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mercoledì 1 aprile 2020

IL COVID NEI LUOGHI TERREMOTATI

da  https://lavialibera.libera.it/it-schede-77-coronavirus_emergenza_sisma_centro_italia

di Andrea Giambartolomei

Lo striscione appeso da Carlo Cappelli ad Arquata del Tronto (da Facebook)

Stare in casa durante l’emergenza coronavirus non è facile, soprattutto se è piccolissima o è un container.  Lo slogan #iorestoacasa è amaro per chi l'ha persa. “Non resto a casa dal 24 08 16”, è scritto su uno striscione appeso su un edificio pericolante di Arquata del Tronto (Ascoli Piceno), uno dei paesi più colpiti dalla serie di terremoti nel Centro Italia dal 24 agosto 2016 in avanti. Lo ha appeso un abitante, Carlo Cappelli, quando si è diffusa la direttiva di restare nelle proprie abitazioni. Nel cratere sismico tra Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria, dove le scosse tra 2016 e 2017 hanno fatto circa trecento morti, senza contare i suicidi avvenuti dopo, e 40mila sfollati, la terra trema ancora. E nevica.
#iorestoinsae è l’hashtag creato da Elena Pascolini, abitante di Arquata, per raccontare su Facebook la sua vita nelle soluzioni abitative emergenziali (Sae), le cosiddette casette, prefabbricati montati nei mesi dopo il sisma. Per qualcuno a Tolentino, in provincia di Macerata, va anche peggio. A distanza di oltre tre anni più di duecento persone abitano i container con bagni e mensa in comune. All’emergenza abitativa, quindi, si aggiunge quella da Covid, capace anche di bloccare i pochi cantieri attivi per la ricostruzione.
#IorestoinSae
Borgo 1, complesso di soluzioni abitative emergenziali, ad Arquata del Tronto
“Si sta tutti vicini e non si esce più, sebbene qui ci siano spazi sconfinati. Siamo dentro un pollaio”. Elena Pascolini abita nel “Borgo 1” di Arquata del Tronto, il più grande dei sette agglomerati Sae del paese. Le casette per quattro persone come la sua hanno una superficie di 60 metri quadri, due camere da letto, un bagno e una sala-cucina. Per le persone sole o le coppie, invece, sono di 40 metri quadri: “Se in una famiglia qualcuno si infetta, la vita diventa impossibile. Non c’è spazio e gli ambienti sono divisi male”, dice la donna. “Io tremo al pensiero di un positivo in un aggregato di Sae. Potete immaginare cosa può accadere? – afferma Italo Paolini, medico di Arquata –. Per evitare di fare uscire i pazienti ho sviluppato tantissimo i contatti telefonici e i video consulti. Ho spiegato quali dati fornirmi, mando le ricette mediche in farmacia o in formato digitale. C’è un ottimo servizio di distribuzione dei farmaci”. Gli anziani non escono più dalle loro minuscole Sae: “Sono completamente reclusi, stanno davanti alla tv, accesa da mattina a sera, e subiscono la comunicazione aggressiva – racconta Pascolini –. Non escono neanche nello spazio di fronte per paura”.
Lei e il compagno prima del sisma avevano una panetteria. Dopo le scosse sono rimasti ad Arquata del Tronto e, col tempo, hanno pensato di avviare un progetto di turismo ecosostenibile, “lento, buono e genuino”, dice lei, capace di mettere in rete altre attività locali. “Da tre anni lavoriamo per aprire un rifugio sui Monti Sibillini e paghiamo un affitto a un privato. Ora con l’emergenza temo di non poter aprire. Ci sarà una strage di piccole attività”. Se le ordinanze hanno costretto negozi, bar e ristoranti a fermarsi, ad Arquata non ce n’era bisogno: “Era già tutto chiuso. Non hanno più aperto”. Nel complesso di casette c’è soltanto una bottega: “Il rifornimento è pari a quelle dei campeggi. Ci accontentiamo di quello che c’è”. E poi c’è un bar tabacchi: “Resta aperto soltanto per vendere le sigarette e non può servire il caffè”. L’emergenza Covid ha fermato i cantieri in tutta Italia, anche quelli per la ricostruzione post-sismica sebbene ad Arquata del Tronto non ce ne siano molti. “Dobbiamo ancora combattere con le macerie. Di ricostruzione si parla e basta. Alcuni progetti sono stati approvati, ma se non arrivano i soldi dallo Stato, le ditte non cominciano i lavori”. Sono poche le case ricostruite: “Sono singole case isolate dai borghi. Così la comunità non si ricreerà”. Niente case, niente negozi, niente ritrovi e svaghi. La sua analisi è amara: “Questo coronavirus è l’ennesima batosta. La specie umana sa adattarsi, a ogni botta noi recuperiamo un equilibrio. Ma se le batoste sono frequenti, non ci si rialza più. Per questo mi sarei aspettata un occhio di riguardo verso di noi”. Da Norcia (Umbria), dove l’emergenza Covid ha fermato i lavori alla basilica di San Benedetto, il sindaco Nicola Alemanno ha lanciato lo stesso allarme: “I danni economici da coronavirus a noi del cratere sismico rischiano di annientarci ed è per questo che ora, senza perdere un giorno di più, occorre che il governo dichiari le terre colpite dal terremoto ‘Zone economiche speciali’ alle quali destinare risorse”, ha dichiarato all’Ansa
Il ghetto di Tolentino
I container di Tolentino
Tra la costa e i monti, c’è una città di ventimila abitanti che è Tolentino. Qui non ci sono casette. L’amministrazione del sindaco Giuseppe Pezzanesi aveva fatto una scelta diversa: “È l’unico comune senza casette”, spiega Flavia Giombetti, presidente del Comitato 30 Ottobre (giorno della scossa più forte). Il Comune aveva deciso di avviare la costruzione di appartamenti, un’opera molto costosa in un ex capannone. Non sarebbero state necessarie Sae, per un certo periodo bastavano dei container. Tuttavia la costruzione è ferma e da allora circa 230 persone vivono in condizioni molto precarie:  sono soprattutto anziani soli, famiglie povere e migranti. “Sono costretti a condividere i bagni, le docce e la mensa – dice Giombetti –. Ora l’area è stata anche chiusa con una rete”. Recintando l’area e creando un varco d’accesso controllato dalle forze dell’ordine il sindaco vorrebbe migliorare i controlli: “Lo facciamo per il bene di chi sta dentro – ha detto ai giornali locali –. Per quanto riguarda la mensa, stiamo monitorando che venga mantenuta la distanza di sicurezza, per i bagni si evitano gli assembramenti, entrano scaglionati. Per ora la situazione è sotto controllo”. Dissente il comitato: “Non è così che si risolve la situazione. Ci sono già stati alcuni casi di tubercolosi e scabbia. Se dovesse succedere qualcosa la situazione esplode”. “Se entra il virus lì dentro, fa una strage”, aggiunge Marco Fars, cofondatore delle Brigate di solidarietà attiva, un gruppo di volontari nato in occasione del terremoto all’Aquila nel 2009 e da allora impegnato su diversi fronti.
Emergency resta, si fermano le Brigate di solidarietà attiva
Emergency all'opera nelle zone terremotate
Il Covid-19 ha fermato pure alcune iniziative solidali, mentre proseguono soprattutto quelle a carattere sanitario. A Visso (Macerata), dove si è registrato ufficialmente un caso di coronavirus, la Croce rossa ha distribuito agli abitanti delle Sae delle ricottine che un’azienda locale ha voluto donare agli abitanti: “Abbiamo attivato un servizio di consegna farmaci e consegna spesa – spiega il presidente del comitato di Visso, David Celi –. Dei nostri cinque operatori, nessuno è tornato dalle loro famiglie e sono attivi H24”. Ad Arquata, la Croce verde consegna i farmaci a casa. Le Brigate di solidarietà attiva, invece, hanno deciso di interrompere i loro spostamenti in questo periodo. “I nostri volontari non possono muoversi – spiega Fars –, ma cerchiamo di mantenere i contatti con tutte le realtà che continuiamo a seguire”. Per questo ora sono costretti a sospendere alcune attività, come quella a Forca, frazione di Montegallo: “Qui abbiamo attivato un esperimento di rigenerazione ecosociale – racconta –. Abbiamo spostato due container utilizzati prima ad Amatrice e Norcia. Li abbiamo fatti diventare il fulcro della comunità” che ha cominciato a riorganizzarsi.
Emergency, che nel 2018 ha avviato il Progetto Sisma sia a Macerata, sia nel Teramano e alcune zone dell’Aquila (due psicoterapeuti, due infermieri e un logista), mantiene le sue attività nonostante l’emergenza coronavirus abbia aperto nuovi fronti in Italia. “Siamo a Pieve Torina, Caldarola, Ussita e Castelsantangelo sul Nera perché riusciamo a garantire l’accesso dopo un triage, controllo della febbre e lavaggio delle mani – spiega Giovanna Bianco, psicologa e referente del progetto per l’area marchigiana –. A Camerino, Muccia, Visso e Tolentino invece facciamo assistenza telefonica. A Camerino l’ospedale sarà tra quelli dedicati ai pazienti Covid. Altrove abbiamo ambulatori container o spazi in ambulatori di famiglia molto affollati”. Quale psicoterapeuta e responsabile del progetto in quest’area, Bianco ha il polso della situazione: “Siamo in pieno ‘Cigno nero’ (un evento disastroso e imprevedibile, ndr) che segue terremoti e maltempo. Le istituzioni sono state molte reattive e la popolazione è diligente”, è la premessa. Bianco ha individuato tre tipi di reazioni degli abitanti: “Alcuni hanno già elaborato gli eventi sismici e hanno attivato alcuni meccanismi di reazione attingendo dalla proprie risorse interne, familiari e sociali, così riescono a trainare – dice –. Ci sono poi casi di persone con percorsi di elaborazione ancora in corso oppure quelle che fino a questo momento erano state in grado di farsi forza da sé. Ora chiedono aiuto: per loro è come una ferita non rimarginata, si rendono conto di perdere l’equilibrio e sono in grado di chiedere un sostegno. Infine ci sono quelli che in questo momento sentono una nuova ‘comunione’ con le altre persone, come se chi sta affrontando l’emergenza coronavirus possa comprendere il senso di isolamento, desertificazione e silenzio dei terremotati”. In definitiva, “la popolazione è in grado di resistere a questo evento”. Tuttavia in agguato c’è un fatto che può alimentare la sfiducia: “I cantiere sono stati bloccati, le pratiche sono ferme e molte persone sono preoccupate. Si ferma quell’indotto economico che permetteva ad alcune ditte del cratere e ad altre attività di proseguire”, conclude la psicologa.

La ricostruzione
Camerino (Mc): "Abbiamo avuto le case, abbiamo perso il paese" (Giambartolomei)
Il decreto del governo dello scorso 25 marzo ha sospeso tutti i cantieri, pubblici e privati, della ricostruzione, di cui si occupa il commissario straordinario Giovanni Legnini, da febbraio successore del geologo Piero Farabollini. “La ricostruzione non è vero che non sia partita, ma marcia molto a rilento rispetto alle aspettative”, spiegava lo scorso 6 novembre in Commissione ambiente alla Camera l’assessore all’Ambiente della Regione Marche, Angelo Sciapichetti. In totale sono 138 i comuni dentro il cratere sismico (85 di questi nelle Marche), per un totale di 582mila residenti (al 31 luglio 2016). Però ci sono comuni colpiti anche fuori dal cratere, e così la cifra sale a 502 comuni in totale. Quattro le regioni coinvolte, ciascuna dotata del proprio Ufficio speciale per la ricostruzione, e poi la struttura del commissario del governo. A rallentare sono soprattutto la burocrazia, la mancanza di personale nelle amministrazioni e le macerie. La ricostruzione privata va a rilento e ancora più lenta è quella delle opere pubbliche. A fine gennaio, illustrava l’allora commissario Farabollini, “i dati forniti da Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio mostrano che sono 184 i progetti esecutivi ultimati su 1079 interventi previsti”. Da questi progetti erano nati soltanto 156 cantieri. “Per oltre il 60% degli interventi (650) deve ancora essere avviata la procedura di gara per l’affidamento della progettazione”, diceva Farabollini.
Le lungaggini alimentano l’illegalità. Davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il procuratore generale della Corte dei conti Alberto Avoli lanciava un allarme lo scorso 13 febbraio: “Con il trascorrere degli anni sta prendendo sempre più vigore il filone investigativo riguardante l’utilizzo delle ingenti risorse stanziate per la ricostruzione delle aree dell’Italia centrale, colpite dagli eventi sismici più di tre anni or sono – sottolineava all’apertura dell’anno giudiziario –. Una ricostruzione che procede con una lentezza esasperante che rischia di rendere irreversibile la sofferenza del tessuto economico e sociale e, per paradossale altro verso, irrobustire improprie prassi di veri e propri abusi, quando non anche di pratiche clientelari e/o corruttive. Malgrado la teorica disponibilità di fondi, l’edilizia pubblica è infatti pressoché ferma”.

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