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venerdì 4 settembre 2015

LA FUGA INTERROTTA DEL PICCOLO AYLAN

Si è molto discusso sull'eco mediatica della foto al piccolo Aylan: io dico subito che sono d'accordo con la pubblicazione dell' immagine.
Spesso la sofferenza e la morte nella nostra parte di mondo sono talmente occultate ed invisibili da essere rimosse: l'essere umano è una strana bestia e spesso ha bisogno di un riferimento sensibile chiaro e netto per rendersi conto di un fenomeno anzichè parlarne a vanvera, e pochi riferimenti sono chiari e netti come quell'immagine.
Certamente, esiste ed è forte la classica reazione superficiale e virale tipica dei social network, quell'indignarsi che in realtà serve solo a fare chiacchiera e a passare il tempo e per cui Aylan oggi è quello che fu il Cocorico ieri o il leone Cecil ieri l'altro, ma questo è un problema di ordine generale legato alla superficialità delle persone (più che dei mezzi che esse usano), ed è un rischio da correre se si vuole smuovere il cuore e l'animo di qualcuno.
L'altra obiezione, più consistente, che mi è capitata di leggere e considerare, è quella dell'indignazione selettiva, nel senso che molti piangono su quella foto dimenticando i massacri di bambini che avvengono parallelamente in ogni parte del mondo, a cominciare dal Donbass dove i media tacciono per opportunismo, e dimenticando di quanti bambini al giorno muoiono per malnutrizione, fame e sete. Epperò va detto che pubblicare quell'immagine ha senso in quanto la morte di Aylan ci tocca da vicino visto che non è solamente una simbolizzazione della sofferenza, ma ci parla in quanto riguarda l'immigrazione sulle nostre terre e le reazioni di odio che molti stanno nutrendo, odio che paurosamente sostituisce la pietà. Ecco, quella foto serve per parlarci, e, seppure certamente esiste un'indignazione selettiva per cui Aylan nella mente di molti è come scisso e separato dalla violenza sui deboli che il Capitale e l'imperialismo generano, è un rischio anche questo da correre, altrimenti per non essere selettivi non si incide dove c'è la possibilità di farlo e su fenomeni molto urgenti e diretti, cioè la reazione della popolazione locale verso chi sbarca dalle terre che i nostri stessi padroni hanno scientemente deciso di martoriare.Sicuramente già domani quasi tutti si saranno dimenticati, ma forse non tutti, e ciò già sarebbe un piccolo sasso gettato nello stagno.
Chiuderei narrando da Il Manifesto la storia di Aylan, figlio di Kobane, una storia che interseca anche un percorso di resistenza e solidarietà, quello che i curdi stanno tentando di instaurare nel loro martoriato cantone del Rojava.

da http://ilmanifesto.info/la-fuga-interrotta-del-piccolo-aylan/

La foto. Il bimbo morto su una spiaggia turca era un kurdo siriano. La sua meta finale era il Canada, dove avrebbe raggiunto la zia Teema, parrucchiera a Vancouver. In viaggio con la madre Rihan e il fratello maggiore Galip, anche loro vittime del mare. Solo Abdullah, il padre, è sopravvissuto al naufragio del loro gommone
Aylan Kurdi e il fratello maggiore Galip

Il bam­bino kurdo siriano anne­gato nelle acque tur­che si chia­mava Aylan Kurdi. Aveva tre anni: è nato quando la guerra civile siriana era già ini­ziata ed è morto insieme ad altri undici migranti, tra cui suo fra­tello Galip di cin­que anni, men­tre pro­vava con sua madre Rihan e suo padre, a fug­gire da Akyar­lar in Tur­chia per rag­giun­gere la vicina isola greca di Kos.
Il gom­mone dove viag­giava Aylan è affon­dato poco lon­tano dalla spiag­gia di Bodrum per­ché non ha retto al peso dei 17 pas­seg­geri a bordo. Dopo il nau­fra­gio dello scorso mer­co­ledì, la poli­zia turca ha assi­cu­rato che sono stati arre­stati quat­tro pre­sunti sca­fi­sti, incluso un cit­ta­dino siriano. La guar­dia costiera turca ha aggiunto di aver tratto in salvo 42 mila per­sone che ten­ta­vano di attra­ver­sare l’Egeo negli ultimi cin­que mesi.
L’unico super­stite della fami­glia di Aylan è il padre Abdul­lah che ten­tava di por­tare i suoi fami­liari in Canada, nono­stante la loro richie­sta di asilo fosse stata rifiu­tata. La zia Teema, da venti anni par­ruc­chiera a Van­cou­ver, ha con­fer­mato di aver rice­vuto una tele­fo­nata da Abdul­lah in cui le ha rac­con­tato della morte dei suoi bam­bini e di sua moglie in seguito al naufragio.
Teema aveva pre­sen­tato la richie­sta di asilo alle auto­rità cana­desi e inviava rego­lar­mente soldi alla fami­glia in Tur­chia. «Insieme ad amici e vicini abbiamo fatto di tutto per farli venire in Canada, ma non siamo riu­sciti a farli scap­pare in tempo», ha denun­ciato la donna, scossa per la notizia.
Ma la ter­ri­bile vicenda di Aylan è ancora più dram­ma­tica. Il bimbo fa parte delle decine di migliaia di kurdi scap­pati dalla città di Kobane dopo l’attacco lan­ciato dai jiha­di­sti dello Stato isla­mico (Isis) lo scorso anno, e mai rien­trati. Le auto­rità tur­che non hanno rico­no­sciuto for­mal­mente lo sta­tus di rifu­giati alle migliaia di pro­fu­ghi kurdi (400 mila nel pieno della crisi) che hanno allog­giato per strada o nei campi di Suruç nel Kur­di­stan turco.
Sono più di un milione e nove cento mila i pro­fu­ghi siriani in Tur­chia, secondo l’Agenzia dell’Onu per i rifu­giati (Unhcr). I siriani che fug­gono dalla guerra, dopo il golpe mili­tare al Cairo del 2013, non si vedono rico­no­sciuti lo sta­tus di rifu­giati in Egitto. Non solo, la per­ce­zione è che i pro­fu­ghi siriani ven­gano sco­rag­giati dalle auto­rità tur­che, liba­nesi (1,1 milioni di rifu­giati siriani) e gior­dane (600mila) dopo l’esodo degli ultimi anni.
Ma i siriani non sono ben­ve­nuti nep­pure nei Paesi del Golfo e in altri paesi arabi (eccetto Mau­ri­ta­nia, Alge­ria e Yemen) dove non viene rico­no­sciuto loro nes­sun per­corso pre­fe­ren­ziale per l’ottenimento di un visto. Non resta allora che ten­tare a tutti i costi la carta dell’Europa.
In Tur­chia il tema dell’accoglienza dei pro­fu­ghi siriani è con­ti­nua­mente usato dagli ultra-nazionalisti per accre­scere il loro con­senso elet­to­rale. Il flusso di pro­fu­ghi siriani al con­fine sud-orientale è andato aumen­tando come con­se­guenza dell’avanzata dello Stato isla­mico (Isis) nel Kur­di­stan siriano (Rojava). Nell’ottobre 2014, in pochi giorni, sono arri–vati a Suruç 100 mila kurdi siriani e per mesi non hanno rice­vuto alcun aiuto inter­na­zio­nale. Nella sola città di Gazian­tep 400mila kurdi siriani hanno tro­vato rifu­gio mesco­lan­dosi tra la popo­la­zione locale.
La guerra con­tro i kurdi non si è mai fer­mata in Tur­chia. Solo ieri quat­tro poli­ziotti sono stati uccisi da mili­tanti del Par­tito di Oca­lan (Pkk) a Mar­din. Sono cen­ti­naia i morti nel con­flitto inne­scato dall’attentato di Isis a Suruç dello scorso luglio che è costato la vita a 33 atti­vi­sti che ten­ta­vano di por­tare aiuti a Kobane e dalla con­se­guente duris­sima cam­pa­gna anti-Pkk e anti-Isis, lan­ciata delle auto­rità turche.
Gli attac­chi hanno inne­scato la dura rea­zione della popo­la­zione locale orga­niz­za­tasi in comi­tati di resi­stenza. ‪Ieri la città di Nusay­bin‬ è rima­sta deserta per pro­te­sta con­tro l’arresto di Sara Kaya e Zin­net Alan, due co-sindaci della roc­ca­forte del par­tito filo-kurdo, arre­stati con l’accusa di appar­te­nere a un’organizzazione terroristica.
La vit­to­ria elet­to­rale di Hdp lo scorso 7 giu­gno ha impe­dito al pre­si­dente Erdo­gan di per­se­guire i suoi cal­coli poli­tici. Il lea­der Akp ha indetto ele­zioni anti­ci­pate per il primo novem­bre inne­scando una dura cen­sura della stampa indi­pen­dente. Il quo­ti­diano Sozcu («Voce») è stato pub­bli­cato con le colonne vuote per pro­te­stare con­tro le inti­mi­da­zioni delle auto­rità tur­che. I gior­na­li­sti della testata hanno affron­tato quasi ses­santa cause per i loro arti­coli cri­tici nei con­fronti di Erdo­gan. Nep­pure i repor­ter bri­tan­nici di Vice, arre­stati a Diyar­ba­kir nei giorni scorsi, sono stati rila­sciati. I gior­na­li­sti, tra­sfe­riti nel car­cere di Adana in assenza dei loro avvo­cati, sono accu­sati di soste­nere il terrorismo.

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