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sabato 27 gennaio 2018

WEEK END MAGAZINE. IL GIORNO DELLA MEMORIA (27-28 GENNAIO)


Nel giorno in cui l'Armata Rossa entrò ad Auschwitz,  ricorderemo, attraverso una poesia e due articoli, alcuni aspetti più o meno noti della barbarie nazista, evitando in questa giornata paragoni e valutazioni politiche.
Il materiale infatti ci basta per riflettere su dove può arrivare la borghesia pur di mantenere il potere e per farci capire la novità storica del nazismo: una dittatura che non si basava sulla religione o su ideologie  antimoderne, ma sulle categorie razziste diffuse allora, dandone una versione particolare legata alla forza più che all'intelletto (e dunque legandosi sincreticamente a pulsioni vitaliste ed irrazionaliste molto forti in certa cultura di allora), parlando, in una società di massa sviluppata come Weimar a livello culturale e scientifico, la lingua del tempo.
Le sanzioni della Prima Guerra mondiale ne permisero l'humus culturale di fondo, Mussolini ispirò molti passi ideologici e strategici verso il potere e la sua gestione, e la crisi del '29 legò le masse all'ideologia del capro espiatorio, ideologia capace di spostare le incertezze della piccola borghesia e la rabbia dei ceti popolari (orfani del partito comunista messo fuorilegge e decimato dopo l'incendio del Reichstag di cui fu infondatamente incolpato) sulla 'razza' anzichè sul grande Capitale industriale e bancario che nel nazismo mantenne saldamente il potere.
Ci sarebbero mille discorsi da fare: capire in che modo e attraverso quali strutture questa ideologia si diffuse capillarmente a livello di storia sociale; le analogie tra il nazismo e le varie forme europee di fascismo; porre il paragone tra il lager e i vari universi concentrazionari delle società capitaliste e colonialiste (anzichè paragonare in modo capzioso soltanto il lager ed il gulag); porre quello tra le leggi razziali nazifasciste e quelle USA degli anni '30; analizzare le analogie e le differenze tra il nazifascismo ed altri imperialismi, da quello atlantico al sionismo; capire i residui culturali e politici, oggi forti più che mai, del nazifascismo che ad esso sopravvissero....ma questa è materia di storici.  Noi vorremmo fare solo un excursus su alcuni punti di questo fenomeno che segnerà in modo indelebile la Storia del Novecento.









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Auschwitz

Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’ aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.
Tu non vuoi elegie, idilli:solo
ragioni della nostra sorte, qui,
tu,tenera ai contrasti della mente,
incerta a una presenza
chiara della vita. E la vita è qui,
in ogni no che pare una certezza:
qui udremo piangere l’ angelo il mostro
le nostre ore future
battere l’ al di là, che è qui, in eterno
e in movimento, non in un’ immagine
di sogni, di possibile pietà.
E qui le metamorfosi, qui i miti.
Senza nome di simboli o d’ un dio,
sono cronaca, luoghi della terra,
sono Auschwitz, amore. Come subito
si mutò in fumo d’ ombra
il caro corpo di Alfeo e d’ Aretusa!
Da quell’ inferno aperto da una scritta
bianca:<< Il lavoro vi renderà liberi>>
uscì continuo il fumo di migliaia di donne spinte fuori
all’ alba dei canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’ acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’ animali,
o sei tu pure cenere d’ Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette d’ amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
o di sciarpe d’ ebrei:sono reliquie
d’ un tempo di sagezza, di sapienza
dell’ uomo che si fa misura d’ armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte
.
(Salvatore Quasimodo)

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IL GENOCIDIO DEI MALATI

da  http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/563869/Giornata-della-Memoria-200-mila-persone-con-disabilita-vittime-di-Aktion-T4

ROMA – Vite indegne di essere vissute, nel delirante piano di Hitler e dei gerarchi nazisti. Tra le tante, quelle delle persone disabili. Storpi, ciechi, sordi, soprattutto i folli: tutti destinati all’annientamento, in quella operazione che fu chiamata “Aktion T4”: un programma di eugenetica con il quale si stima che si siano soppresse tra le 100mila e le 200mila persone. Si sterilizzavano le persone con disabilità e si uccideva in primis – sotto l’attenta supervisione medica - chi aveva malattie genetiche, i malati inguaribili e i disabili mentali. 


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Il nome di questa specifica operazione di sterminio, T4, è l'abbreviazione di "Tiergartenstrasse 4", la via di Berlino dove era situato il quartier generale dell'ente pubblico nazista per la salute e l'assistenza sociale. La designazione Aktion T4 non è nei documenti dell’epoca ma, secondo alcune fonti letterarie, i nazisti usavano il nome in codice Eu-Aktion o E-Aktion. E “Programma di eutanasia” è la denominazione utilizzata dai giudici durante il processo di Norimberga. Nel Mein Kampf (scritto mentre il futuro dittatore era in carcere per il fallito tentativo di colpo di Stato a Monaco di Baviera nel 1923) Hitler esprime chiaramente i suoi obiettivi di “selezione”: “Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze nel corpo del suo bambino. Qui lo Stato nazionale deve fornire un enorme lavoro educativo, che un giorno apparirà quale un’opera grandiosa, più grandiosa delle più vittoriose guerre della nostra epoca borghese”. 
Il massacro dei bambini e degli adulti disabili, portato avanti da medici, è passato alla storia per essere stato l’unico crimine che il regime decise di sospendere sotto le pressioni dell’opinione pubblica. Sospensione più di facciata che effettiva, visto che, come ricorda la voce Aktion T4 della versione italiana di Wikipedia, l’ultimo bimbo soppresso fu Richard Jenne, 4 anni, ucciso il 29 maggio 1945, 21 giorni dopo la fine della guerra in Europa. Tuttavia il processo venne, se non fermato, sicuramente rallentato dalle pressioni della Chiesa cattolica e dalla protesta che montava nel popolo tedesco per la strage degli innocenti. 
L’Aktion T4 portò dunque alle estreme conseguenze i concetti di igiene razziale, eutanasia ed eugenetica che tra le due guerre non furono affatto una prerogativa della sola Germania. Come fa notare Ian Kershaw, il principale biografo di Hitler, nel saggio ‘All’inferno e ritorno’ pubblicato in Italia da Laterza, l’eugenetica derivava dal darwinismo sociale ed era considerata una scienza progressista ben prima della Grande Guerra, con estimatori del calibro dell’economista John Maynard Keynes, degli scrittori H.G. Wells e D.H Lawrence e del commediografo George Bernard Shaw. Si pensava che, selezionando gli esemplari di razza umana, si sarebbero eliminate, scrive Kershaw, “le caratteristiche che producevano la criminalità, l’alcolismo, la prostituzione e le altre forme di comportamento deviante”. Come ricordano Silvia Morosi e Paolo Rastelli sul blog Poche storie, “quando l’eugenetica che auspicava l’eliminazione degli ‘inadatti’ si incrociò con il razzismo e la ‘purezza di sangue’ predicate dal nazismo, si creò una miscela esplosiva in cui maturarono i peggiori eccessi”. 
Due furono gli elementi nuovi che contribuirono portare all’estremo la situazione. Prima di tutto le enormi perdite di uomini giovani e vigorosi durante la Grande guerra, (mentre i deboli e i malati erano più o meno sopravvissuti) fecero temere un peggioramento genetico della popolazione cui era considerato indispensabile porre rimedio. E poi la Grande depressione degli Anni Trenta, che ridusse di molto le risorse pubbliche da destinare all’assistenza dei disabili. Così - come messo in luce da Morosi e Rastelli -, uno dei primi atti del nazismo trionfante, mentre si procedeva alla demolizione della democrazia e alla persecuzione ed eliminazione degli avversari politici, fu la decisione di migliorare la razza attraverso la sterilizzazione coatta di tutti i disabili psichici. La prima legge in proposito, promulgata nel luglio del 1933, riguardava “le persone affette da una serie di malattie ereditarie – o supposte tali – tra le quali schizofrenia, epilessia, cecità, sordità, corea di Huntington e ritardo mentale”, nonché gli alcolisti cronici e numerose prostitute. Nel periodo di vigore pieno della legge, più o meno fino al 1939, si calcola siano state sterilizzate tra le 200 mila (secondo Robert Jay Lifton, autore del libro ‘I medici nazisti’) e le 350 mila persone. Il processo prevedeva il censimento, chiesto a ospedali, case d’infanzia, case di riposo per anziani e sanatori, di “tutti i pazienti istituzionalizzati da cinque o più anni, i “pazzi criminali”, i “non-ariani” e coloro ai quali era stata diagnosticata una qualsiasi malattia riportata in un’apposita lista”. “Vite indegne di vita” come Hitler li chiamava. Questa lista comprendeva schizofrenia, epilessia, corea di Huntington, gravi forme di sifilide, demenza senile, paralisi, encefalite e, in generale, “condizioni neurologiche terminali”. Lo sterminio, attuato prima con iniezioni letali e poi con il sistema più veloce dell’avvelenamento con monossido di carbonio , fece un numero di vittime stimato tra le 75 e le 100 mila fino all’agosto del 1941, quando venne ufficialmente sospeso (la cifra non comprende i disabili non tedeschi uccisi nei territori occupati dai tedeschi nel corso della guerra). Tuttavia le uccisioni continuarono – come si ricorda su ‘Poche storie’ - e andarono poi a confluire nel più grande programma di sterminio razziale degli ebrei e degli altri “esseri inferiori”, al quale venne anche applicata l’esperienza maturata con l’uso del gas asfissiante. 
E i bambini? Tra i bambini, le vittime furono circa 5 mila tra il 1938 e il 1941, anche in questo caso con il sistema dell’iniezione letale. Gli ospedali ricevettero l’ordine di segnalare i piccoli “di età inferiore ai tre anni nei quali sia sospetta una delle seguenti gravi malattie ereditarie: idiozia e sindrome di Down (specialmente se associato a cecità o sordità); macrocefalia; idrocefalia; malformazioni di ogni genere specialmente agli arti, la testa e la colonna vertebrale; inoltre le paralisi, incluse le condizioni spastiche”. I piccoli venivano sottratti ai genitori con la scusa del trasferimento in “centri pediatrici speciali” dove avrebbero ricevuto cure migliori e dove invece venivano uccisi, sezionati a scopo “scientifico” e poi cremati. La causa ufficiale della morte era “polmonite”.
La preparazione culturale del terreno. Tutti questi programmi di sterminio erano stati preceduti, nel periodo prima della guerra, da un’intensa opera di propaganda nelle scuole e nelle organizzazioni giovanili del partito nazista, nonché tramite la diffusione di film, poster, libri e opuscoli tesi a suggerire la necessità della selezione genetica e dell’eliminazione dei disabili per evitare loro altre sofferenze e risparmiare denaro a beneficio del resto della popolazione. (ep)

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da  http://www.lastampa.it/2009/08/20/cultura/le-volonterose-prostitute-di-hitler-PmRo2Bgl84gCRvGnMLGjbO/pagina.html


IL BORDELLO DI AUSCHWITZ


BERLINO 
Un bordello ad Auschwitz, con tanto di turni, tariffe e orari di ingresso. Quella che al primo impatto suona come un’idea assurda rappresenta una triste realtà: nel campo di concentramento simbolo dell’orrore nazista le SS crearono una casa chiusa destinata a particolari categorie di internati. E non solo ad Auschwitz: simili baracche, ribattezzate Sonderbauten («edifici speciali»), erano attive anche in altri Lager. Atti sessuali forzati a pochi metri da montagne di cadaveri ammonticchiati l’uno sull’altro: un capitolo poco noto nella storia del nazismo riportato ora alla luce da Robert Sommer in Das KZ-Bordell («Il bordello nel campo di concentramento»), un libro presentato ieri al parlamento della città-Stato di Berlino. 

Per decenni, dopo la fine della seconda guerra mondiale, Sonderbauten è stato un termine tabù in Germania: da un lato le donne costrette a prostituirsi si chiusero nel silenzio dopo il 1945, dall’altro il concetto di bordello si conciliava ben poco con l’immagine del campo di concentramento come luogo di annientamento fisico e psicologico; per non parlare poi del fatto che nella Germania dell’Est, in cui il ricordo dei campi di concentramento rappresentava un fondamento dell’identità nazionale, l’idea che i prigionieri comunisti e «antifascisti» potessero aver visitato una prostituta in un Lager era quanto meno sconveniente. Eppure il sistema dei Sonderbauten era piuttosto ampio: tra il 1942 e il 1945 i nazisti crearono bordelli in dieci Lager, a Buchenwald come a Dachau, a Sachsenhausen come a Mittelbau-Dora (il campo al di sotto del quale venivano costruiti i missili V2); il più grande, con circa 20 ragazze, era però ad Auschwitz. 

A partorire l’idea fu, nel 1942, il capo delle SS Heinrich Himmler, che puntava in tal modo ad aumentare la produttività degli internati. «Per i nazisti i Lager avevano anche un alto valore economico come luoghi di produzione, solo che la produttività era molto bassa a causa del cibo insufficiente, delle violenze quotidiane o delle cattive condizioni igieniche, per cui Himmler pensò di creare degli incentivi affinché i detenuti lavorassero di più», spiega Sommer, che collabora tra l’altro col memoriale dell’ex campo di concentramento di Ravensbrück, a Nord di Berlino. 

La visita di un bordello come bonus, insomma. Un sistema che «non ebbe assolutamente successo, perché non aumentò la produttività dei prigionieri», nota Sommer, ma che le SS provarono a estendere fino al 1945, regolandolo nei minimi dettagli. A cominciare dalla scelta delle donne: si trattava soprattutto di giovani sotto i 25 anni, provenienti da Germania, Polonia o Ucraina («non c’erano italiane») e reclutate per lo più tra quelle internate come «asociali». Rigorosamente escluse per principio, invece, le ragazze ebree. 

Secondo l’autore furono circa 200 le giovani costrette a prostituirsi. Per convincerle i nazisti «promisero loro di liberarle dopo sei mesi di lavoro nei bordelli, una promessa che non venne però mai mantenuta». Una volta individuate, le ragazze venivano selezionate dalle SS, quasi sempre a Ravensbrück, ma anche nel campo femminile di Birkenau, e infine spedite nei vari Sonderbauten. Per tutte, ogni giornata aveva lo stesso ritmo: lavori leggeri - ad esempio rammendare calzini o raccogliere erbe - al mattino e al pomeriggio, prostituzione coatta dalle 20 alle 22, turni più lunghi la domenica pomeriggio. In ogni caso il loro trattamento non era così duro come per il resto degli internati, fa notare Sommer, in quanto le ragazze ricevevano ad esempio razioni più sostanziose. 

Ma chi frequentava simili bordelli? Non si trattava né di ebrei, né di prigionieri di guerra sovietici, cui l’ingresso era vietato, né tanto meno di internati «semplici», bensì di cosiddetti Funktionshäftlinge («detenuti-funzionari»), internati che svolgevano compiti di sorveglianza all’interno del Lager, come ad esempio decani o kapò. Gli unici a poter pagare i due Reichsmark richiesti dalle SS. 

La visita era disciplinata in modo meticoloso: i prigionieri dovevano presentare domanda, farsi inserire in un’apposita lista, sottoporsi a una visita medica e infine attendere di essere convocati a un appello. Lo stesso rapporto - sorvegliato da alcune SS attraverso degli spioncini - era rigidamente organizzato: 15 minuti per internato, una sola posizione - quella del missionario - e niente contraccettivi. Ciononostante i casi di gravidanze furono pochi (e accompagnati sempre dall’aborto), dato che, rileva Sommer, o le ragazze venivano sterilizzate prima del loro arrivo nel campo di concentramento, oppure le condizioni estreme della loro prigionia le rendeva incapaci di avere figli. Malgrado il quadro disumano di una simile pratica, tra «clienti» e prostitute forzate si svilupparono anche rapporti più profondi. «Per gli internati la motivazione alla base della visita non era necessariamente quella di far sesso, bensì quella di sentirsi di nuovo come una persona; alcuni facevano regali alle ragazze e c’è anche un caso in cui un uomo e una donna conosciutisi in un simile bordello si sono poi sposati dopo il 1945». La maggior parte delle ragazze costrette a prostituirsi sopravvisse infatti alla guerra. E nessuna ha mai ricevuto un risarcimento per l’orrore vissuto.  

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