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giovedì 28 agosto 2014

GLI 'STATI FALLITI'

Nella sua semplicità (e nella dimenticanza dell'Ucraina e, come progetto a lungo tempo della Russia stessa, tra gli Stati citati), questo articolo ha il pregio di toccare un punto fondamentale: se, fino a qualche anno fa, la retorica del Capitale atlantico quando voleva attaccare un Paese e controllarne le risorse era quella dell'esportazione di diritti e democrazia per creare governi fantoccio affiancati dall'esercito occupante (Usa ed Ue), oggi che la partita si sta facendo decisiva, si punta direttamente ad alimentare opposizioni interne per balcanizzare e dissolvere gli stessi Stati nazionali, usando spesso la retorica delle autonomie e della scelta della parte 'buona' tra quelle in lotta: una scelta sperimentata nella ex Jugoslavia ed oggi elevata a sistema.Sono tutti argomenti verso i quali la mentalità progressista è assai sensibile, e se, la retorica dei diritti negati, aveva affascinato tanti militanti dei diritti civili, bisogna stare attenti che la retorica delle autonomie e dell'autogoverno non ci affascini ove essa non sia funzionale all'avanzamento della lotta di classe.
Per un comunista non esistono situazioni politiche migliori in assoluto, ma esse pragmaticamente sono da valutare caso per caso tenendo a mente come barra se un sistema possa far avanzare la lotta di classe o se viceversa sia funzionale al comando imperialista: se l'ampliamento delle frontiere e/o la dissoluzione dello Stato nazionale in favore dell'autonomia dell'enclaves costituisce un evidente vantaggio per l'imperialismo, un comunista non può esserne a favore, perchè dovrebbe comprendere che, in autonomie di quel tipo, vi sarà solo un vantaggio delle potenze economiche in nome 'dei popoli'; se le proteste di piazza collimano perfettamente con l'interesse del nemico, un comunista, come già diceva Lenin, ha il dovere di non sostenerle per non far avanzare una situazione controrivoluzionaria.
Il Capitale atlantico sta diventando molto bravo ad usare istanze progressiste o di sinistra a proprio vantaggio; è necessario stare attenti a non abboccare all'amo.

da
http://ilmanifesto.info/gli-stati-falliti/
Men­tre dalla Libia in fiamme migliaia di uomini, donne e bam­bini, spinti dalla dispe­ra­zione, ten­tano ogni giorno la tra­ver­sata del Medi­ter­ra­neo, e molti vi per­dono la vita, il pre­si­dente Napo­li­tano avverte: «Attenti ai foco­lai che ci cir­con­dano», a comin­ciare dalla «per­si­stente insta­bi­lità e fra­gi­lità della situa­zione in Libia». Dimen­tica, e con lui la quasi tota­lità dei gover­nanti e poli­tici, che è stata pro­prio l’Italia a svol­gere un ruolo deter­mi­nante nell’accendere nel 2011 il «foco­laio» di quella guerra di cui l’ecatombe di migranti è una delle conseguenze.
Sulla sponda sud del Medi­ter­ra­neo, di fronte all’Italia, c’era uno Stato che – docu­men­tava la stessa Banca mon­diale nel 2010 – man­te­neva «alti livelli di cre­scita eco­no­mica», con un aumento medio del pil del 7,5% annuo, e regi­strava «alti indi­ca­tori di svi­luppo umano» tra cui l’accesso uni­ver­sale all’istruzione pri­ma­ria e secon­da­ria e, per il 46%, a quella di livello uni­ver­si­ta­rio. Nono­stante le dispa­rità, il tenore di vita della popo­la­zione libica era note­vol­mente più alto di quello degli altri paesi afri­cani. Lo testi­mo­niava il fatto che tro­va­vano lavoro in Libia circa due milioni di immi­grati, per lo più afri­cani. Que­sto Stato, oltre a costi­tuire un fat­tore di sta­bi­lità e svi­luppo in Nor­da­frica, aveva favo­rito con i suoi inve­sti­menti la nascita di orga­ni­smi che un giorno avreb­bero potuto ren­dere pos­si­bile l’autonomia finan­zia­ria dell’Africa: la Banca afri­cana di inve­sti­mento, con sede a Tri­poli; la Banca cen­trale afri­cana, con sede ad Abuja (Nige­ria); il Fondo mone­ta­rio afri­cano, con sede a Yaoundé (Camerun).
Dopo aver finan­ziato e armato set­tori tri­bali ostili a Tri­poli, facendo sì che la «pri­ma­vera araba» assu­messe in Libia sin dall’inizio la forma di insur­re­zione armata pro­vo­cando la rispo­sta gover­na­tiva, lo Stato libico fu demo­lito con la guerra nel 2011: in sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effet­tuava 10mila mis­sioni di attacco, con oltre 40mila bombe e mis­sili. A que­sta guerra par­te­cipò l’Italia con le sue basi e forze mili­tari, strac­ciando il Trat­tato di ami­ci­zia, par­te­na­riato e coo­pe­ra­zione tra i due paesi. «Nel ricordo delle lotte di libe­ra­zione e del 25 aprile – dichia­rava il pre­si­dente Napo­li­tano il 26 aprile 2011 – non pote­vamo restare indif­fe­renti alla san­gui­na­ria rea­zione del colon­nello Ghed­dafi in Libia: di qui l’adesione dell’Italia al piano di inter­venti della coa­li­zione sotto guida Nato». Durante la guerra veni­vano infil­trate in Libia forze spe­ciali, tra cui migliaia di com­mando qata­riani, e allo stesso tempo finan­ziati e armati gruppi isla­mici fino a pochi mesi prima defi­niti terroristi.
Signi­fi­ca­tivo è che le mili­zie isla­mi­che di Misu­rata, che lin­cia­rono Ghed­dafi, occu­pano ora l’aeroporto di Tri­poli. In tale qua­dro si sono for­mati i primi nuclei dell’Isis che, pas­sati poi in Siria, hanno costruito il grosso della loro forza lan­ciando quindi l’offensiva in Iraq. Svol­gendo un ruolo di fatto fun­zio­nale alla stra­te­gia Usa/Nato di demo­li­zione degli stati attra­verso la guerra coperta. «È ormai evi­dente – dichiara il pre­si­dente Napo­li­tano – che ogni Stato fal­lito diviene ine­vi­ta­bil­mente un polo di accu­mu­la­zione e dif­fu­sione glo­bale dell’estremismo e dell’illegalità».
Resta solo da vedere quali sono gli «Stati fal­liti». Non sono gli Stati nazio­nali come Libia, Siria e Iraq che, situati in aree ric­che di petro­lio o con una impor­tante posi­zione geo­stra­te­gica, sono del tutto o in parte fuori del con­trollo dell’Occidente, e ven­gono quindi demo­liti con la guerra. Sono in realtà i mag­giori Stati dell’Occidente che, tra­dendo le loro stesse Costi­tu­zioni, sono fal­liti come demo­cra­zie, ritor­nando all’imperialismo ottocentesco.

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