Testo

Tel. 3319034020 - mail: precariunited@gmail.com

lunedì 27 giugno 2016

BREXIT. DI COSA SI PARLA?


Reputiamo che questi due articoli di Senza Soste sulla Brexit siano forse i più ragionati, e i meno mossi dallo spirito aprioristico di fazione, in cui, da una parte i sostenitori che ne vedono ingenuamente il grimaldello per il crollo del sistema finanziario targato UE, dall'altra i suoi nemici che immaginano altrettanto ingenuamente la trasformazione dell'Inghilterra in una sorta di lager per migranti, sono a nostro avviso un po' fuori dalla realtà e dalla concretezza della situazione, che invece in questi due articoli pensiamo di avere almeno in parte trovato.


da http://www.senzasoste.it/internazionale/brexit-chi-ha-paura-di-un-referendum-ecco-gli-scenari

Il referendum sullo status della Gran Bretagna nell’unione europea si è concluso. La vittoria della Brexit è ufficiale. Ma non tutti gli scenari sono come gli attori avrebbero voluto: i capitali finanziari e le borse volevano più libertà dai controlli UE ma non l'uscita, Cameron invece voleva una vittoria del Remain ma allo stesso tempo un referendum che mostrasse come anche lui era distante dall'UE, per tenere a distanza Farage che invece non è mai stato forte come ora.
brexit dislikePer quanto ci riguarda, non si tratta di niente di sorprendente. Piuttosto bisognerà saperne rappresentare gli effetti reali, a parte le tempeste valutarie, senza esagerare o minimizzare. La rinegoziazione, e la relativa tempistica, degli oltre cento patti bilaterali tra Ue e Gran Bretagna sarà il terreno reale sul quale si misurerà l’effetto del referendum. Il posizionamento della borsa di Londra, visto che il Pil inglese per metà è composto di servizi finanziari e asset di borsa, sarà decisivo per capire cosa sarà la Gran Bretagna, e con lei la Ue, nei prossimi anni. Di qui capiremo se la Gran Bretagna rimarrà inevitabilmente europea o si farà più asiatica.
Prima questione: i capitali asiatici e la forza della GB
Facciamo un esempio noto a chi si occupa di questi temi: la Gran Bretagna è il primo paese attrattore per gli investimenti cinesi in Europa, la prima piazza extra asiatica, quindi Usa compresi, per la trattazione dello yuan e Londra è stata la prima capitale, tra i centri decisionali del continente ad aderire alla Asian Infrastructure Investment Bank. Se questi capitali asiatici premono verso l’Ue, usando Londra come piattaforma, sarà difficile, per l’Europa continentale, tenere la faccia dura mostrata, in queste ultime settimane, da Schauble e Juncker. Allo stesso tempo gli accordi sull’unificazione tra borsa di Londra e Francoforte, che vedrebbero quest’ultima come specializzata nei servizi di clearing (la compensazione delle transazioni tra soggetti finanziari) su traffici generati a Londra, saranno un importante termometro della situzione. Anche perché la Capital Market Union, l’unione europea dei capitali per gli investimenti in infrastrutture e innovazione, progettata dall’Ue senza, o peggio con l’interdizione, di Londra non arriva a fare i primi passi. Nell’immediato sarà il momento delle oscillazioni, tra tempeste valutarie e dichiarazioni di rassicurazione e conforto, ma questo fa parte della dinamica delle novità.
"In borsa si vota tutti i giorni": elezioni, sondaggi e speculazione
Un punto però importante da rimarcare è che i referendum vengono bancati e prezzati dalle borse. Fino ad avere effetti globali. La vera postdemocrazia, nonostante il libro di Crouch che porta quel titolo sia davvero buono, è questa. Quella in cui sul voto l’esplicita pressione da parte della finanza e gli effetti sui mercati valutari fanno sentire il loro peso. Non tanto negli effetti sull’elezione in sé, buona parte dell’establishment della borsa londinese se si è espresso lo ha fatto a favore del Remain e ha perso, ma in quelli sul posizionamento globale del paese che vota. Per non parlare della moneta: il ribasso della sterlina, causato dalle oscillazioni di mercato, imporrà un intervento alla banca di Inghilterra che poi arriverà all’economia reale. C’è anche da dire che, a differenza dei luoghi comuni che spiegano le crisi, come quella sulla Brexit, con il classico “i mercati non amano le incertezze”, che il mondo reale è un po’ diverso. In un mondo di tassi bassi, e quindi margini di profitto sui bond ridotti all’osso, le incertezze, le crisi drammatizzate con le conseguenti oscillazioni dei valori di borsa sono una manna dal cielo, una vera occasione di strappare dei profitti veri. Certo qualcuno ci guadagna, qualcuno resta in mutande ma è la borsa non l’esercito della salvezza. E nei giorni scorsi, e nei prossimi che verranno, di movimenti speculativi attorno alla sterlina, e agli asset di marca britannica, ne vedremo. Intanto alcuni sondaggi sono stati occasione, infatti, per comprare da subito a basso prezzo asset destinati a rivalutarsi. Altri, come qualche fuga di notizie sul Bremain, sono stati l’occasione per vendere, e al rialzo, prima del prevedibile crollo azionario di alcuni titoli al momento della Brexit. Come è noto il più importante quotidiano di fantascienza italiano, Repubblica, ha abboccato sia agli uni che agli altri sondaggi prendendoli per veri e non cogliendo il contesto di borsa in cui venivano rilanciati. Ma il legame tra elezioni, sondaggi e speculazione è molto forte e rappresenta una parte sostanziale delle postdemocrazie contemporanee. Quella in cui la democrazia è ridotta ad essere un momento della necessaria creazione di volatilità per la speculazione finanziaria. Un rapporto tra democrazia e creazione di valore che non va affatto sottovalutato e che non è episodico ma, invece, fa parte della catena di creazione di valore dell’industria finanziaria.
Cameron, Farage e borsa: vincitori e vinti
Quanto al voto in sé è evidente che l’apprendista stregone Cameron si trova con i demoni, che aveva evocato, che sono fuggiti dal suo comando. Una autonomia più marcata dall’Europa era stata chiesta non solo dalla finanza, per sottrarre Londra dalle velleità di controllo Ue, ma anche dallo stesso partito conservatore. Per tenere a distanza la Ukip di Farage. Il risultato è che Farage, dopo la sconfitta alle politiche del 2015, non è mai stato cosi’ vincente come oggi. E che la stessa piazza finanziaria di Londra è insoddisfatta. Voleva autonoma dall’Ue, poi ribatezzata con un referendum pro Ue dopo la trattativa sullo status speciale della Gran Bretagna, non questo casino. Già perché la piazza finanziaria londinese non può entrare in grossa contraddizione col Lussemburgo. Ovvero con il paese che, dall’entrata in vigore dell’Ue, più di tutti è cresciuto in servizi finanziari (e specializzazione in evasione fiscale e prodotti finanziari offshore). E, guarda te il caso, esprime il commissario della Ue, Juncker, euroburocrate di lungo corso. Anche questi sono temi seri e, non ci sarà da stupirsi, Juncker smetterà di fare la faccia dura con l’Inghilterra al momento giusto. Lo ha fatto con un Renzi qualsiasi figuriamoci con un paese e una borsa strategici per il pianeta. Insomma, senza spaventarsi, gli effetti della Brexit non vanno nè minimizzati nè ingranditi. Ce n’è abbastanza come si vede, per chi vuol capire come cambia il mondo, sul terreno reale.
Le autoreti del Bremain, dei laburisti e di Schauble
Sulla sostanza del voto, il fronte Bremain di autoreti ne ha viste tante. Il partito laburista, ad esempio, marcia di sconfitta in sconfitta. Il simbolo è proprio Corbyn che nel 1975 si schierò, nel referendum precedente sull’Ue, contro l’unione e fu travolto. Oggi si è schierato per l’Unione, contro la Brexit, e ha subito una sconfitta storica. Tra l’altro il programma di stato sociale per il quale è stato eletto sarebbe improponibile in Ue, forse c’è qualche confusione seria nella sinistra istituzionale britannica (mentre alcuni sindacati di base hanno votato Leave). Forse l’autorete più grossa l’ha fatta però Schauble che è arrivato, con il consueto stile da dottor Stranamore, a minacciare conseguenze in caso di Brexit. In un referendum dove la componente dell’orgoglio nazionale britannico ha il suo peso, l’immagine della Germania che minaccia l’Inghilterra se si scommette sul Bremain non è una trovata da spin-doctor geniali.
Impoveriti e anziani hanno votato Brexit. Sotto effetto Trump
Sul voto in sé ha pesato l’Inghilterra profonda. Londra, la zona di Liverpool, Bristol e la Scozia, le zone che si ritengono più collegate o collegabili col continente, hanno pesato a favore del Remain. Il resto, tra cui molte zone dove la crisi del 2008 ha fatto sentire sul serio i suoi effetti ha prodotto un plebiscisto a favore della Brexit. Nella mappatura fatta dal Guardian si nota come a favore del Remain abbiano votato i soggetti delle zone a più alta educazione e maggior reddito. Mentre a favore della Brexit avrebbero votato gli elettori più anziani e quelli con peggiore qualifica professionale. Lasciare mezza Inghilterra a piedi, socialmente ed economicamente parlando, è stato fatale per i conservatori, il laburisti e l’Ue. E, guarda caso, si tratta del tipo di elettorato che in Usa si è avvicinato a Trump. Non ci vuole molto a capire che la miseria, senza soluzioni di sinistra, produce effetti nazionalistici. Ci arriverebbero, opportunamente lasciati liberi di esprimersi, anche Orfini, Giachetti e persino lo stesso Renzi.
Il pollaio italiano
Finiamo quindi con il pollaio di casa nostra. Lasciamo un attimo da parte Salvini, le possibili dichiarazioni di Renzi, quelle di Padoan, la fretta di Grillo (si parla a voti scrutinati, ora il M5S rischia di doversi rimangiare delle dichiarazioni facendo la parte del soggetto ondivago). Concentriamoci su uno degli artefici del disastro italiano per un quindicennio: Romano Prodi. Non contento di aver accompagnato la più spettacolare regressione del Pil dall’Italia unitaria ad oggi, come politico e come comissario Ue, non pago di aver varato una finanziaria utile per la contrazione economica alla vigilia di Lehman Brothers (che era ormai percepita come prossima), l’indimenticabile “professore” si è rifatto vivo. Dicendo che auspicava che la Gran Bretagna non solo rimanesse nell’Ue ma anche che entrasse nell’eurozona. Famoso per non azzeccarne una (disse che la crisi di borsa che si annunciava per l’Italia sarebbe stata compensata dalla crescita della Cina, infatti è accaduto il contrario) anche stavolta è stato smentito negli auspici, e in tempo reale, dal voto britannico. Ecco, di una cosa non abbiamo bisogno per i prossimi anni: che gli artefici di politiche demenziali, che ancora oggi vanno a dire in giro “io si che ho privatizzato davvero”, che hanno affossato il paese dopo la caduta del muro, restino politicamente a galla. Il resto è una pagina da scrivere con pericoli e opportunità. La storia, la politica e l’incertezza sono gemelle.
E se è vero che la politica usa categorie di origine teologica il suo campo di applicazione è differente. Tanto da far si che se non mette sotto la finanza, non ci sarà retorica del politico che tiene, programma politico credibile, democrazia in grado di essere davvero chiamata tale. Per questo il referendum britannico non deve far paura. Deve far riflettere. Ma forse per qualcuno questa è la paura più grande.

 p.s.
va fatta una utile nota, visto che in queste ore prevalgono approssimazione, paura e disinformazione. Abbiamo scritto " La rinegoziazione, e la relativa tempistica, degli oltre cento patti bilaterali tra Ue e Gran Bretagna sarà il terreno reale sul quale si misurerà l’effetto del referendum". Già abbastanza chiaro per capirsi sul fatto che non è che sta stamani la Gran Bretagna ha messo i ponti levatoi e buttato a mare gli indesiderati. Giova ricordare, viste diverse reazioni isteriche e improvvisate, che il voto è solo consultivo. Apre negoziazioni non altro. Perché diventi davvero efficace occorre infatti che il governo britannico chieda ufficialmente di uscire e che faccia scattare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona. Per questo Cameron si è dimesso stamani ma annunciando che fino a ottobre non si dimette. Per governare il processo nel partito conservatore e in parlamento. In parlamento, sulla carta poi va visto l'effetto Brexit nel voto, quasi i tre quarti dei membri sono contro l'avvalersi dell'articolo 50. Se questo rifiuto si formalizzasse in parlamento dovrebbe esserci un secondo referendum stavolta vincolante.E' una fase molto delicata, per la politica britannica e per l'Europa, che pero' va presa per come e'.
redazione, 24 giugno 2016
---------------------------------------------------------------
da http://www.senzasoste.it/nazionale/la-brexit-e-la-fantascienza-chi-soffia-davvero-sul-fuoco
sun leaveLa credibilità dei media italiani è, salvo lodevoli eccezioni, allo stesso livello del ceto politico che viene intervistato sulla stampa o in tv. Il referendum britannico è stata l’occasione per testare come il livello di qualità, a prescindere dalle posizioni, dei media nazionali sia molto basso. Quasi tutti i tg, dopo il risultato del referendum si sono strutturati come strumenti di propaganda dell’unione europea ripetendo mantra insensati. Le principali all news –a pagamento o su digitale terrestre- sembravano esser state commissariate direttamente a Bruxelles. In pochi, e comunque non italiani, si sono messi a raccontare quello che è accaduto. Ovvero che in un referendum consultivo, che deve essere dibattuto e ratificato in parlamento, una lieve maggioranza si è espressa per la Brexit. In caso di risposta negativa del parlamento, la cui maggioranza al momento è Bremain, allora si dovrebbe procedere ad un secondo referendum. In questo caso con potere abrogativo.
Certo, se le borse caricano di significato gli appuntamenti elettorali, per motivi oggettivi ma anche perchè un’elezione è una ottima fabbrica di volatilità finanziaria da saper sfruttare, i media si scatenano (e viceversa). Ma quando il favorito alla successione di Cameron, Boris Johnson (ex sindaco di Londra e organico alla City), dice apertamente che la Brexit non è così rapida e neanche così scontata, desta una certa curiosità il fatto che dalle nostre parti non se lo sia filato praticamente nessuno. A favore della rappresentazione, tra studi televisivi e copertine di giornali, di infografiche dove si racconta cosa cambia “da domani” con la Brexit. Dalla premier League ai soggiorni dei lavoratori, degli studenti, all’acquisto del tè, i voli low cost etc . Ma è tutta fantascienza, rappresentata con le armi dell’improvvisazione da redazioni che trovano audience maggiore rispetto alla media stagionale grazie al referendum.
Ovviamente “da domani” cioè da oggi non cambia assolutamente nulla. Da oggi l’attenzione è sulla procedura che deciderà di scegliere il parlamento britannico. Procedura che, tra mancata accoglienza del risultato del referendum consultivo in parlamento e nuova consultazione, potrebbe anche ribaltare il risultato. Fatto che veniva evidenziato dalla Handelsblatt, il Sole 24 ore tedesco, e in misura minore dall’Espresso, e che potrebbe portare ad una rinegoziazione della presenza britannica in Europa non ad una Brexit. Insomma, ad una ricomposizione del trauma. Qui ci sono però due problemi. Non piccoli e non di facile composizione. Non si pensi che in Gran Bretagna il voto sia solo quello “di pancia”, per usare una pessima espressione dei media italiani che si sforzano su tutto meno che a capire qualcosa.
Circolano, da tempo analisi, comunque serie, in Uk sul guadagno economico e geopolitico della Brexit. I capisaldi di questi ragionamenti sono due
1) la sterlina perderà valore ma, ad un certo punto, il calo strutturale della moneta britannica permetterà un rilancio economico del Regno Unito di serie proporzioni. Per non parlare della borsa finalmente libera da ogni ipotesi di ingerenza Ue (sulle banche il discorso è più complicato, ma lo si vede risolto).
2) Il continente Ue è demograficamente bollito, economicamente esangue, a rischio stagnazione secolare. La globalizzazione guarda altrove e, con lei, il nuovo asset del Regno Unito libero dai vincoli Ue. Politici prima di tutto.
Nigel Farage, sempre con la birra in mano, rappresenta la faccia del folklore di questo atteggiamento. Il resto altro che gente sperduta nelle Midland che non sa cosa fare, indecisa tra il pub e il seggio. Dietro l’indirizzo politico, economico e finanziario c’è. Non a caso Cameron è stato costretto ad ascoltarlo fino a concedere il referendum perdendolo assieme alla carica di primo ministro. Boris Johnson, almeno all’inizio, si mostra come elemento di mediazione tra questa tendenza, che guarda altrove, che è isolazionista solo nella propaganda del tg3 e quella del mantenimento di legami, rinegoziati, con l’Ue. E’ un piano sul quale, i precari che mangiano fish and chips maledicendo i migranti e impaurendo gli utenti dei social media delle sinistre continentali, non c’entrano ovviamente nulla. E’ il piano del comando, quello dei capitali globali che si affacciano su Londra. Una piazza, il London Stock Exchange dove si tratta, tra l’altro, finanza islamica secondo le leggi della sharia. Difficile dare dell’isolazionista, razzista a questa dimensione. Il capitale è apolide anche quando si presenta sulla spinta del voto sangue e suolo.
raggi spiegelChe c’è però qualcosa di ben diverso da quanto rappresentato dalla fantascienza dei media italiani (sul nostro impagabile Tirreno ieri la notizia era la vittoria del Remain e la sterlina che volava, ma qui si parla dei campioni della science-fiction in persona). E lo si capisce in Germania dove, oltre alla prospettiva fatta intravedere dalla Handesblatt ne esce un’altra. Dallo Spiegel che, oltre ad essere importante, è un settimanale ben attento alle esigenze della borsa di Francoforte per interposta persona del social-liberismo tedesco. Lo Spiegel nella edizione online monta una prima pagina con la foto della Raggi e con un articolo che comincia con accenti durissimi, che sfuggiranno (non è la prima volta, altre volte è accaduto su cose che si sono avverata) alla propaganda e alla fantascienza dei media italiani. Veloce traduzione: “Gli avversari della Ue festeggiano e sognano un’uscita in serie dall’Unione. Ma devono darsi, per la prima volta, una calmata osservando come sarà dolorosa la Brexit per i britannici”. Una vera dichiarazione di guerra finanziaria, o di accesa guerra fredda, per la Gran Bretagna. E anche un monito serio all’Italia, la foto della Raggi ha il suo peso simbolico, e al movimento di Grillo. Il quale parla, in queste ore, di rimanere nell’Unione Europea ma non nell’euro. Forse qualcuno non ha capito che una parte del grande capitale tedesco vuole per la Gran Bretagna, e per i “populismi” nazionali, un trattamento alla Tsipras. Per il movimento 5 stelle si tratterà di arrivare a capire che in Europa, dove si guarda con occhi commissariali come per Tsipras alla Raggi, non valgono le regole del non-statuto, delle comunarie e dello staff di Casaleggio. Il gioco si farà grosso e richiederà strumenti ben piu’ sofisticati di quelli messi in campo. Già, ma come e perchè questi toni e atteggiamenti?
Prima di tutto la governance multilivello Ue vede un rischio, non lontanissimo, di fare la fine del patto di Varsavia, che si dissolse poco più di due anni dopo la caduta del muro di Berlino. Per questo minacciare l’Italia, mettendo la Raggi sotto l’obiettivo, non è questione periferica. Per minacciare si deve però dare l’esempio: secondo quest’altra versione tedesca la Gran Bretagna deve essere umiliata. Come? Ma soffiando sul secessionismo dell’Ulster e della Scozia, chiudendo in modo commercialmente punitivo la partita Brexit. E la finanza? Juncker esprime il paese che più ha guadagnato in termini di servizi finanziari, legali come in nero e offshore, dall’apertura dell’Ue: il Lussemburgo. Questo paese, per quanto geograficamente minuscolo, è una sorta di Singapore, patria dei capitali senza freni e dei depositi bancari piu’ discreti, che non ha alcuna intenzione di perdere il suo status. E’ chiaro che in questa visione dei rapporti con la Gran Bretagna, uscita via Spiegel, si esprime una alleanza lussemburghese-tedesca-francese (molto recentemente il ministro dell’economia Sapin ha parlato di “nuovo ruolo della borsa di Parigi”) tesa a cannibalizzare quanto possibile il ruolo della piazza di Londra dopo la Brexit. Proprio per contrastare un ruolo forte, e vincente, di Londra dopo l’eventuale Brexit. Smantellando la Gran Bretagna, favorendo la secessione di Scozia e Ulster, impoverendola dando così un segnale forte a Francia, Italia e Spagna: del genere “chi esce di qui è un reietto destinato a vivere di veleni e miseria”. Ma chi vincerà a Berlino? La tendenza Handelsblatt o quella Spiegel, quella trattativista o quella della guerra finanziaria, guerra fredda di livello acceso?
State tranquilli, l’Italia di Renzi sarà comunque prona nei confronti della tendenza vincitrice a Berlino. Specie ora che la Raggi è sotto gli occhi di Berlino. Mentre la fantascienza mediale italiana è attenta ad altro. E ci sono rischi reali che il referendum di ottobre verrà giocato sotto scopa da parte dei mercati finanziari. Minacciando l’opinione pubblica italiana con l’ascesa degli spread. Fantascienza? Molto meno di quella venduta dalle redazioni dei giornali italiani.
Qui ci sono quindi due prospettive da far valere nelle prossime settimane a livello di analisi. La prima di una mediazione che, giocoforza, si impone. Come augurato dalla Handelsblatt. Una rinegoziazione che, magari, porta davvero ad una unificazione delle borse di Francoforte e Londra (l’una ha specializzazioni che richiede l’altra) oppure a un blocco dell’accordo in modo amichevole. Grazie ad una rinegoziazione della presenza britannica in Ue. La seconda è quella di una guerra finanziaria, giocata come elemento di sopravvivenza della governance Ue (e Bce) tesa a cannibalizzare la Gran Bretagna. Come elemento di guadagno, in una logica di guerra finanziaria ed economica, verso l’esterno. E di messa a terrore di ogni opposizione interna.
In ogni caso, la piccola e piccolissima classe media inglese che ha scelto la Brexit naturalmente verrà maledetta come razzista, fascista quando invece, e oggi non è poco, è solo di corte vedute. La Gran Bretagna come il paese isolazionista. Mentre la Ue il terreno della garanzia dei diritti e della democrazia. A sinistra abboccheranno in tanti, come è nella loro natura. In realtà siamo di fronte ad una prospettiva o di guerra o di compromesso. Di compromesso tra grandi capitali nell’ottica Londra-Francoforte, magari con Parigi e Lussemburgo che trovano un ruolo, e di guerra finanziaria, ed economica, tra Ue e Gran Bretagna. In mezzo, il nostro paese.
redazione, 25 giugno 2016

Nessun commento: