lanciati da Hamas o con lo statuto del 1988. La questione è puramente politica, geopolitica ed economica. Come già detto, Benjamin Netanyahu ha spinto la guerra per mantenere Hamas isolata ed impedire l’accordo con Fatah. Ma se dovesse sbagliare i calcoli e sterzare troppo tardi, Israele rischia di rimpiangere la messa all’angolo del movimento islamista. La scelta di porre termine al controllo di Hamas su Gaza, annientandone la struttura, lascerebbe aperto il problema di cosa può avvenire dopo. Certamente non Fatah e l’ANP, con il presidente Mahmoud Abbas, che mai potrebbero accettare di essere reinsediati al potere a Gaza dall’esercito israeliano. E su Gaza aleggia la nube nera dell’Isis, i gruppi jihadisti che hanno proclamato il loro califfato tra Siria e Iraq e potrebbero voler fare di Gaza una nuova provincia. E’ quindi con la lente politica che giudichiamo Hamas e il contesto israelo-palestinese senza fossilizzarsi su analisi teologiche o ideologiche che sono solo specchietti per le allodole. Questo non vuol dire che ci siano aspetti politici, culturali e teologici che porta avanti Hamas su cui non ci sia da discutere e che chiaramente non ci piacciono. Ma in questa situazione le riteniamo solo “scuse” per non dire la verità sugli interessi e le strategie che si nascondono dietro questo sanguinoso e sproporzionato conflitto. Tra l’altro Hamas non è sola nella “resistenza” che è appoggiata da esempio anche dal Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (leggi il comunicato), terzo partito alle elezioni con circa il 5%, e che ha una tradizione nella sinistra rivoluzionaria e laica.
4. La nuova geopolitica mediorientale con Hamas isolata
Le primavere arabe hanno sconvolto lo scacchiere mediorientale ed unite ai danni degli interventi Nato in Libia e Iraq hanno totalmente cambiato geopolitica e alleanze. In questo contesto Hamas ha puntato tutto sull’Egitto e sulla vittoria elettorale di Morsi e della Fratellanza Musulmana che avrebbe permesso di avere un alleato al confine e di pensare quindi Gaza non più come una prigione a cielo aperto. Molti forse non sanno che a Gaza è in atto un embargo e anche i famigerati tunnel dove senz’altro entrano anche armi, servono soprattutto per permettere a Gaza di far entrare ed uscire i propri prodotti per poter sostenere le economie informali che fanno sopravvivere una parte di popolazione. Morsi, tuttavia, è stato buttato giù dal golpe militare e allo stesso tempo sono venuti a mancare gli storici alleati e finanziatori. Prima è scomparso Saddam Hussein con l’intervento di Bush figlio, poi è stata la volta di Gheddafi con l’intervento Nato e infine è arrivata la questione della Siria che ha aperto una voragine fra il mondo sunnita e quello sciita. Essendosi i sunniti, e quindi la Fratellanza, schierati con le milizie anti-Assad, Hamas si è giocato lo storico sostegno di Assad stesso (la sede politica di Hamas a Damasco è stata chiusa), dell’Iran sciita e dei confinanti libanesi di Hezbollah che combattono a fianco di Assad. Hamas quindi è politicamente pressochè isolato e adesso il maggiore finanziatore è la monarchia petrolifera del Qatar che però è stretto alleato anche del mondo occidentale e che quindi finanzia Hamas solo per motivi geopolitici e di competizione con l’Arabia Saudita, ferrea alleata degli Usa e sempre più commercialmente e politicamente vicina a Israele. Monarchie petrolifere arretrate nei diritti civili e nella democrazia, che hanno represso nel sangue le proteste durante le primavere arabe nell’indifferenza dei media occidentali e che vengono menzionate dai Tg come se fossero paesi del tutto “normali”, niente a che vedere con quei terroristi islamici di Hamas che però almeno le elezioni le hanno vinte (con votazioni regolari sotto il controllo di osservatori internazionali).
5. Terrorismo e guerra asimmetrica
Mentre nei principali media e specialmente nel lessico politico italiano siamo fermi al concetto di terrorismo per spiegare qualunque cosa si muova fuori da un esercito “regolare” e uno Stato ben definito, negli ultimi 20 anni ogni libro di tattica e strategia di guerra e di diritto internazionale non può non far riferimento al concetto di guerra asimmetrica. Le tecnologie militari sofisticate e la crescita delle capacità militari fra chi può permettersele o meno, ha creato un enorme differenza di potenza militare nel mondo. Dall’Iraq, all’Afghanistan, alla Libia fino a Gaza assistiamo a guerre asimmetriche in cui una delle due parti non ha alcuna capacità di potersi difendere militarmente con eserciti regolari o sistemi di contraerea. Per questo motivo molti movimenti di liberazione o di resistenza alle occupazioni militari utilizzano sempre di più tecniche moderne di guerriglia che hanno come unico scopo minare le sicurezze e la quotidianità del nemico con attacchi finalizzati ad una destabilizzazione per lo più psicologica. Chi applica queste tecniche viene tacciato preventivamente di terrorismo, con le stesse motivazioni che i nazifascisti definivano “banditen” i partigiani italiani. In questa guerra asimmetrica, posto che Hamas utilizzi tecniche da definirsi terroristiche (e potrebbe anche essere ma vanno motivate seriamente), come si possono definire i bombardamenti israeliani a Gaza City? Che senso ha sventolare sempre lo spauracchio di Hamas per legittimare l’autodifesa di Israele? In una guerra asimmetrica il quadro da valutare è quello globale. Se Hamas è terrorista lo è anche il governo israeliano. Non lo diciamo noi, ma l'ONU: il bombardamento di scuole, rifugi e ospedali è una scelta deliberata di Israele, non è un errore. Senza contare che in passato era definito terrorista anche Arafat e l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Quindi cosa è cambiato? Nel gergo mediatico e politico terrorista è da 50 anni chiunque combatti con le armi l’occupazione israeliana. Che si chiami Hamas o OLP l’uccisione della popolazione palestinese e il logoramento del territorio va avanti senza tregua.
6. Israele e terrorismo: storia
Ma se delle nefandezze di Hamas ci bombardano ogni giorno, nessuno ci parla mai del governo israeliano in carica, del suo primo ministro, del suo partito (il Likud) e del suo alleato Lieberman. Ogni giorno il governo israeliano usa di fronte all'opinione pubblica mondiale un solo pretesto per motivare il massacro quotidiano di civili palestinesi: la necessità di colpire un'”organizzazione terroristica”. Questo mantra, amplificato dai media e dalle diplomazie internazionali, impone nel dibattito pubblico una sola raffigurazione dei due attori contrapposti: da una parte, il governo democratico di uno stato di diritto e, dall'altra, un regime autoritario retto da un gruppo fondamentalista che ricorre agli attentati. Questa visione univoca, che rimuove a priori ogni contestualizzazione, determina anche il piano del discorso di chi si schiera con il popolo palestinese per un sacrosanto senso di giustizia e umanità, ma spesso con poca cognizione storico-politica del conflitto. Eppure basterebbero due semplici domande per aprire una voragine in questa fragile impalcatura mediatica: qual è la prima organizzazione terroristica che ha compiuto attentati rivendicati in Palestina? Chi sono oggi gli eredi politici di questi soggetti?
6a. Il terrorismo fra le due guerre mondiali
Per rispondere alla prima domanda bisogna fare un salto indietro nel tempo, precisamente al 1923.In quest'anno l'ebreo russo Vladimir Jabotinskij, veterano dell'Esercito Imperiale Britannico e organizzatore di milizie di autodifesa ebraiche durante i Pogrom, scrive “la Muraglia d'Acciaio”, dando origine al movimento sionista revisionista, una fazione minoritaria in rottura con l'Organizzazione Sionista Mondiale. Il Partito Sionista Revisionista, destrorso, nazionalista, antisocialista e anticomunista, ha le idee molto chiare: lo scontro con gli arabi è inevitabile, quindi i sionisti, organizzati in una Legione Ebraica sotto l'egida britannica, devono conquistare militarmente tutto il territorio tra le due rive del Giordano per creare uno stato ebraico molto più esteso dell'odierna Israele. Naturalmente, nel progetto sionista revisionista originale non c'era alcun spazio “geografico” per una nazione palestinese e, addirittura, neanche per la Giordania. Qui la cronologia è importante: questo piano ideale (e militare) noto come “Grande Israele” è concepito già a partire dal 1925. Per avere un'idea dello sfondo culturale di questi gruppi politici, aspramente criticati e osteggiati anche dal resto del sionismo, è sufficiente citare una circolare dei revisionisti italiani, datata 1929: "Ci hanno chiamato i fascisti del Sionismo. E sia. Voglia il Signore che la nostra opera sia così provvida per le sorti d’Israele risorgente come lo è stato e lo è quella del Fascismo per l’Italia”.Del resto, lo stesso Jabotinskij aveva allacciato rapporti con Mussolini, possibile alleato contro i britannici che l'avevano esiliato dalla Palestina. Frutto di questa collaborazione sarà, nel 1934, la nascita a Civitavecchia della Marina di Israele, avvenuta solo quattro anni prima della promulgazioni delle leggi razziali antisemite in Italia.
dopo i sanguinosi moti arabi anti-ebraici del 1929, l'Haganah, nata come milizia volontaria di difesa, si trasformò in un vero e proprio esercito armato ed efficiente, grazie anche al sostegno straniero. Da una costola di queste forze armate nacque l'Irgun Zvai Leumi (“Organizzazione Militare Nazionale”), la prima organizzazione terroristica della Palestina, attiva dal 1931 al 1948. L'Irgun considerava l'Haganah troppo moderato e tendente al socialismo; si ispirava ai principi di Jabotinskij e chiedeva la fine del governatorato britannico, visto come un ostacolo alla creazione dello stato ebraico. Secondo i membri dell'Irgun solo sistematiche e violente rappresaglie armate avrebbero intimorito gli arabi, e pertanto misero a punto tecniche terroristiche ancora oggi in uso. Dal 1931 al 1937, l'organizzazione, ancora ristretta numericamente, condusse attacchi sparsi contro obiettivi arabi, ma durante la Grande Rivolta Araba del 1936-1939 attuò una campagna terroristica di vasta scala che produsse un'escalation di sangue senza precedenti, con rappresaglie indirizzate anche contro i civili: una sessantina di attentati e attacchi, tra cui bombe dentro mercati, caffè, cinema e bus, oltre all'invenzione dei famigerati asini “esplosivi” (una truce pratica che i palestinesi hanno quindi imparato dal nemico sulla propria pelle, con buona pace dei media scandalizzati). Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Irgun stipulò una tregua con gli inglesi, alla quale non aderì una fronda estremistica, il famigerato Lehi, meglio noto come Banda Stern; secondo questo gruppo il progetto della creazione di uno Stato Palestinese con all'interno una minoranza ebraica previsto dal Libro Bianco britannico era una minaccia peggiore del nazismo. Già membro del Partito Sionista Revisionista, Avraham Stern, assieme a Yitzhak Shamir (un nome da tenere bene in mente), colpì duramente soldati, ufficiali e politici britannici, cittadini arabi e anche ebrei ritenuti “collaborazionisti”, prendendo persino attivamente contatti con i nazisti, considerati “persecutori preferibili” ai quali offrire un'alleanza contro il comune nemico inglese in cambio della creazione di uno Stato ebraico totalitario in Palestina. Nel 1944, l'Irgun, sotto la guida di Menachem Begin (altro nome da ricordare) riprese le ostilità e, insieme al Lehi di Stern, compì vari attentati e rapimenti in Medioriente e in Europa. I due più micidiali furono le bombe al King David Hotel di Gerusalemme (91 morti di varie nazionalità, tra cui 17 ebrei) e all'ambasciata britannica a Roma, che provocarono la morte di due italiani. Due anni dopo, ancora in tandem con il Lehi, attaccò il villaggio arabo di Deir Yassin, provocando 100 vittime e la sua totale evacuazione. Oltre all'assassinio di Lord Moyne al Cairo, il Lehi fu inoltre responsabile nel 1948 dell'uccisione del Conte Folke Bernadotte, mediatore delle Nazioni Unite inviato per affrontare la questione dell'assetto territoriale della Palestina dopo la guerra.
Dopo la repressione britannica, i leader dell'Irgun e del Lehi furono amnistiati, e le loro organizzazioni militari furono integrate dentro l'Esercito Israeliano; nel 1980 fu addirittura istituita un'apposita “onoreficenza del Lehi” dedicata agli ex membri, gesto che la dice lunga sull'ipocrisia della “condanna al terrorismo” dei recenti governi israeliani.Abbiamo dunque la risposta a una delle domande iniziali. Senza nulla togliere alle vittime delle rivolte armate palestinesi, è evidente che, nella storia del conflitto arabo-israeliano, le prime organizzazioni terroristiche capaci di compiere attentati rivendicati contro obiettivi civili sono state fondate da sionisti ebrei, in particolare dai sionisti revisionisti.
6b. Il dopoguerra e la nascita del Likud
Per rispondere alla seconda domanda posta all'inizio basterà invece seguire la carriera politica di due terroristi sionisti: il capo dell'Irgun, Begin, e il leader della banda Stern, Shamir. Già nel 1948, una trentina di intellettuali ebrei tra cui Albert Einstein e Anna Harendt, preoccupati per la situazione politica di Israele, scrissero un'accorata lettera al New York Times in cui accusavano senza mezzi termini Begin e il suo neonato partito Herut di "fascismo", "terrorismo" e di "propagandare idee di superiorità razziale". Ciononostante, Begin, dopo un periodo all'opposizione parlamentare, diventerà nel 1967 ministro del governo di unità nazionale. Successivamente fonderà proprio il Likud, il partito dell'attuale premier Benjamin Netanyahu, con il quale vincerà le elezioni nel 1977 diventando Primo Ministro di Israele. Nel 1978 riconsegnerà il Sinai agli Egiziani a seguito degli accordi di Camp David, ricevendo il Nobel per la Pace. Forte di questa “meritata” onorificenza, bombarderà una centrale nucleare irachena, ordinerà l'invasione del Libano nel 1982 e il suo ministro della difesa Ariel Sharon sarà condannato come responsabile del massacro di Sabra e Shatila. A seguito del protrarsi della guerra in Libano (un disastro che finirà solo nel 2000) e della crisi economica, darà le dimissioni nel 1983 passando le consegne al compagno di attentati e scorribande Shamir. L'ex terrorista della Banda Stern sarà Primo Ministro per ben due volte, fino al 1992, oltre che leader del partito Likud. Eccoci dunque ai giorni nostri: l'erede politico di Shamir alla guida del Likud è proprio Benjamin Netanyahu, per la prima volta premier nel 1996. Il Likud, infatti, è la diretta filiazione ideologica, politica e “dinastica” del Partito Sionista Revisionista e dell'Irgun.
Nel 1943 Shamir si riconosceva in queste affermazioni, pubblicate sul giornale nazionalista “The Front”: “Né l’etica ebraica né la tradizione ebraica possono escludere il terrorismo come mezzo di combattimento. Siamo molto lontani dal farci scrupoli morali fino a quando la nostra guerra nazionale va avanti. Abbiamo di fronte a noi il comando della Torah, la cui moralità sorpassa quella di ogni altro corpus giuridico nel mondo: ‘Voi li cancellerete fino all’ultimo uomo’. Siamo particolarmente lontani dal farci scrupoli morali nei riguardi di qualsiasi nemico, il cui degrado morale è qui universalmente riconosciuto”.
Quando è morto, nel 2012, Netanyahu ha voluto rendergli omaggio con queste parole: “Yitzhak Shamir apparteneva alla generazioni di giganti che hanno fondato lo Stato di Israele e che hanno lottato per la libertà del popolo ebraico nella propria terra”. Ha anche citato una sua frase che mette i brividi: “gli arabi sono gli stessi arabi, così come il mare è lo stesso mare”, aggiungendo che “aveva compreso verità fondamentali”.
7. Netanyahu e Lieberman
Come se non fosse abbastanza, Netanyahu governa oggi governa in colazione con Yisrael Beytenu, il partito di ultradestra nazionalista guidato dal già vice primo ministro Avigdor Liebermann, estremista accusato di perseguire la pulizia etnica dei cittadini arabi israeliani. Questo partito, espressione degli immigrati orientali russofoni, è nato a seguito di una scissione dal Likud dovuta all'opposizione al piano di disimpegno ai territori occupati iniziato da Sharon. E' chiaro quindi che, nel corso dei decenni, il sogno ideale (e militare) del “Grande Israele” dei primi sionisti revisionisti non è mai stato del tutto accantonato, come dimostra la posizione di una forza politica influente come Yisrael Beytenu, oggi al governo. Tra l'altro, alla luce di ciò, gli scontri e le polemiche dovuti alle condizioni poste da Israele sulla questione del riconoscimento reciproco ufficiale assumono una prospettiva del tutto diversa. Adesso che il quadro è completo, risulta molto difficile tornare al ritornello “stato democratico vs terroristi”. Qualcuno potrebbe però avere ancora il coraggio di obiettare che i leader della destra israeliana nel corso degli anni hanno ormai preso le distanze dal passato e che oggi si riconoscono nell'ordinamento democratico. La risposta è paradossale quanto triste: purtroppo sì. Infatti, a giudicare dalle stragi di civili, donne e bambini provocate dall'aviazione, dai carri armati e dal fosforo bianco dell'Esercito Israeliano, ci sarebbe da rimpiangere la dinamite e le pistolettate dei vecchi terroristi sionisti. Facevano molti meno morti, e tra l'altro un briciolo di etica ce l'avevano: a differenza di Netanyahu, non hanno mai colpito scuole, ospedali o moschee.
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