
Lontano lontano si fanno la guerra.
Il sangue degli altri si sparge per terra.
Io questa mattina mi sono ferito
a un gambo di rosa, pungendomi un dito.
Succhiando quel dito, pensavo alla guerra.
Oh povera gente, che triste è la terra!
Non posso giovare, non posso parlare,
non posso partire per cielo o per mare.
E se anche potessi, o genti indifese,
ho l’arabo nullo! Ho scarso l’inglese!
Potrei sotto il capo dei corpi riversi
posare un mio fitto volume di versi?
Franco Fortini,Da Canzonette del golfo (scritte all’ inizio degli anni '90, all’esplodere della Prima guerra del Golfo)
1 commento:
Mi ricordo. M’arricordo.
C’era una cassapanca invisibile che stava sempre tra la radice degli occhi e i piedi e le labbra in ascolto.
Mi ricordo.
Ricordare non è mai dimenticare anche quando li separa l’ombra invisibile dell’oblio. Dimenticare è tradire, anche quando non si vorrebbe che nemmeno ti passa per la testa tradire. C’è stata una volta mi sono esercitato. Ci ho provato, a dimenticare, ma è stato peggio. Tradivo me, quelli intorno a me e addirittura l’intera umanità.
Ricordo. M’arricordo.
Io, sapete, non sono uno soltanto. Ho la mia faccia di tante altre. Io, anzi noi, siamo vite a non finire. I nazisti e i fascisti d’ogni nazione si sono messi insieme e come obbiettivo, da allora a oggi, hanno come obbiettivo volerci finire nel forno del campo di concentramento. In polvere.
Ricordo. M’arricordo.
Dovete aver pazienza quando scrivo m’arricordo: è un termine del mio dialetto; parte del mio corpo. Sono cresciuto con il latte della lingua madre. Pirciò, tengo la parlata internazionale del dolore.
Ricordo. M’arricordo.
Ci presero e ci portarono via in un treno dai freddi vagoni. Il gelo nel sangue. Eravamo venti. E tutti piccoli. Tra il primo e l’ultimo ci differenziano quattro anni. Siamo una piccola gamma. Noi siamo animali perché usiamo poche parole e perciò ultimi nella scala. Una virgola è come il mare:ti frega, ti uccidere. Per questo la parola animale è l'orizzonte.
Ricordo. M’arricordo.
Mi chiamo Sergio. Io sono Anna. Mi chiamo David. Io sono Ester. Mi chiamo Giuseppe. Io sono Sara. Mi chiamo Igor. Io sono Cecilia. Mi chiamo Giacobbe. Io sono Ciro.Mi chiamo Simone. Io sono Maddalena. Mi chiamo Spartaco. Io sono Anastasia. Mi chiamo Giovanni. Io sono Isabella. Mi chiamo Sebastiano. Io sono Ipazia. Mi chiamo Alessandro. Io sono Maria. Ci seviziano. Ci fanno del male usando strumenti chirurgici per studiare come reagiamo. Ci offendono. Ci violentano a turno o insieme. Ci ammutoliscono nella polvere.
Ricordo. M’arricordo.
Ma i ricordi emergono non appena splende il sole o quando la notte scura cala nell’anima e nel corpo. Nonostante la lotta con l’oblio, nulla è assente. La goccia che cade dalla grondaia. Il fruscio di una foglia. I passi sui basoli di lava. Il mare largo e scuro dei fondali ci accoglie umido. I nostri ricordi sono dolore che come gobbe spuntano dentro e fuori di noi, ma che nessuno vuole vedere e toccare. Non ricordateci per ciò che siamo stati, ma per le vite che non abbiamo vissute e amate.
Ricordo. M’arricordo.
Il tempo del dolore che in voi sopravvissuti non passa mai. Quel tempo di allora e di oggi che ci tiene in pensieri di catene. E che non libera nemmeno noi. Qui, però, ognuno è noi tutti, disse quella giovane madre intervistata dalla televisione.
Mi ricordo. M’arricordo.
Vedo che i tempi si accorciano come il personaggio di un fumetto che si chiamava Tiremmolla. I bambini non ne parlano e ormai non l’ho incontrato nemmeno in strada. La vita di ognuno è unica e importante, ma pe’ chello che si sente e si vede, onestamente parlanno, pareno tutte fesserie ‘e cafè, mentre ‘o pizzaiuolo sforna n’ata piazza cavera e profumata nella sua semplicità di farina, acqua e pummarola. Su, ordinate, ordinate.
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