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mercoledì 10 gennaio 2018

SE IL PADRONE TI PAGA IN AZIONI...


Questa manovra, che è una parodia dei princìpi di cogestione (peraltro discutibilissimi) e che apparentemente potrebbe sembrare un miglioramento rispetto al puro e semplice rapporto subordinato, vive sul semplice fatto che le quote azionarie sono talmente irrisorie per cui l'operaio non avrà mai voce in capitolo di alcun tipo e avrà solo i danni che l'articolo a seguire ci spiega.


da   http://popoffquotidiano.it/2018/01/08/se-il-padrone-ti-paga-in-azioni-ti-ruba-salario-e-diritti/



Con la legge di stabilità appena approvata dal Parlamento è stata introdotta una disciplina mirante a favorire la trasformazione del salario di secondo livello in acquisto delle azioni societarie favorendo anche fiscalmente la eventuale vendita delle azioni a terzi. Diventa così realtà il disegno padronale di trasformare gli operai e i lavoratori in azionisti della impresa presso la quale lavorano, da forza lavoro sfruttata e conflittuale a complice dei progetti di sfruttamento.
E’ infatti palese che acquistando le azioni della società, anche l’atteggiamento del lavoratore cambierà e di fronte allo spettro di un contenzioso, di scioperi e azioni conflittuali (con la perdita di valore delle azioni magari quotate in borsa), la scelta operata sarà sempre dettata da ragioni padronali (zero scioperi, zero conflitti).
Non siamo solo in presenza della trasformazione del salario di secondo livello in misure di welfare aziendale, del resto anche il salario accessorio è ormai ribattezzato in altri termini, per altro fuorvianti, come  premi di risultato o premi di produzione\ttività.  Traformare allora parte del salario in acquisto di quote azionarie era del tutto scontato, aveva solo bisogno di tempo e di far affermare prima il concetto che non si tratta di soldi spettanti per diritto a tutta la forza lavoro.
Analizziamo quindi il comma 161, della legge n. 205/2017, si capisce che ciascun lavoratore sarà spinto a trasformare i cosiddetti  premi detassati (quelli cui al comma 182 della legge 208/2015), direttamente in azioni con una tassazione più leggera giusto per invogliarne l’aquisto
La fiscalità generale si piega dunque alle esigenze speculative e capitalistiche, non è una semplice disciplina tributaria di vantaggio per il calcolo delle plusvalenze derivanti dalla vendita delle azioni ricevute dai dipendenti in luogo, in tutto o in parte, di premi di risultato di ammontare variabile, è qualcosa di molto più pericoloso.
Il lavoratore verrà spinto non solo a tramutare il salario di secondo livello in misure di welfare aziendale, di bonus, di misure legate alla sanità e alla previdenza integrativa, si passa direttamente all’acquisto delle quote azionarie della azienda che lo sfrutta così da renderlo dipendente in ogni sua azione dagli andamenti di borsa.
Da qui la decisione di tassare al 26% la differenza tra il prezzo della vendita e l’importo delle somme oggetto di sostituzione con le azioni. Non ci vogliamo addentrare dentro i meccanismi tecnici di questa decisione, resta la gravità dello scambio diseguale, prima tra salario e bonus e presto tra salario e azioni della azienda alla quale in futuro non venderemo solo la nostra forza lavoro ma molto altro.

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