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Alessandro Farulli
«Una crisi di crescita come quella che viviamo presuppone un approccio sviluppista». Non ci gira certo intorno Guido Gentili, in prima pagina sul Sole24Ore, per indicare la via da seguire da parte del governo. Ed è francamente preoccupante che nel 2012 si possa ancora parlare di "sviluppismo" dimenticando i danni che ha prodotto fino ad oggi.
La tesi di Gentili ruota attorno alla lettera sulla crescita e le liberalizzazioni inviata al Consiglio e alla Commissione UE da dodici Governi europei e che non è stata firmata da Germania e Francia. Iniziativa voluta da David Cameron, Mark Rutte e dal nostro Mario Monti, secondo l'editoriale del Sole «punta a una svolta modernizzatrice: apertura del mercato interno dei servizi, abbattimento delle restrizioni anticompetitive, creazione di un mercato unico digitale entro il 2015 e di un mercato efficiente e interconnesso nel settore energia entro il 2014, compresa l'eliminazione degli ostacoli, normativi e procedurali, che rallentano gli investimenti nelle infrastrutture».
In concreto bisognerebbe puntare «sugli investimenti indispensabili per un Paese in deficit di modernità. Ci sono cose, opere (compiute e incompiute) che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Sono le reti visibili, a volte anche troppo perché lo spettacolo è pessimo in tutti i sensi. Parliamo di autostrade, ferrovie, porti, aeroporti che hanno bisogno di investimenti per offrire un servizio migliore e a costi migliori. Parliamo dei rigassificatori visibili, sì, ma solo su carta mentre da anni si discute di vulnerabilità dell'assetto energetico (...). Ci sono poi le reti meno visibili o invisibili. Telecomunicazioni, banda larga ed ultralarga, insomma l'economia dell'innovazione digitale che dalla pubblica amministrazione ai nuovi media "attraversa" gli interessi dei cittadini e delle imprese». Insomma, di tutto un po'. E la domanda nasce spontanea: se la spesa dello Stato è risicata per non dire ridotta a zero, come è possibile chiedere investimenti a tappeto? Dentro una logica - che peraltro noi non sposiamo neppure - di rigore dei conti, la crescita (sarebbe meglio dire lo sviluppo) un governo deve ottenerla secondo quello che crede essere il migliore modo possibile. Quindi scegliere su cosa investire: e se lo fai puntando sulle reti digitali, per restare nell'esempio, avrai meno soldi per il resto e dovrai ulteriormente scegliere. E lo farai secondo una logica di sostenibilità, altro che approccio "sviluppista".
Sembra davvero un approccio totalmente ideologico e fuori contesto, che arriva tra l'altro nel giorno in cui meritoriamente il WWF riporta l'economia con i piedi per terra attraverso il nuovo studio "Market Transformation - Sostenibilità e mercati delle risorse primarie", realizzato dall'associazione ambientalista e dal Sustainable Europe Research Institute (Seri). Mentre si discute infatti di come risolvere la crisi finanziaria e far ripartire la crescita quale che sia, come se niente fosse accaduto negli ultimi tre anni e mezzo e la crisi ecologica fosse un intralcio allo sviluppo, qualcuno si è preso la briga di analizzare la pressione esercitata dai mercati globali sulle risorse naturali, con un focus specifico su quattro "commodities" prioritarie per il mercato italiano (caffè, cotone, carta e olio di palma).
Bene, ecco i risultati: quasi 8 miliardi di metri cubi di acqua utilizzati, oltre 34 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti emesse in atmosfera, 8,5 milioni di ettari di terra sottratti ad agricoltura e biodiversità, più di 20 milioni di tonnellate di materiali "biotici" (ovvero la biomassa coltivata) prelevati dagli ecosistemi, 38 milioni di tonnellate di materiali "abiotici" (come sedimenti, rocce, minerali) erosi. Un totale che vale una tonnellata di risorse all'anno prelevate in natura per ogni cittadino italiano. È il peso del "fardello ecologico" che "trascinano" con sé le importazioni italiane di caffè (470mila tonnellate in un anno), carta e pasta di carta (7,6 milioni t), cotone (670mila t) e olio di palma (720mila t): quattro risorse naturali collegate a settori industriali strategici del mercato italiano, quali il tessile, l'alimentare e il cartario, il cui prelievo in natura e relativa filiera produttiva hanno un forte impatto sull'ambiente, e di cui i protagonisti del mercato, a partire dalle imprese, devono assumersi la responsabilità. E stiamo parlando di solo quattro commodity...
«L'umanità ha superato i 7 miliardi di abitanti e ricava risorse naturali dalla terra per oltre 60 miliardi di tonnellate l'anno (erano 40 nel 1980, saranno 100 miliardi entro il 2030 se continuiamo su questa strada), un peso ecologico totalmente insostenibile per il futuro - ha detto Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia e editorialista di greenreport.it. Più che mai in una situazione di crisi economico-finanziaria che dura ormai da anni, dobbiamo dare la massima centralità al capitale naturale, alla sua cura, al suo ripristino, perché senza di esso l'intera economia mondiale non ha futuro. La Conferenza di Rio+20 sarà un momento molto importante, ed è fondamentale che istituzioni, consumatori e soprattutto imprese, dalle grandi multinazionali alle piccole e medie imprese dei nostri distretti industriali, si assumano la responsabilità di trasformare i mercati e condurli a modelli meno insostenibili, sviluppando una produzione di qualità anche sotto il profilo ambientale».
Per ridurre il proprio "fardello ecologico" il Wwf ha elaborato una serie di proposte specifiche rivolte a imprese, istituzioni e cittadini. Alle imprese chiede ad esempio di: svolgere un'analisi delle politiche di approvvigionamento delle materie prime, valutando i rischi ambientali e sociali connessi alla catena di fornitura e identificando le aree di miglioramento; avviare piani per la riduzione degli input di materie prime ed energia nella produzione di beni e servizi; formulare strategie di indirizzo della politica di approvvigionamento che prevedano l'adesione a standard di sostenibilità e schemi di certificazione internazionalmente riconosciuti (es. FSC) e, ove possibile, la riduzione della domanda di risorse; mentre alle istituzioni finanziarie chiede di sviluppare politiche finanziarie e strumenti per la valutazione del rischio ambientale connesso a un approvvigionamento non sostenibile di risorse prioritarie.
Alle istituzioni chiede invece tra le altre cose di definire riforme che spostino il peso fiscale dal lavoro e dal reddito all'utilizzo delle risorse; supportare con politiche pubbliche, comprese quelle relative al public procurement, i sistemi di produzione sostenibile; creare un ambiente favorevole allo sviluppo di standard volontari relativi all'uso delle risorse e alle pratiche di management che impattano sull'ambiente attraverso il coinvolgimento di imprese, NGO, associazioni dei consumatori, centri di ricerca ecc; agire sulle condizioni economiche del commercio internazionale, sia con tariffe che nell'ambito dello sviluppo di accordi commerciali con altri Paesi (es. abolizione tariffe su importazione di materie certificate); imporre per via legislativa il rispetto di norme minime relative alla produzione di scarti, ad esempio proibendo l'utilizzo di imballaggi eccessivi o materiali non riciclabili; usare i canali delle relazioni diplomatiche per fare pressioni affinché i governi dei Paesi produttori delle risorse primarie assumano iniziative a difesa dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori e delle comunità minacciate. Infine ai cittadini si chiede di avere comportamenti di consumo che aiutino, con le loro scelte sui prodotti, ad ottenere modifiche verso la sostenibilità.
Noi ci permettiamo di aggiungere la necessità di una no fly zone sulle materie prime agricole e soprattutto un Consiglio di sicurezza dell'Onu per un governo mondiale sulle materie prime e sull'energia. Una cornice dentro la quale l'Italia può fare la sua parte se sa cogliere tutte le potenzialità della green economy a partire dal mercato del riciclo che è la migliore strada per chi non ha commodity a disposizione; l'efficienza energetica; lo sviluppo delle reti digitali; la manutenzione del territorio. Alla faccia degli approcci sviluppisti!
Ma la cosa che colpisce, infine, è la contraddittorietà dei messaggi che arrivano dai governi e dai "tecnici" europei (e non solo): da una parte documenti che dimostrano consapevolezza della finitezza e crisi delle risorse e dei limiti (già superati) del pianeta, dall'altra la riproposizione del modello di competitività/sfruttamento delle risorse/infrastrutturazione pesante che tende a perpetuare/salvare il modello della globalizzazione che non funziona più e che ha prodotto la crisi di sistema del capitalismo. Di fronte alla necessità di una rivoluzionaria riforma del sistema la si annuncia a parole mentre la si contraddice nella pratica e nei progetti politici, governo tecnico italiano compreso. Il vecchio vizio della riduzione della complessità all'interno dei soliti schemi non sembra finito
Alessandro Farulli
«Una crisi di crescita come quella che viviamo presuppone un approccio sviluppista». Non ci gira certo intorno Guido Gentili, in prima pagina sul Sole24Ore, per indicare la via da seguire da parte del governo. Ed è francamente preoccupante che nel 2012 si possa ancora parlare di "sviluppismo" dimenticando i danni che ha prodotto fino ad oggi.
La tesi di Gentili ruota attorno alla lettera sulla crescita e le liberalizzazioni inviata al Consiglio e alla Commissione UE da dodici Governi europei e che non è stata firmata da Germania e Francia. Iniziativa voluta da David Cameron, Mark Rutte e dal nostro Mario Monti, secondo l'editoriale del Sole «punta a una svolta modernizzatrice: apertura del mercato interno dei servizi, abbattimento delle restrizioni anticompetitive, creazione di un mercato unico digitale entro il 2015 e di un mercato efficiente e interconnesso nel settore energia entro il 2014, compresa l'eliminazione degli ostacoli, normativi e procedurali, che rallentano gli investimenti nelle infrastrutture».
In concreto bisognerebbe puntare «sugli investimenti indispensabili per un Paese in deficit di modernità. Ci sono cose, opere (compiute e incompiute) che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Sono le reti visibili, a volte anche troppo perché lo spettacolo è pessimo in tutti i sensi. Parliamo di autostrade, ferrovie, porti, aeroporti che hanno bisogno di investimenti per offrire un servizio migliore e a costi migliori. Parliamo dei rigassificatori visibili, sì, ma solo su carta mentre da anni si discute di vulnerabilità dell'assetto energetico (...). Ci sono poi le reti meno visibili o invisibili. Telecomunicazioni, banda larga ed ultralarga, insomma l'economia dell'innovazione digitale che dalla pubblica amministrazione ai nuovi media "attraversa" gli interessi dei cittadini e delle imprese». Insomma, di tutto un po'. E la domanda nasce spontanea: se la spesa dello Stato è risicata per non dire ridotta a zero, come è possibile chiedere investimenti a tappeto? Dentro una logica - che peraltro noi non sposiamo neppure - di rigore dei conti, la crescita (sarebbe meglio dire lo sviluppo) un governo deve ottenerla secondo quello che crede essere il migliore modo possibile. Quindi scegliere su cosa investire: e se lo fai puntando sulle reti digitali, per restare nell'esempio, avrai meno soldi per il resto e dovrai ulteriormente scegliere. E lo farai secondo una logica di sostenibilità, altro che approccio "sviluppista".
Sembra davvero un approccio totalmente ideologico e fuori contesto, che arriva tra l'altro nel giorno in cui meritoriamente il WWF riporta l'economia con i piedi per terra attraverso il nuovo studio "Market Transformation - Sostenibilità e mercati delle risorse primarie", realizzato dall'associazione ambientalista e dal Sustainable Europe Research Institute (Seri). Mentre si discute infatti di come risolvere la crisi finanziaria e far ripartire la crescita quale che sia, come se niente fosse accaduto negli ultimi tre anni e mezzo e la crisi ecologica fosse un intralcio allo sviluppo, qualcuno si è preso la briga di analizzare la pressione esercitata dai mercati globali sulle risorse naturali, con un focus specifico su quattro "commodities" prioritarie per il mercato italiano (caffè, cotone, carta e olio di palma).
Bene, ecco i risultati: quasi 8 miliardi di metri cubi di acqua utilizzati, oltre 34 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti emesse in atmosfera, 8,5 milioni di ettari di terra sottratti ad agricoltura e biodiversità, più di 20 milioni di tonnellate di materiali "biotici" (ovvero la biomassa coltivata) prelevati dagli ecosistemi, 38 milioni di tonnellate di materiali "abiotici" (come sedimenti, rocce, minerali) erosi. Un totale che vale una tonnellata di risorse all'anno prelevate in natura per ogni cittadino italiano. È il peso del "fardello ecologico" che "trascinano" con sé le importazioni italiane di caffè (470mila tonnellate in un anno), carta e pasta di carta (7,6 milioni t), cotone (670mila t) e olio di palma (720mila t): quattro risorse naturali collegate a settori industriali strategici del mercato italiano, quali il tessile, l'alimentare e il cartario, il cui prelievo in natura e relativa filiera produttiva hanno un forte impatto sull'ambiente, e di cui i protagonisti del mercato, a partire dalle imprese, devono assumersi la responsabilità. E stiamo parlando di solo quattro commodity...
«L'umanità ha superato i 7 miliardi di abitanti e ricava risorse naturali dalla terra per oltre 60 miliardi di tonnellate l'anno (erano 40 nel 1980, saranno 100 miliardi entro il 2030 se continuiamo su questa strada), un peso ecologico totalmente insostenibile per il futuro - ha detto Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia e editorialista di greenreport.it. Più che mai in una situazione di crisi economico-finanziaria che dura ormai da anni, dobbiamo dare la massima centralità al capitale naturale, alla sua cura, al suo ripristino, perché senza di esso l'intera economia mondiale non ha futuro. La Conferenza di Rio+20 sarà un momento molto importante, ed è fondamentale che istituzioni, consumatori e soprattutto imprese, dalle grandi multinazionali alle piccole e medie imprese dei nostri distretti industriali, si assumano la responsabilità di trasformare i mercati e condurli a modelli meno insostenibili, sviluppando una produzione di qualità anche sotto il profilo ambientale».
Per ridurre il proprio "fardello ecologico" il Wwf ha elaborato una serie di proposte specifiche rivolte a imprese, istituzioni e cittadini. Alle imprese chiede ad esempio di: svolgere un'analisi delle politiche di approvvigionamento delle materie prime, valutando i rischi ambientali e sociali connessi alla catena di fornitura e identificando le aree di miglioramento; avviare piani per la riduzione degli input di materie prime ed energia nella produzione di beni e servizi; formulare strategie di indirizzo della politica di approvvigionamento che prevedano l'adesione a standard di sostenibilità e schemi di certificazione internazionalmente riconosciuti (es. FSC) e, ove possibile, la riduzione della domanda di risorse; mentre alle istituzioni finanziarie chiede di sviluppare politiche finanziarie e strumenti per la valutazione del rischio ambientale connesso a un approvvigionamento non sostenibile di risorse prioritarie.
Alle istituzioni chiede invece tra le altre cose di definire riforme che spostino il peso fiscale dal lavoro e dal reddito all'utilizzo delle risorse; supportare con politiche pubbliche, comprese quelle relative al public procurement, i sistemi di produzione sostenibile; creare un ambiente favorevole allo sviluppo di standard volontari relativi all'uso delle risorse e alle pratiche di management che impattano sull'ambiente attraverso il coinvolgimento di imprese, NGO, associazioni dei consumatori, centri di ricerca ecc; agire sulle condizioni economiche del commercio internazionale, sia con tariffe che nell'ambito dello sviluppo di accordi commerciali con altri Paesi (es. abolizione tariffe su importazione di materie certificate); imporre per via legislativa il rispetto di norme minime relative alla produzione di scarti, ad esempio proibendo l'utilizzo di imballaggi eccessivi o materiali non riciclabili; usare i canali delle relazioni diplomatiche per fare pressioni affinché i governi dei Paesi produttori delle risorse primarie assumano iniziative a difesa dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori e delle comunità minacciate. Infine ai cittadini si chiede di avere comportamenti di consumo che aiutino, con le loro scelte sui prodotti, ad ottenere modifiche verso la sostenibilità.
Noi ci permettiamo di aggiungere la necessità di una no fly zone sulle materie prime agricole e soprattutto un Consiglio di sicurezza dell'Onu per un governo mondiale sulle materie prime e sull'energia. Una cornice dentro la quale l'Italia può fare la sua parte se sa cogliere tutte le potenzialità della green economy a partire dal mercato del riciclo che è la migliore strada per chi non ha commodity a disposizione; l'efficienza energetica; lo sviluppo delle reti digitali; la manutenzione del territorio. Alla faccia degli approcci sviluppisti!
Ma la cosa che colpisce, infine, è la contraddittorietà dei messaggi che arrivano dai governi e dai "tecnici" europei (e non solo): da una parte documenti che dimostrano consapevolezza della finitezza e crisi delle risorse e dei limiti (già superati) del pianeta, dall'altra la riproposizione del modello di competitività/sfruttamento delle risorse/infrastrutturazione pesante che tende a perpetuare/salvare il modello della globalizzazione che non funziona più e che ha prodotto la crisi di sistema del capitalismo. Di fronte alla necessità di una rivoluzionaria riforma del sistema la si annuncia a parole mentre la si contraddice nella pratica e nei progetti politici, governo tecnico italiano compreso. Il vecchio vizio della riduzione della complessità all'interno dei soliti schemi non sembra finito
5 commenti:
Per commentare adeguatamente questo post credo che si debbano spendere due parole sulla crisi, che dopo aver sentito le conferenze di Galapagos (l'economista che scrive su il manifesto) e di Marco Bersani dei movimenti dell'acqua mi risulta più chiara e vi dico, molto in sintesi e in semplificazione e compatibilmente a quel che posso averci capito io, ciò che hanno riportato.
Non è vero che questa crisi sia principalmente finanziaria, o meglio l'aspetto finanziario viene dopo e in un certo senso è quello che ha artificialmente posticipato la crisi di un paio di decenni.
La crisi attuale è in primo luogo una crisi dell'economia reale: sovrapproduzione e chiusura dei mercati.
Davanti a questo decremento che si ha dai primi anni '80 il capitale, a differenza delle crisi precedenti in particolare quella del '29, non ha visto ridotto il suo saggio di profitto -dove per esso si intende il minor guadagno del capitalista dovuto all'aumento di investimento e lavoro morto, cosa strutturale, per ragioni evidenti, in fase sovrapproduttiva- perchè si è tagliato gradualmente ma inesorabilmente sul lavoro e sulla spesa pubblica.
E infatti, se non ci fossero masse di poveracci, non sarebbero stati possibili i meccanismi di strozzinaggio dei mutui subprimes.
Per quanto riguarda i capitalisti, proprio per tenere in vita il mercato si è ricorsi alla finanziarizzazione dell'economia, che tramite i prestiti è rimasta agonizzante (come un paziente in coma) ancora per un po'.
Ovviamente questa catena di debiti (che è lungo e difficile per me spiegare nel dettaglio) ha gonfiato a dismisura il volume del debito, che è diventato un enorme debito pubblico per molti paesi, che è a tutti gli effetti insanabile e se pensiamo che il volume di affari delle finanziarie consuma in 3 giorni quello che è il volume d'affari dell'economia reale mondiale di un anno e che esse detengono 12 volte il PIL del mondo, abbiamo la misura di che colosso abbiamo di fronte, tra l'altro sovrannazionale, privato ma che per funzionare nel modo in cui sta funzionando necessita della crisi proprio per poter speculare sui prestiti.
La ricetta Monti, che poi è quella Bce e Goldman Sachs di cui lui è esecutore, non fa altro che mantenere ed estremizzare questo metodo, attraverso un'ulteriore compressione dei diritti del lavoro e delle pensioni e delle paghe e una continua vendita al privato di tutto il settore pubblico per garantire profitto al capitale finchè non ci avrà ridotto come la Grecia, che è usata proprio come spauracchio per farci mandare giù il rospo, ma che, continuando con questo circolo vizioso, presto raggiungeremo.
E' evidente che la ricetta che ha provocato la crisi non può essere quella che può curarla.
Roberta
vado di fretta . leggerò con calma domani...
ho letto...dico solo che la strada della crescita sfrenata è una corsa verso il suicidio...
un modello alternativo è necessario,
possibile che nessuno sappia proporlo ?
come sempre dimentico di firmarmi,,,,
cavolo !!! Roberta
Sono Brunaccio.
Roberta.
Proporlo significa mettersi contro il profitto di pochi colossi ecnomici, e loro sicuramente non te lo lasciano proporre sui media così facilmente...la solita, vecchia, questione del blocco sociale.
La sinistra di movimento lo sta proponendo da un pezzo, anzi si sta confrontando sui vari modelli alternativi.
C'è la necessità di diventare maggioritari.
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