Riprendendo l'ottimo articolo riprodotto sotto: salario minimo, sostegno al reddito e patrimoniale progressiva. Questi i punti caldi che secondo me possono trasformare una coalizione in una forza egemonica trovandone la sintesi unitaria.
da http://autori.fanpage.it/14novembre-dallo-sciopero-alla-coalizione/#ixzz3JFfIuKJv
Il successo dello sciopero sociale apre nuove prospettive. Il mondo dei precari si è manifestato in tutta la sua rabbia e la sua drammaticità. Il tempo delle rivendicazioni corporative è terminato, mentre una nuova generazione che entra nel mercato del lavoro dimostra di essere più rapida nel reclamare diritti di quelle precedenti. Intorno all'idea di una coalizione sociale può nascere davvero un terreno comune di rivendicazione.
Non era per nulla scontato l’esito dello sciopero sociale del 14 novembre. Una scommessa politica pienamente azzeccata. Va dunque reso innanzitutto il merito a quelle componenti, in particolar modo ai tanti centri sociali sparsi in tutto il paese, che hanno creduto nella riuscita di questa giornata.Non era facile. La lotta contro precarietà la diffusa – intesa non solo in termini lavorativi ma anche rispetto all’impatto sul “bios” e quindi sulla qualità della vita, delle relazioni e delle abitudini soggettive – nel nostro paese è terreno di costruzione di conflitto da ormai quasi un decennio. Sono stati tanti i tentativi di dare un’immagine evidente, plastica, dirompente, di quell’esercito di non garantiti, di non sindacalizzati e non sindacalizzabili, delle esistenze in continuo equilibrio sul filo del rinnovo di un contratto a termine o di un lavoro saltuario e malpagato.
Una composizione sociale che parte da i lavoratori in nero, dagli stagionali, dai quasi 8 milioni di lavoratori atipici e si arricchisce dei lavoratori autonomi, delle partite IVA (vere e fittizie) ovvero di quasi 3 milioni e mezzo di lavoratori, che sognavano la possibilità di emancipazione dal lavoro subordinato ma si ritrovano ad essere oggi pienamente nella schiera dei nuovi poveri, vessati dalla pressione fiscale, con paghe sempre più basse, con un rientro dei crediti di fatto impossibile da esigere e con le politiche del lavoro nel nostro paese che vanno in direzione opposta rispetto alla valorizzazione delle nuove professionalità e del lavoro cognitivo. Intanto in questo decennio anche la “precarità” ha assunto ormai forme diverse che potremmo cominciare anche a definire come forme di nuova schiavitù. Il mercato del lavoro si è progressivamente assestato intorno ai concetti di temporaneità lavorativa, intermittenza, sottrazione dei diritti, che rappresentano ormai la condizione base per chi entra nel mercato del lavoro. Accanto a questo sono emerse progressivamente forme ulteriori di sfruttamento che da quella condizione base di “precarietà” sopra definita, sottraggono ulteriormente diritti e soldi. In buona sostanza oggi il mondo dei precari è assolutamente diverso – in peggio – rispetto a quello che i movimenti cominciarono a denunciare qualche anno fa.
L’esito del 14 novembre forse è innanzitutto questo: un’affermazione di esistenza di un pezzo sempre più crescente del mercato del lavoro nel nostro paese ed in Europa. Esistiamo, reclamiamo diritti, reclamiamo denaro e – soprattutto – non ci rappresenta nessuno.
La definizione data da Marco Bascetta su Il Manifesto è senza dubbio la più azzeccata, ovvero quella di una coalizione “non intesa come sommatoria di diversi interessi categoriali e sociali, ma come intelligenza, pienamente politica, della necessità di scontrarsi con il modello neoliberista e con i dispositivi sempre più accaniti di estrazione di valore e di risorse da una cooperazione sociale che si estende dal lavoro dipendente a un multiverso di attività senza nome e senza reddito“. La piazza del 14 novembre ci dice che qualsiasi idea di difesa dell’interesse corporativo nel mondo della precarietà è assolutamente perdente e che la sola strada possibile è quella della costruzione di un “comune” tra segmenti diversi del mondo del lavoro precario subordinato ed autonomo capace di fare sintesi attraverso l’aggregazione dei bisogni piuttosto che provare a dare una risposta – in termini sindacali, politici e di rappresentanza – ad una componente piuttosto che un’altra.
Una vicenda che forse nei sindacati classici qualcuno, come la Fiom, ha capito da tempo, pur non essendo assolutamente in grado di travalicare – se non in termini di immaginario – la propria composizione. Non è un caso che alla vigilia del 14 novembre, giorno in cui la Fiom ha tenuto lo sciopero generale per il centro Nord con manifestazione a Milano, lo stesso sindacato dei metalmeccanici, attraverso le parole di Michele De Palma, faceva appello alla partecipazione degli studenti e dei precari alla giornata di sciopero. E’ successo che lo sciopero sociale ha eclissato la mobilitazione della Fiom. E’ successo che quella potenziale coalizione sociale del lavoro precario ed autonomo ha dato un segnale molto più efficace e dirompente dei metalmeccanici, nonostante proprio quest’ultimi, stiano animando nelle ultime settimane il conflitto sociale nel paese (vedi Terni). Diciamolo subito, non c’è e non può esserci concorrenzialità in termini politici, sindacali e rivendicativi tra metalmeccanici e precari, anzi, lo spirito della coalizione a cui fa riferimento Bascetta nega fortemente questo elemento. Piuttosto va semplicemente sottolineato come anche il sindacato di Landini debba tenere conto di questa dimensione. La crisi della rappresentanza sindacale è ormai evidente, palese, chiara a tutti. Anche a Renzi, che proprio su questo terreno ha lanciato il guanto di sfida alla Fiom ed ai sindacati conflittuali. La dirompenza dello sciopero sociale l’ha mostrata ancora di più.
Lo sciopero sociale ci consegna le potenzialità di questa coalizione sociale dei precari ma non risolve però in alcun modo il tema dell’autorganizzazione di queste forze, del piano rivendicativo generale, in buona sostanza non traccia un terreno di ricomposizione immediato, lo evoca, ne mostra, al massimo, l’orizzonte come una immagine sfuocata. Un tema non più rinviabile per l’esercito dei precari e degli autonomi. Di certo bisogna partire dallo straordinario lavoro svolto in questi mesi, ma al tempo stesso bisogna anche guardare a diverse difficoltà che pure si sono manifestate. Per la prima volta il mondo degli studenti, medi ed universitari, ha saputo esplicitarsi non più come corpo sociale espressione esclusivamente dell’ambito della formazione, ma già immediatamente come precari. Dai lavoratori dei negozi delle grandi firme, fino a quelli che lavorano nell’indotto della movida tra baretti e locali, il binomio “studente – lavoratore” sembra ormai sciogliersi in una predilezione della seconda categoria come tratto caratterizzante della soggettività. Un dato preciso: le nuove generazioni si immettono più rapidamente nel mercato del lavoro – precario, sfruttato, malpagato e senza diritti – rispetto alle precedenti, ed al tempo stesso manifestano le proprieissue, derivanti dalla condizione lavorativa, immediatamente. Nello stesso tempo la generazione che va dai trentenni ai quarantenni fatica molto di più a prendere coscienza di sè e pertanto resta ancora arretrata tra la paura (elemento che resta caratterizzante della condizione di precarietà) di manifestare per sè e la chiusura in un corporativismo senza alcun futuro. E’ chiaro che la composizione di questa potenziale coalizione dei precari vede quella fascia anagrafica maggioritaria all’interno del mercato del lavoro, per questo è rispetto a quel segmento che le generazioni più giovani dovranno essere in grado di dare una scossa.
Il successo dello sciopero sociale può rappresentare un’occasione unica se si è capaci da subito di essere in grado di non rimanere nel successo del grande evento ma di avanzare in termini di ragionamento intorno all’idea di quella coalizione sociale a cui il governo Renzi vorrebbe far pagare, ancora una volta, il prezzo della crisi.
da http://autori.fanpage.it/14novembre-dallo-sciopero-alla-coalizione/#ixzz3JFfIuKJv
Il successo dello sciopero sociale apre nuove prospettive. Il mondo dei precari si è manifestato in tutta la sua rabbia e la sua drammaticità. Il tempo delle rivendicazioni corporative è terminato, mentre una nuova generazione che entra nel mercato del lavoro dimostra di essere più rapida nel reclamare diritti di quelle precedenti. Intorno all'idea di una coalizione sociale può nascere davvero un terreno comune di rivendicazione.
Una composizione sociale che parte da i lavoratori in nero, dagli stagionali, dai quasi 8 milioni di lavoratori atipici e si arricchisce dei lavoratori autonomi, delle partite IVA (vere e fittizie) ovvero di quasi 3 milioni e mezzo di lavoratori, che sognavano la possibilità di emancipazione dal lavoro subordinato ma si ritrovano ad essere oggi pienamente nella schiera dei nuovi poveri, vessati dalla pressione fiscale, con paghe sempre più basse, con un rientro dei crediti di fatto impossibile da esigere e con le politiche del lavoro nel nostro paese che vanno in direzione opposta rispetto alla valorizzazione delle nuove professionalità e del lavoro cognitivo. Intanto in questo decennio anche la “precarità” ha assunto ormai forme diverse che potremmo cominciare anche a definire come forme di nuova schiavitù. Il mercato del lavoro si è progressivamente assestato intorno ai concetti di temporaneità lavorativa, intermittenza, sottrazione dei diritti, che rappresentano ormai la condizione base per chi entra nel mercato del lavoro. Accanto a questo sono emerse progressivamente forme ulteriori di sfruttamento che da quella condizione base di “precarietà” sopra definita, sottraggono ulteriormente diritti e soldi. In buona sostanza oggi il mondo dei precari è assolutamente diverso – in peggio – rispetto a quello che i movimenti cominciarono a denunciare qualche anno fa.
L’esito del 14 novembre forse è innanzitutto questo: un’affermazione di esistenza di un pezzo sempre più crescente del mercato del lavoro nel nostro paese ed in Europa. Esistiamo, reclamiamo diritti, reclamiamo denaro e – soprattutto – non ci rappresenta nessuno.
La definizione data da Marco Bascetta su Il Manifesto è senza dubbio la più azzeccata, ovvero quella di una coalizione “non intesa come sommatoria di diversi interessi categoriali e sociali, ma come intelligenza, pienamente politica, della necessità di scontrarsi con il modello neoliberista e con i dispositivi sempre più accaniti di estrazione di valore e di risorse da una cooperazione sociale che si estende dal lavoro dipendente a un multiverso di attività senza nome e senza reddito“. La piazza del 14 novembre ci dice che qualsiasi idea di difesa dell’interesse corporativo nel mondo della precarietà è assolutamente perdente e che la sola strada possibile è quella della costruzione di un “comune” tra segmenti diversi del mondo del lavoro precario subordinato ed autonomo capace di fare sintesi attraverso l’aggregazione dei bisogni piuttosto che provare a dare una risposta – in termini sindacali, politici e di rappresentanza – ad una componente piuttosto che un’altra.
Una vicenda che forse nei sindacati classici qualcuno, come la Fiom, ha capito da tempo, pur non essendo assolutamente in grado di travalicare – se non in termini di immaginario – la propria composizione. Non è un caso che alla vigilia del 14 novembre, giorno in cui la Fiom ha tenuto lo sciopero generale per il centro Nord con manifestazione a Milano, lo stesso sindacato dei metalmeccanici, attraverso le parole di Michele De Palma, faceva appello alla partecipazione degli studenti e dei precari alla giornata di sciopero. E’ successo che lo sciopero sociale ha eclissato la mobilitazione della Fiom. E’ successo che quella potenziale coalizione sociale del lavoro precario ed autonomo ha dato un segnale molto più efficace e dirompente dei metalmeccanici, nonostante proprio quest’ultimi, stiano animando nelle ultime settimane il conflitto sociale nel paese (vedi Terni). Diciamolo subito, non c’è e non può esserci concorrenzialità in termini politici, sindacali e rivendicativi tra metalmeccanici e precari, anzi, lo spirito della coalizione a cui fa riferimento Bascetta nega fortemente questo elemento. Piuttosto va semplicemente sottolineato come anche il sindacato di Landini debba tenere conto di questa dimensione. La crisi della rappresentanza sindacale è ormai evidente, palese, chiara a tutti. Anche a Renzi, che proprio su questo terreno ha lanciato il guanto di sfida alla Fiom ed ai sindacati conflittuali. La dirompenza dello sciopero sociale l’ha mostrata ancora di più.
Lo sciopero sociale ci consegna le potenzialità di questa coalizione sociale dei precari ma non risolve però in alcun modo il tema dell’autorganizzazione di queste forze, del piano rivendicativo generale, in buona sostanza non traccia un terreno di ricomposizione immediato, lo evoca, ne mostra, al massimo, l’orizzonte come una immagine sfuocata. Un tema non più rinviabile per l’esercito dei precari e degli autonomi. Di certo bisogna partire dallo straordinario lavoro svolto in questi mesi, ma al tempo stesso bisogna anche guardare a diverse difficoltà che pure si sono manifestate. Per la prima volta il mondo degli studenti, medi ed universitari, ha saputo esplicitarsi non più come corpo sociale espressione esclusivamente dell’ambito della formazione, ma già immediatamente come precari. Dai lavoratori dei negozi delle grandi firme, fino a quelli che lavorano nell’indotto della movida tra baretti e locali, il binomio “studente – lavoratore” sembra ormai sciogliersi in una predilezione della seconda categoria come tratto caratterizzante della soggettività. Un dato preciso: le nuove generazioni si immettono più rapidamente nel mercato del lavoro – precario, sfruttato, malpagato e senza diritti – rispetto alle precedenti, ed al tempo stesso manifestano le proprieissue, derivanti dalla condizione lavorativa, immediatamente. Nello stesso tempo la generazione che va dai trentenni ai quarantenni fatica molto di più a prendere coscienza di sè e pertanto resta ancora arretrata tra la paura (elemento che resta caratterizzante della condizione di precarietà) di manifestare per sè e la chiusura in un corporativismo senza alcun futuro. E’ chiaro che la composizione di questa potenziale coalizione dei precari vede quella fascia anagrafica maggioritaria all’interno del mercato del lavoro, per questo è rispetto a quel segmento che le generazioni più giovani dovranno essere in grado di dare una scossa.
Il successo dello sciopero sociale può rappresentare un’occasione unica se si è capaci da subito di essere in grado di non rimanere nel successo del grande evento ma di avanzare in termini di ragionamento intorno all’idea di quella coalizione sociale a cui il governo Renzi vorrebbe far pagare, ancora una volta, il prezzo della crisi.
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