Vediamo bene come ormai la governance del Capitale sia superiore rispetto a qualsiasi capacità di trattativa dello Stato, anzi questo caso ne è l'ennesima conferma, ed è fenomeno quasi naturale nella ridefinizione dei rapporti tra Capitale e Lavoro in epoca di sovrapproduzione ove, in assenza di capacità di lotta di classe, intesa come fenomeno capace di generalizzarsi oltre la rivendicazione immediata, perde sempre il Lavoro.
Ed è su questo punto della fase attuale del capitalismo che bisognerebbe soffermarsi a riflettere oltre ad auspicare una capacità di mobilitazione tale da salvare nell'immediato posto e dignità contrattuale ai 497 lavoratori.
da https://www.agi.it/economia/perch_embraco_chiude-3518243/news/2018-02-19/
Dopo l'incontro con il ministro Calenda, che ha definito i manager dell'azienda "gentaglia", salta ogni trattativa con le istituzioni. Come si è arrivati alla situazione attuale
Sul sito aziendale,
Embraco si descrive come un’antesignana della globalizzazione. È diventata
una multinazionale globale ben prima che la globalizzazione diventasse il
modello economico della nostra epoca.
Anno
1974, l’azienda comincia la produzione delle parti di frigoriferi,
compressori, motori e parti idrauliche a Joinville, nello stato di Santa
Caterina, Brasile. Gli affari vanno subito bene e l'azienda si
espande. Nelle Americhe prima, poi in Europa, e da ultimo in Cina.
La
storia di Embraco in Italia è più recente, ma non
di molto. Nel 1994 acquisisce lo stabilimento di Riva di Chieri, a una ventina di chilometri da
Torino. L’azienda decide di stabilire qui anche la sede centrale di Embraco Europe,
che comprende lo stabilimento italiano e una controllata, lo stabilimento
slovacco fondato nel 1999 e situato a Spisska Nova Vess. In Italia è
concentrata la produzione di strumenti per la refrigerazione domestica, mentre
in Slovacchia quella commerciale.
Perché Embraco ha deciso di chiudere in Italia
Entrambi gli stabilimenti italiani forniscono il mercato europeo. Gli
affari girano, presto l’azienda diventa leader anche in Europa sorretta dalle
spalle larghe del Gruppo Whirlpool che la controlla. I dipendenti arrivano a
superare il migliaio nel Vecchio continente, 537 solo in Italia. Poi la
decisione improvvisa, inaspettata: mandare a casa 497 persone. Senza cassa
integrazione, facendo infuriare il ministro dello Sviluppo economico Carlo
Calenda che non ha esitato a definire il management dell’azienda, oggi gruppo
Whirpool, “gentaglia”.
Lo scorso ottobre cominciano i primi scricchiolii. L’azienda annuncia di
voler ridurre i volumi produttivi assegnati allo stabilimento
torinese, delocalizzando la produzione in altri stabilimenti del gruppo. In
Slovacchia, che finora è stata la controllata di Torino. A ottobre
l’azienda parlò di riduzione della produzione, di tagli, ma non era prevista la
chiusura dello stabilimento come è emerso negli ultimi giorni, dopo la
comunicazione data da Whirlpool alla Consob americana (la Sec): l’azienda,
che è statunitense, è quotata in borsa e ha il dovere di comunicare ai propri
investitori queste decisioni.
E stando
a quanto ha riferito oggi Calenda dopo l'incontro, sarebbero proprio
alcuni problemi con la loro quotazione in Borsa ad aver indotto l'azienda al
muro contro muro con il governo italiano, respingendo il 19 febbraio ogni
ipotesi di cassa integrazione e mostrando quello che il ministro dello Sviluppo
economico ha indicato come "una totale mancanza di rispetto nei
confronti dei lavoratori e delle istituzioni italiane". Per poi rincarare
la dose: "questa gentagl... questa gente non la ricevo più, ne ho fin sopra
i capelli di loro e dei loro consulenti del lavoro italiani che sono quasi
peggio di loro".
I
numeri della multinazionale Embraco, e la questione 'finanziamenti pubblici'
Attualmente,
sostiene l’azienda, circa il 25% del mercato globale dei compressori passa per
i suoi stabilimenti, con oltre 37 milioni di compressori prodotti ogni anno, 80
nazioni coperte, e oltre un migliaio di brevetti registrati a suo nome.
Oggi
in molti accusano Embraco di aver beneficiato di fondi pubblici e
agevolazioni fiscali, e diversi partiti politici chiedono che restituisca i
soldi prima di andare via. Ma nessuno riporta cifre specifiche, anche
perché calcolare al momento quanto abbia beneficiato l’azienda è
piuttosto complesso. Agi ha provato a verificare con la Regione Piemonte quanti
soldi sono stati dati all'azienda, ma negli uffici attività produttive e
politiche del lavoro non hanno dati a disposizione.
Ma
da quello che risulta, l'azienda dovrebbe aver ottenuto due finanziamenti negli
ultimi anni: il primo nel 2004, il secondo nel 2012 quando la regione finanziò
la produzione di un "frigorifero extralusso". Ma complessivamente,
spiegano alcune fonti sindacali, non dovrebbe trattarsi di cifre superiori
a quattro milioni di euro.
Ad
ogni modo Embraco non chiuderà per fallimento, ma sposta la
produzione dove conviene di più, come già in passato hanno fatto aziende
nazionali e non. Annunciata la chiusura lo scorso gennaio, si era passati alla
fase due: 75 giorni di trattativa in cui le parti
avrebbero dovuto cercare una soluzione. Ed è qui che si è consumato
l’ultimo atto di una trattativa di fatto mai decollata.
Storia
dell'ennesimo licenziamento di massa, e dell'ennesima delocalizzazione
Nell’incontro a
Torino, il ministro Calenda e i sindacati avevano insistito con Embraco perché
ritirasse i 497 licenziamenti e attivasse la cassa integrazione. Il gruppo
brasiliano ha avanzato proposte che però Calenda e sigle metalmeccaniche hanno
definito "di fantasia" e che hanno respinto.
Ora
il ministro volerà a Bruxelles dalla
commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager per valutare se la scelta
dell'azienda di trasferire lo stabilimento in Slovacchia vada contro le regole
europee della concorrenza.
Quei
75 giorni si concluderanno il 25 marzo, quando partiranno i licenziamenti
collettivi. Le conseguenze sulla vita dei dipendenti e dei loro familiari
saranno enormi, e in queste ore quei destini sono aggrappati alla forza delle
istituzioni italiane, regionali e nazionali.
Nel
2009 Embraco ha ridisegnato il suo business model, si legge sul loro sito, con
un programma chiamato The Evolution project (il progetto di
evoluzione, ndr), e con l’obiettivo di dare “più abilità e flessibilità
all’azienda”, con un elemento chiave a giustificare il tutto: un modello che
consente di “riudurre gli sprechi e ottimizzare i processi di lavoro”. Non è
meglio indicato come, ma queste maggiori “agilità e flessibilità” oggi si sono
concretizzate sul futuro di 500 famiglie.
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