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sabato 21 marzo 2015

IL DRAGO JIHADISTA E LA CRISI SOCIALE TUNISINA

da http://ilmanifesto.info/il-drago-jihadista-e-la-crisi-sociale-tunisina/

Analisi. Certo il terrorismo islamista si è globalizzato, ma pesca sempre più tra i diseredati
Dopo l’attentato cruento al Museo del Bardo, a Tunisi, di ras­si­cu­rante c’è che anche que­sta volta la parte più con­sa­pe­vole della popo­la­zione tuni­sina sia scesa in piazza imme­dia­ta­mente. È que­sta la ric­chezza della Tuni­sia post-rivoluzione: la reat­ti­vità demo­cra­tica, il senso di par­te­ci­pa­zione civile, l’attivismo sociale e poli­tico. Altret­tanto enco­mia­bile è che il comi­tato orga­niz­za­tore del Forum sociale mon­diale abbia con­fer­mato che esso si svol­gerà a Tunisi, come sta­bi­lito, dal 24 al 28 marzo.È indub­bio, però, che il san­gui­noso attacco ter­ro­ri­stico rap­pre­senti un allar­mante salto di qua­lità nell’escalation della vio­lenza inte­gra­li­sta; e che esso sia parte di un piano mirante a col­pire a morte l’unico paese in cui la ‘pri­ma­vera araba’ non è dive­nuta cupo inverno.
Que­sto attacco non è un ful­mine a ciel sereno. Il sala­fi­smo non è una novità per la Tuni­sia, se è vero che anche durante la dit­ta­tura bena­li­sta era rifu­gio per fasce di gio­vani fru­strati dalla man­canza di lavoro, futuro, dignità. E, dopo la fuga di Ben Ali, l’effervescenza par­te­ci­pa­tiva, la presa di parola pub­blica, il fer­vore delle ini­zia­tive poli­ti­che e cul­tu­rali ave­vano subito visto come con­tral­tare le pro­vo­ca­zioni della galas­sia salafita-takfirista, a comin­ciare da Ansar al-Sharia: dagli atti di van­da­li­smo con­tro luo­ghi e pro­ta­go­ni­sti della vita cul­tu­rale all’attacco con­tro l’ambasciata degli Stati Uniti, il 14 set­tem­bre 2012; dagli assalti a sedi di par­titi poli­tici e dell’Ugtt alle aggres­sioni con­tro docenti, poli­tici, intel­let­tuali, sin­da­ca­li­sti, gior­na­li­sti, fem­mi­ni­ste, arti­sti, blogger.
Su que­sto ver­sante, il 2013 è stato anno cru­ciale: mar­cato dalla sequela di attac­chi ter­ro­ri­stici di stampo alqae­di­sta sul Monte Chaambi, alla fron­tiera alge­rina; dalla sco­perta quasi quo­ti­diana di depo­siti d’armi o campi d’addestramento jiha­di­sta; soprat­tutto dagli omi­cidi poli­tici, nella forma dell’esecuzione pre­me­di­tata e attuata da sicari, di Cho­kri Belaïd (6 feb­braio) e di Moha­med Brahmi (25 luglio), entrambi figure di grande rilievo del Fronte popolare.
Non è irri­le­vante il con­tri­buto che la stessa Ennah­dha, il par­tito isla­mi­sta detto mode­rato (oggi parte della coa­li­zione che regge il governo di Habib Essid), ha offerto, deli­be­ra­ta­mente o meno, all’incremento delle acque ove nuota il drago jiha­di­sta. Spesso i suoi lea­der ‘mode­rati’ hanno acca­rez­zato il pelo della cor­rente interna filo-salafita. Non poche volte hanno aperto le porte o per­fino accolto in pompa magna pre­di­ca­tori rigo­ri­sti pro­ve­nienti dal Marocco, dall’Algeria, dall’Egitto, dalla Peni­sola ara­bica. Per non dire della com­pren­sione mani­fe­stata a suo tempo da alcuni, a comin­ciare da Ghan­nou­chi, verso i sala­fiti: per esem­pio, dopo l’attacco del 2012 a un’esposizione d’arte nel Palazzo El Ebdel­lia, decre­tata bla­sfema da loro stessi e per­fino dal laico mini­stro della Cul­tura di allora.
Certo, il ter­ro­ri­smo jiha­di­sta si è più che mai glo­ba­liz­zato e la Libia con­fi­nante è la base di molti gruppi che ne fanno parte. Ma v’è anche un fat­tore interno che con­tri­bui­sce a irro­bu­stire il drago jiha­di­sta. I pro­blemi sociali — disoc­cu­pa­zione, pre­ca­rietà, dispa­rità regio­nali — che ave­vano favo­rito l’insurrezione popo­lare si sono ancor più acuiti, ripro­du­cendo la spi­rale di rivolte spon­ta­nee e dura repres­sione, tipica della sto­ria della Tuni­sia indi­pen­dente. In più il semi– o sot­to­pro­le­ta­riato gio­va­nile dei quar­tieri urbani e delle regioni più dise­re­date, che era stato l’autentico primo attore dell’insurrezione, oggi è ancor più emar­gi­nato, di nuovo espro­priato della dignità che aveva riven­di­cato e della stessa rivo­lu­zione di cui era stato pro­ta­go­ni­sta. Non per caso la figura di Moha­med Boua­zizi è stata ormai abban­do­nata in qual­che cas­setto della storia.
È tra que­sti gio­vani che pesca la galas­sia sala­fita. La quale in non pochi casi è radi­cata negli ambienti dise­re­dati più di quanto non sia la sini­stra poli­tica. Soprat­tutto Ansar al-Sharia in qual­che misura ha ridato loro dignità, sia pur illu­so­ria­mente, ren­den­doli pro­ta­go­ni­sti, per esem­pio, di azioni di ‘vigi­lanza sui costumi’: minacce e attac­chi con­tro ven­di­tori d’alcol; chiu­sura vio­lenta di eser­cizi com­mer­ciali durante il mese di Rama­dan; pro­fa­na­zione e distru­zione di mau­so­lei sufi, impo­si­zione del loro comando in certe moschee. Come nelle migliaia di casi di gio­vani che vanno a com­bat­tere in Iraq e in Siria, sono atti di tipo com­pen­sa­to­rio, che per­met­tono loro di sfo­gare l’aggressività, subli­mare la fru­stra­zione sociale, sfug­gire alla disperazione.
Tutto que­sto è desti­nato ad aggra­varsi per ragioni mol­te­plici: gli effetti della crisi eco­no­mica mon­diale, il crollo del turi­smo, la fuga d’investitori e impren­di­tori stra­nieri, favo­rita dal clima di vio­lenza. Que­sti fat­tori, a loro volta, s’inseriscono nella cor­nice di governi, in par­ti­co­lare l’attuale, che, sot­to­messi come sono agli ordini del Fmi e di altri poteri forti, sem­brano poco inclini ad affron­tare la grande que­stione sociale cui abbiamo accen­nato.
Ma la Tuni­sia è un pic­colo, grande paese capace di sor­pren­dere. Non è assurdo spe­rare che un nuovo, potente movi­mento popo­lare, que­sta volta più orga­niz­zato, torni a riap­pro­priarsi delle riven­di­ca­zioni della rivoluzione.



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