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giovedì 21 dicembre 2017

IL SIMULACRO


Raramente nel blog vengono ospitati articoli di questo tipo: nessuna analisi di fase, nessun riferimento puntuale a temi politici, ma una fotografia del paradigma culturale del mondo odierno fatta per suggestioni e attraverso uno stile letterario (secondo me talvolta anche troppo roboantemente retorico) breve ed essenziale.
Ecco, il pregio dell'articolo che segue è tuttavia proprio questo: rimanere sulla sovrastruttura ma saperci trasmettere, attraverso immagini del nostro quotidiano, quello che è l'orizzonte di pensiero dei tempi che viviamo.
Da persona attenta anche all'analisi dei rapporti economici, posso sviluppare un'intuizione dell'autore, quando parla di forza lavoro come 'merce avariata': da un punto di vista strutturale è proprio quel simulacro dovuto al low-cost che fa sopravvivere l'autore (o un io narrante ipotetico che sia) con 700 miseri euro al mese, perchè il low cost, come esaminato spesso in questo blog, è tale per la contrazione salariale di chi ci lavora e, per estensione in una società in cui il potere contrattuale è ormai tutto dalla parte dei padroni, di tutti i lavoratori.
Il solito paradosso del salario, per cui un salariato quando lavora vorrebbe essere pagato meglio, ma quando acquista vorrebbe pagare meno possibile la merce, non accorgendosi che il pagare poco la merce si gioca tutto sul ribassamento dei salari, spesso non accorgendosene nemmeno quando acquista merci che lui stesso contribuisce a produrre; nulla di altro dal famoso feticismo della merce (altrimenti detto merce come ideologia) che oggi opera in maniera più potente che mai.


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da  https://inunfuturoaprile.it/politica/il-post-benessere/?utm_source=facebook&utm_medium=paidsocial&utm_campaign=Post-benessere

Stiamo meglio o peggio dei nostri padri? Siamo mediamente più ricchi, forse, ma lo star bene è altro dal conto in banca. Ostaggio di un capitalismo sempre più rapace, il futuro non sembra ammettere possibilità all’infuori del carico di ansia e frustrazione che esso porta in dote. Cantori del nuovo evo tecnologico, i lobbisti ci rassicurano circa le “magnifiche sorti e progressive” di questo mondo sempre più vacuo: dovrebbero, se non per pudore, almeno per rispetto di chi il pane lo suda davvero ogni giorno (in euro, non in bitcoin), tacere. E così i capi ultras che siedono in Parlamento – ché a quello la politica è ormai ridotta, a guerra di bande. Le elezioni incombono: da qui a marzo sai il frastuono del nulla!
Il post-benessere è la condizione dell’uomo contemporaneo. Il post-modernismo (più fatuo e insieme frainteso del punk) è morto, non la post-modernità e soprattutto la comodità del prefisso. Qui, però, lo scarto che quel “post-” assicura non è esercizio di stile, ma necessità concettuale. Il benessere come lo conoscevamo, quello che univa Pil e tenore di vita individuale, è irrimediabilmente tramontato (ammesso che sia mai esistito). Dell’età dell’oro restano i paramenti che ci ostiniamo a indossare senza che facciano più alla bisogna. Ed ecco la necessità del “post-”: sottolineare come la controrivoluzione del capitalismo finanziario ci abbia impoverito non tanto sottraendoci risorse (rendendo la forza-lavoro merce avariata, insistendo sul valore della performance, sull’ubiquità dei social) quanto piuttosto riducendo a vuoti simulacri certe pratiche, certi indicatori. Il lavoro non basta più, lo stipendio non basta più, la pensione non basta più. A comprare il pane? No, a dare dignità. Ma le vacanze al mare sono salve, e così il cellulare nuovo di pacca. Ecco, infatti, che all’orizzonte di un altro mese da scavallare con 700 lordissimi euro appare in soccorso il fantastico mondo del low cost, la nuova manna dal cielo. Nulla è impossibile, a patto di accontentarsi: mangiare cibo scadente in quantità, vestirsi di plastica tutte le stagioni, viaggiare in una scatola di sardine alata, rateizzare, rateizzare, rateizzare. Il surrogato di una vita impacchettato come nuovo Eldorado, affinché si possa dire: venti, trenta, quarant’anni fa tutto questo non c’era, tutto questo non era possibile, ora sì. Eh già, ma come la spieghi allora la fatica, la rabbia, la disillusione? Le avverti alla bocca dello stomaco ma vuote, come un brivido a cui non riesci a dare un nome.
La realtà virtuale, ecco cos’è il post-benessere. Ovvero la retorica dello sviluppo, della produttività, della crescita, ridotte a zombie. Il Pil, scintillante nei titoli dei tg, arrembante nelle slide delle conferenze stampa, che fa a cazzotti con il quotidiano, precarissimo malessere.

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