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lunedì 12 febbraio 2018

IL CORPO AVVIZZITO DELL'AMERICAN DREAM


da   https://ilmanifesto.it/il-corpo-avvizzito-dellamerican-dream/



Medicina. I dati sulla salute degli abitanti degli Stati uniti parlano chiaro: l'aspettativa di vita è notevolmente diminuita. Fra le cause, le cattive abitudini alimentari, la disparità di accesso alle cure ma anche i suicidi e le morti per overdose



Per il secondo anno di fila, nel 2016 l’aspettativa di vita degli americani non è cresciuta, anzi è leggermente diminuita. Gli statunitensi oggi possono sperare di arrivare a 78,7 anni contro una media di 80,3 anni calcolata nei paesi Ocse. Sono i dati riportati dal bollettino n. 293 del Centro nazionale per le statistiche sanitarie statunitense della fine del 2017. Alla ricerca delle cause, Steven Woolf della Virginia Commonwealth University e Laudan Aron dell’Urban Institute di Washington li hanno analizzati sul British Medical Journal, una delle principali riviste scientifiche in campo bio-medico al mondo. Le tabelle del bollettino n. 293 raccontano che il peggioramento riguarda soprattutto alcune categorie sociali. Ad esempio, il tasso di mortalità tra gli afro-americani supera del 30% la media nazionale, e sta aumentando invece che diminuire.
Il declino americano non è iniziato ieri. Negli anni ’60, gli statunitensi godevano dell’aspettativa di vita più elevata al mondo, con quasi due anni e mezzo di vantaggio rispetto alla media Ocse. A partire dagli anni ’80, tuttavia, hanno cominciato a perdere terreno rispetto a paesi con condizioni di vita paragonabili. Nel 1998, gli Usa sono scesi al di sotto della media Ocse e oggi continuano a scivolare verso il basso. Tra le cause, vengono tradizionalmente citate le cattive abitudini in materia alimentare degli americani e le disparità nell’accesso al sistema sanitario. Negli ultimi anni, al quadro già non roseo si sono aggiunti altri fattori. In particolare, sottolinea Woolf, sono aumentati gli americani morti per abuso di alcool, i suicidi e le vittime di overdose.
IL NUMERO DI OVERDOSE è quello più impressionante ma anche il più noto, viste le dimensioni del fenomen. Il tasso di mortalità per overdose è triplicato dal 1999 a oggi. Circa 64mila americani l’anno muoiono a causa di overdose, otto volte più che in Europa. In circa la metà dei casi si tratta di vittime di farmaci, non di eroina o cocaina. Come spesso ha raccontato questo giornale, negli ultimi due decenni l’utilizzo di farmaci oppiacei anti-dolorifici è esploso, portando due milioni di americani alla tossicodipendenza e a rivolgersi a prodotti sempre più pesanti per soddisfarla.
Woolf rimarca che si tratta solo della punta di un iceberg. Tra il 1999 e il 2014, il tasso di suicidi è aumentato del 24%. Nello stesso periodo le morti da abusi alcolici sono aumentate del 40% e ogni anno sono circa novantamila. Numeri che da soli controbilanciano i piccoli miglioramenti ottenuti nella cura dei tumori e delle malattie cardiovascolari, in assoluto le principali cause di morte. I dati sull’aspettativa di vita disegnano una società americana decisamente malata. Visto il periodo di tempo preso come riferimento, non è certo colpa di Donald Trump. Semmai, occorre rivedere l’opinione diffusa sull’era Obama, spesso dipinta in maniera agiografica. Sotto l’amministrazione Trump, tuttavia, porre rimedi appare più difficile che mai.
NEL CASO DEGLI ABUSI di farmaci oppiacei, molti addetti ai lavori accusano le società farmaceutiche di aver attuato politiche di marketing aggressive presso i medici affinché aumentassero le prescrizioni di principi attivi analgesici come l’oxicodone, cioè un oppiaceo semi-sintetici di cui esistono un gran numero di varianti commerciali. La dipendenza da oxicodone ha portato molti pazienti all’uso di eroina e di fentanyl, un altro principio attivo sintetico oppiaceo sviluppato in campo farmaceutico ma oggi diffuso soprattutto nel mercato illegale.
Negli ultimi mesi, si sono moltiplicate le denunce contro le società farmaceutiche da parte delle amministrazioni locali: stati, contee o singole città porteranno in tribunale le aziende responsabili di aver diffuso i farmaci senza le necessarie precauzioni.
A fine gennaio, alla lista si è aggiunta la città di New York, che attraverso il sindaco Bill De Blasio ha fatto sapere di aver chiesto un risarcimento di 500 milioni di dollari alle società farmaceutiche. «Negli ultimi anni, i morti per overdose da farmaci superano le vittime di incidenti stradali e di omicidi messe insieme», ha denunciato De Blasio. Le cause intentate finora sono circa duecentocinquanta e sono state affidate al giudice federale Dan Polster, che in questi giorni sta incontrando le parti per tentare di trovare un accordo.
IN UNA SITUAZIONE ANALOGA, nel 1998 i produttori di sigarette accettarono di pagare oltre duecento miliardi di dollari a 46 stati americani. «Indipendentemente dall’esito finale – hanno scritto sul New England Journal of Medicine Rebecca Haffajee (università del Michigan) e Michelle Mello (Stanford) – le cause che mostrano al pubblico la responsabilità dell’industria degli oppiacei nella peggiore crisi legata alla droga nella storia americana rafforzano le istituzioni e le norme che puntano a un maggiore controllo del settore». La società farmaceutica più a rischio si chiama Purdue Pharma. È la casa produttrice del famigerato OxyContin, il primo farmaco ad arrivare sul mercato nel 1995.
LA CASA BIANCA, dal canto suo, non sta facendo granché per frenare la crisi. Trump è stato eletto anche per la promessa di costringere le case farmaceutiche ad abbassare i prezzi dei farmaci, che hanno fatto impennare la spesa sanitaria degli statunitensi. Tuttavia, dopo la sua elezione ha fatto ben poco in quella direzione. Anzi, le lobby che curano gli interessi delle aziende presso le istituzioni sono riuscite a piazzare diversi alleati di «Big Pharma» in posti chiave dell’amministrazione. Sia il capo della Food and Drug Administration Scott Gottlieb che il nuovo ministro della sanità Alex Azar (ex manager del colosso farmaceutico Eli Lilly) sono nomi graditi alle aziende. Ma le «porte girevoli» funzionano in tutte e due le direzioni: secondo un’inchiesta di Kaiser Health News, oltre trecento ex-dipendenti del Congresso oggi lavorano al servizio delle società farmaceutiche in veste di lobbisti.
Il risultato si vede a occhio nudo: l’ultima legge finanziaria varata dopo lo shutdown federale prevede di investire tre miliardi l’anno per affrontare il costo sociale della crisi dei farmaci oppiacei. Secondo gli esperti, come Andrew Kolodny della Brandeis University, per affrontare seriamente il problema occorrerebbe almeno raddoppiare l’investimento. E questo basterebbe appena per finanziare le terapie di disintossicazione dei pazienti coinvolti. Ma per impedire che il fenomeno si riproduca, occorrono politiche più complessive dedicate alla prevenzione, per le quali gli stanziamenti non sono sufficienti.
IL PARTITO DEMOCRATICO, almeno sulla carta, propone ricette diverse. Ma sarebbe ingenuo pensare che il potere delle lobby agisca solo sui parlamentari di destra. Un’inchiesta del sito di giornalismo investigativo The Intercept (fondato dal Glenn Greenwald, il premio Pulitzer che con Edward Snowden raccontò lo scandalo della Nsa) ha svelato il ruolo del deputato democratico Joe Kennedy, giovane e lanciatissimo erede della dinastia e uno dei più attivi alleati delle società farmaceutiche.
Con una legge firmata insieme a due colleghi repubblicani, nel 2016 Kennedy impedì che il Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie rivedesse le linee guida sulle prescrizioni degli analgesici. Dal 2011 a oggi, Kennedy ha ricevuto quasi 350mila dollari di finanziamenti (legali) dalle società farmaceutiche ed è uno dei possibili sfidanti di Trump alle presidenziali del 2020.

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