Da alcune settimane a Taranto va avanti una “strana” mobilitazione operaia. Finalmente cittadini, associazioni, comitati popolari sono riusciti a dimostrare che da decenni l’ILVA inquina e uccide, violando ogni norma ambientale, condannando la città di Taranto ad una lenta agonia. Purtroppo questa pressione dal basso, che è riuscita a chiamare sul banco degli imputati persino patron Riva e a far condannare ben 8 tra dirigenti e ex dirigenti del gruppo, ha portato anche al sequestro di parte dello stabilimento, che ora rischia la chiusura.
Così – non contro la decisione del Gip o per “difendere” una fabbrica che li ha uccisi ad uno ad uno, ma per paura di perdere il lavoro e piombare nella fame più nera –, gli operai dell’ILVA sono scesi in strada. Per salvarsi il culo e continuare i propri affari, Riva, facendo leva sui soliti sindacalisti cooptati e sulle succubi istituzioni locali, ha cercato di manovrare la mobilitazione operaia, orientandola contro la magistratura. Alcuni operai, per disperazione e mancanza di coscienza di classe, sono caduti nella trappola padronale. Ma molti altri sono invece riusciti a porre sia la necessità di risolvere la questione ambientale bonificando il territorio, sia la necessità di trovare una soluzione lavorativa per le migliaia di operai coinvolti. D’altronde entrambe le emergenze, quella ambientale e quella lavorativa, hanno di fronte lo stesso nemico (padroni ed istituzioni) ed esprimono la stessa esigenza: quella della classe lavoratrice a poter vivere degnamente.
Queste posizioni hanno trovato nella contestazione di ieri un primo momento ampio di visibilità. Il report degli ultimi, concitatissimi giorni, che qui pubblichiamo, è scritto da un compagno interno alla mobilitazione, e cerca di leggere tutta la questione senza perdersi nel fuorviante dilemma “lavoro vs. ambiente”, ma in un’ottica di classe, che dimostra l’inconciliabilità fra gli interessi dei padroni (ricominciare quanto prima a fare profitti ed evitare il carcere) e quella degli operai e dei proletari (vivere una vita libera dal ricatto dei tumori o della fame)…
Il 3 agosto, il Tribunale del Riesame si esprimerà sul provvedimento di “sequestro senza facoltà d'uso” emesso il 26 luglio scorso dal Gip Patrizia Todisco, provvedimento che riguarda l'intera area a caldo della fabbrica siderurgica di Taranto, l'enorme stabilimento ILVA. Si tratta in pratica di un vero e proprio “stop” per uno degli stabilimenti più inquinanti d'Europa, un complesso che da decenni avvelena l'intera città di Taranto causando morti e malattie tra i suoi cittadini per esposizione alle emissioni. Tutto questo mentre il suo proprietario Riva continua a fare profitti miliardari, con utili che fanno invidia ai maggiori imprenditori del paese. I reparti interessati dal provvedimento di sequestro (area agglomerazione, altiforni, cokerie, acciaierie, materiali ferrosi e parchi minerali) sono l'effettivo “cuore produttivo” dell'ILVA che, se questi non sono in funzione, è una fabbrica spenta.
Oltre al sequestro, la sentenza prevede misure di custodia cautelare (arresti domiciliari) per 8 tra dirigenti e ex dirigenti del gruppo Riva, tra cui proprio il numero 1 dell'azienda, Emilio Riva. Parte del gruppo dirigente aveva fatto un passo indietro nei mesi scorsi, dando le dimissioni per tutelarsi da un esito dell'inchiesta che era già nell'aria. In seguito a ciò, il volto pubblico dell'azienda è diventato Bruno Ferrante, ex prefetto ed ex candidato sindaco del Pd a Milano. Le accuse per la dirigenza Ilva sono di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose.
In seguito al rischio di vedere messo in discussione il posto di lavoro, gli operai per due giorni sono scesi in piazza, hanno bloccato le principali arterie stradali della città, hanno contestato vertici dell'azienda e esponenti delle segreterie sindacali. Tra questi operai decisi a difendere il loro posto di lavoro, le posizioni erano delle più varie, a seconda del grado di autonomia che si manteneva rispetto all'azienda: da una parte quegli operai schierati nettamente al fianco di Riva, fomentati dalla quasi totalità dei capi a scendere in piazza a difesa dell'azienda e dei suoi dirigenti e contro la magistratura; dall'altra parte, invece, quegli operai che cercavano di evidenziare le responsabilità diffuse dell'attuale situazione: dai mancati investimenti da parte della dirigenza Riva nella sicurezza ambientale e nella tutela delle condizioni di lavoro, ai sindacati confederali ciechi e sordi per anni di fronte sia alle tematiche dell'ambiente che a quelle delle rivendicazioni dei lavoratori, fino ad arrivare allo Stato e alle istituzioni che, dopo aver svenduto l'ITALSIDER a Riva, gli hanno permesso di fare impunemente il bello e cattivo tempo dentro e fuori da una fabbrica dove si muore da decenni. In mezzo a queste posizioni, in cui si possono individuare due poli distintisi tra la massa degli operai, sono presenti le più diverse sfumature e gradi di consapevolezza riguardo alla necessità di distinguere nettamente gli interessi dei lavoratori da quelli del padrone.
In questo quadro, il consequenziale proseguimento della lotta sembrava essere, stando alle parole e ai sentimenti degli operai che si erano mobilitati, la continuazione dei blocchi alla vigilia e in occasione del giorno in cui era previsto il riesame. I sindacati confederali hanno al contrario preferito organizzare un “corteo sfilata” che fosse, in ultima analisi, semplicemente un modo per arrivare in gruppo al cospetto dei tre dirigenti nazionali dei confederali e rispettivi segretari di categoria.
A fronte di una scelta così conciliante e morbida, molti sono stati gli operai che per disinteresse o critica rispetto a questo tipo di azione da parte dei sindacati, hanno disertato il corteo o vi sono stati presenti come semplici spettatori coinvolti. In ogni caso la manifestazione, divisa in due concentramenti per questioni puramente organizzative, ha sfilato per un breve tratto della città con tutte le sue, varie e a fatica conciliabili, componenti sia in termini di settori sociali (operai, impiegati d'azienda, capi reparto) che di rivendicazioni e parole d'ordine portate in piazza, che dimostravano più o meno capacità di tracciare una linea netta che inchiodasse i responsabili della attuale situazione dentro la fabbrica e in città.
Arrivati nella piazza finale i comizi dei dirigenti nazionali di Cgil, Cisl e Uil sono stati interrotti da dure contestazioni provenienti da un folto spezzone composto da operai, precari, studenti e persone appartenenti ad associazioni ambientaliste etc, ai quali è stato impedito di salire sul palco per esprimere le loro posizioni, vista la loro chiara intenzione di denunciare, oltre alle responsabilità dell'azienda, le responsabilità che i sindacati confederali e i loro padrini politici hanno avuto e continuano ad avere non rappresentando in nessun modo i reali interessi degli operai contro quelli, sempre ben tutelati, della dirigenza padronale…
L'epilogo è stato caratterizzato dall'isterismo dei tre sindacati di fronte a un dissenso che andava montando, e che aveva trovato favori nella massa operaia, che in larga parte condivideva le denunce e le accuse al ruolo conciliante dei sindacati maggioritari. La situazione è stata sbloccata dal vergognoso intervento della polizia che, con maniere brusche e arrivando a usare anche i manganelli, ha sgombrato la piazza permettendo ai dirigenti sindacali di proseguire il comizio in una piazza che non sembrava avere più alcun interesse ad ascoltare i soliti discorsi preparati per l'occasione.
Il corteo del 2 agosto è stato insomma uno dei momenti di lotta che stanno costellando il proseguimento della battaglia degli operai contro il tentativo di far passare il gioco padronale, gioco che sfrutta gli operai in chiave anti-magistratura. Tra le file dei lavoratori si sta diffondendo un sempre maggior grado di autonomia e consapevolezza nel distinguere gli interessi della propria classe da quelli di chi costruisce profitti miliardari sullo sfruttamento del lavoro, della salute e della sicurezza degli operai. Una consapevolezza che è determinata nel voler inchiodare Riva e tutta la dirigenza ILVA alle proprie responsabilità, facendo sì che possa pagare per i danni causati alla salute di tutti i cittadini e in particolar modo di coloro che sono le vittime maggiormente esposte all'inquinamento: gli stessi operai e le famiglie che vivono nei quartieri operai intorno al siderurgico. Ma le responsabilità non si fermano certo a Riva e alla sua corte di dirigenti, investono piuttosto la complicità e immobilità dei sindacati confederali che nulla fanno per tutelare gli interessi di chi lavora in fabbrica; le istituzioni dello Stato che hanno regalato la fabbrica a Riva dopo averla per anni affidata a clientele politiche che hanno, anch'esse e in misura enorme, inquinato l'ambiente e sfruttato i lavoratori a proprio piacimento; i politici dell'intero arco istituzionale fino agli ultimi esponenti del Governo dei tecnici, tutti sempre pronti a schierarsi al fianco dell'azienda e della tutela dei suoi interessi.
É necessario non cedere al ricatto basato sulla falsa contrapposizione tra ambiente e lavoro, entrambi resi inumani da coloro che sfruttano gli operai ILVA, una contrapposizione che lo stesso Riva fomenta per tentare di schierare gli operai a difesa dei crimini dell'azienda!
É necessario avviare un processo di bonifica, messa a norma e tutela delle condizioni lavorative che non metta in discussione il lavoro degli operai, che dopo essere stati avvelenati e lasciati senza tutele per anni adesso rischiano anche di essere lasciati in mezzo ad una strada!
Chi ha sfruttato e ucciso deve pagare ma senza che il suo destino sia legato a quello delle sue vittime: qui sono gli stessi operai sfruttati e sovraesposti all'inquinamento che hanno iniziato a dire “basta”!
"Lo scirocco e noi"
di stefano modeo e alessandro terra
Così – non contro la decisione del Gip o per “difendere” una fabbrica che li ha uccisi ad uno ad uno, ma per paura di perdere il lavoro e piombare nella fame più nera –, gli operai dell’ILVA sono scesi in strada. Per salvarsi il culo e continuare i propri affari, Riva, facendo leva sui soliti sindacalisti cooptati e sulle succubi istituzioni locali, ha cercato di manovrare la mobilitazione operaia, orientandola contro la magistratura. Alcuni operai, per disperazione e mancanza di coscienza di classe, sono caduti nella trappola padronale. Ma molti altri sono invece riusciti a porre sia la necessità di risolvere la questione ambientale bonificando il territorio, sia la necessità di trovare una soluzione lavorativa per le migliaia di operai coinvolti. D’altronde entrambe le emergenze, quella ambientale e quella lavorativa, hanno di fronte lo stesso nemico (padroni ed istituzioni) ed esprimono la stessa esigenza: quella della classe lavoratrice a poter vivere degnamente.
Queste posizioni hanno trovato nella contestazione di ieri un primo momento ampio di visibilità. Il report degli ultimi, concitatissimi giorni, che qui pubblichiamo, è scritto da un compagno interno alla mobilitazione, e cerca di leggere tutta la questione senza perdersi nel fuorviante dilemma “lavoro vs. ambiente”, ma in un’ottica di classe, che dimostra l’inconciliabilità fra gli interessi dei padroni (ricominciare quanto prima a fare profitti ed evitare il carcere) e quella degli operai e dei proletari (vivere una vita libera dal ricatto dei tumori o della fame)…
Il 3 agosto, il Tribunale del Riesame si esprimerà sul provvedimento di “sequestro senza facoltà d'uso” emesso il 26 luglio scorso dal Gip Patrizia Todisco, provvedimento che riguarda l'intera area a caldo della fabbrica siderurgica di Taranto, l'enorme stabilimento ILVA. Si tratta in pratica di un vero e proprio “stop” per uno degli stabilimenti più inquinanti d'Europa, un complesso che da decenni avvelena l'intera città di Taranto causando morti e malattie tra i suoi cittadini per esposizione alle emissioni. Tutto questo mentre il suo proprietario Riva continua a fare profitti miliardari, con utili che fanno invidia ai maggiori imprenditori del paese. I reparti interessati dal provvedimento di sequestro (area agglomerazione, altiforni, cokerie, acciaierie, materiali ferrosi e parchi minerali) sono l'effettivo “cuore produttivo” dell'ILVA che, se questi non sono in funzione, è una fabbrica spenta.
Oltre al sequestro, la sentenza prevede misure di custodia cautelare (arresti domiciliari) per 8 tra dirigenti e ex dirigenti del gruppo Riva, tra cui proprio il numero 1 dell'azienda, Emilio Riva. Parte del gruppo dirigente aveva fatto un passo indietro nei mesi scorsi, dando le dimissioni per tutelarsi da un esito dell'inchiesta che era già nell'aria. In seguito a ciò, il volto pubblico dell'azienda è diventato Bruno Ferrante, ex prefetto ed ex candidato sindaco del Pd a Milano. Le accuse per la dirigenza Ilva sono di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose.
In seguito al rischio di vedere messo in discussione il posto di lavoro, gli operai per due giorni sono scesi in piazza, hanno bloccato le principali arterie stradali della città, hanno contestato vertici dell'azienda e esponenti delle segreterie sindacali. Tra questi operai decisi a difendere il loro posto di lavoro, le posizioni erano delle più varie, a seconda del grado di autonomia che si manteneva rispetto all'azienda: da una parte quegli operai schierati nettamente al fianco di Riva, fomentati dalla quasi totalità dei capi a scendere in piazza a difesa dell'azienda e dei suoi dirigenti e contro la magistratura; dall'altra parte, invece, quegli operai che cercavano di evidenziare le responsabilità diffuse dell'attuale situazione: dai mancati investimenti da parte della dirigenza Riva nella sicurezza ambientale e nella tutela delle condizioni di lavoro, ai sindacati confederali ciechi e sordi per anni di fronte sia alle tematiche dell'ambiente che a quelle delle rivendicazioni dei lavoratori, fino ad arrivare allo Stato e alle istituzioni che, dopo aver svenduto l'ITALSIDER a Riva, gli hanno permesso di fare impunemente il bello e cattivo tempo dentro e fuori da una fabbrica dove si muore da decenni. In mezzo a queste posizioni, in cui si possono individuare due poli distintisi tra la massa degli operai, sono presenti le più diverse sfumature e gradi di consapevolezza riguardo alla necessità di distinguere nettamente gli interessi dei lavoratori da quelli del padrone.
In questo quadro, il consequenziale proseguimento della lotta sembrava essere, stando alle parole e ai sentimenti degli operai che si erano mobilitati, la continuazione dei blocchi alla vigilia e in occasione del giorno in cui era previsto il riesame. I sindacati confederali hanno al contrario preferito organizzare un “corteo sfilata” che fosse, in ultima analisi, semplicemente un modo per arrivare in gruppo al cospetto dei tre dirigenti nazionali dei confederali e rispettivi segretari di categoria.
A fronte di una scelta così conciliante e morbida, molti sono stati gli operai che per disinteresse o critica rispetto a questo tipo di azione da parte dei sindacati, hanno disertato il corteo o vi sono stati presenti come semplici spettatori coinvolti. In ogni caso la manifestazione, divisa in due concentramenti per questioni puramente organizzative, ha sfilato per un breve tratto della città con tutte le sue, varie e a fatica conciliabili, componenti sia in termini di settori sociali (operai, impiegati d'azienda, capi reparto) che di rivendicazioni e parole d'ordine portate in piazza, che dimostravano più o meno capacità di tracciare una linea netta che inchiodasse i responsabili della attuale situazione dentro la fabbrica e in città.
Arrivati nella piazza finale i comizi dei dirigenti nazionali di Cgil, Cisl e Uil sono stati interrotti da dure contestazioni provenienti da un folto spezzone composto da operai, precari, studenti e persone appartenenti ad associazioni ambientaliste etc, ai quali è stato impedito di salire sul palco per esprimere le loro posizioni, vista la loro chiara intenzione di denunciare, oltre alle responsabilità dell'azienda, le responsabilità che i sindacati confederali e i loro padrini politici hanno avuto e continuano ad avere non rappresentando in nessun modo i reali interessi degli operai contro quelli, sempre ben tutelati, della dirigenza padronale…
L'epilogo è stato caratterizzato dall'isterismo dei tre sindacati di fronte a un dissenso che andava montando, e che aveva trovato favori nella massa operaia, che in larga parte condivideva le denunce e le accuse al ruolo conciliante dei sindacati maggioritari. La situazione è stata sbloccata dal vergognoso intervento della polizia che, con maniere brusche e arrivando a usare anche i manganelli, ha sgombrato la piazza permettendo ai dirigenti sindacali di proseguire il comizio in una piazza che non sembrava avere più alcun interesse ad ascoltare i soliti discorsi preparati per l'occasione.
Il corteo del 2 agosto è stato insomma uno dei momenti di lotta che stanno costellando il proseguimento della battaglia degli operai contro il tentativo di far passare il gioco padronale, gioco che sfrutta gli operai in chiave anti-magistratura. Tra le file dei lavoratori si sta diffondendo un sempre maggior grado di autonomia e consapevolezza nel distinguere gli interessi della propria classe da quelli di chi costruisce profitti miliardari sullo sfruttamento del lavoro, della salute e della sicurezza degli operai. Una consapevolezza che è determinata nel voler inchiodare Riva e tutta la dirigenza ILVA alle proprie responsabilità, facendo sì che possa pagare per i danni causati alla salute di tutti i cittadini e in particolar modo di coloro che sono le vittime maggiormente esposte all'inquinamento: gli stessi operai e le famiglie che vivono nei quartieri operai intorno al siderurgico. Ma le responsabilità non si fermano certo a Riva e alla sua corte di dirigenti, investono piuttosto la complicità e immobilità dei sindacati confederali che nulla fanno per tutelare gli interessi di chi lavora in fabbrica; le istituzioni dello Stato che hanno regalato la fabbrica a Riva dopo averla per anni affidata a clientele politiche che hanno, anch'esse e in misura enorme, inquinato l'ambiente e sfruttato i lavoratori a proprio piacimento; i politici dell'intero arco istituzionale fino agli ultimi esponenti del Governo dei tecnici, tutti sempre pronti a schierarsi al fianco dell'azienda e della tutela dei suoi interessi.
É necessario non cedere al ricatto basato sulla falsa contrapposizione tra ambiente e lavoro, entrambi resi inumani da coloro che sfruttano gli operai ILVA, una contrapposizione che lo stesso Riva fomenta per tentare di schierare gli operai a difesa dei crimini dell'azienda!
É necessario avviare un processo di bonifica, messa a norma e tutela delle condizioni lavorative che non metta in discussione il lavoro degli operai, che dopo essere stati avvelenati e lasciati senza tutele per anni adesso rischiano anche di essere lasciati in mezzo ad una strada!
Chi ha sfruttato e ucciso deve pagare ma senza che il suo destino sia legato a quello delle sue vittime: qui sono gli stessi operai sfruttati e sovraesposti all'inquinamento che hanno iniziato a dire “basta”!
"Lo scirocco e noi"
di stefano modeo e alessandro terra
Taranto, due agosto ’12, sulla città,
come spesso accade, soffia il vento di Scirocco, da molti considerato
il simbolo dell’indolenza dei sui abitanti, lo Scirocco infatti è
un vento caldo, che soffia da Sud, un vento che mitiga gli inverni
di queste latitudini e rende le estati torride e sfiancanti.
Le strade ribollono di un sentimento
diffuso e incredulo,un sentimento tipico della tragedia, quello che
pone l’individuo di fronte a una scelta, non sintetizzabile nella
dicotomia Ilva si, Ilva no, quanto piuttosto nella scelta tra la
conquista di una dignità schiacciata da cinquant’anni di ricatto
occupazionale o ancora una volta l’indifferenza, la vittoria dello
Scirocco .
La confusione scaturita da una morsa
dell’acciaio che ha sempre attanagliato le certezze di una
popolazione che non ha mai avuto la possibilità di costruirsi un
futuro diverso da quello della fabbrica o dell’emigrazione,si
riversa in piazza per gridare le proprie contraddizioni,e quasi ad
ambire ad una risposta che levi il peso dell’angoscia per il
futuro, si trasforma in lotta nei confronti dei poteri che dettano,e
che hanno sempre dettato la struttura della cittadinanza tarantina.
Oggetto del temuto è la scissione tra
lavoratori e popolazione, i primi vittime di un capitalismo
scellerato pronto ad abbandonare alla fame chi l’ha alimentato per
tanti anni, i secondi vittime dei fumi velenosi,e non solo, della
fabbrica siderurgica più grande d’Europa. Nonostante tutto
serpeggia il bisogno di sentirsi uniti, o forse meglio compagni, dal
suo più giusto etimo “cum-panis” , colui con cui dividere quel
pane che da troppo tempo è duro e amaro. Ed è questo senso
d’appartenenza che si vuole rivelare come vero aspetto
rivoluzionario di fronte al bisogno del potere di mettere l’uno
contro l’altro i poveri, affinché dal conflitto scaturisca la
necessità di far tornare tutto come prima, affinché la polvere
torni ad essere nascosta sotto il tappeto.
Siamo circa trecento al luogo del
concentramento per il corteo. Siamo la coda della manifestazione,tra
gli ultimi,quasi fosse una scelta o il destino a porci sempre alla
fine. Alla testa dello spezzone c’è un treruote, che diventerà
presto simbolo della giornata, con sopra tre operai a sgolare le
proprie motivazioni e ad incitare la folla sottostante a farsi
sentire. Fa caldo, la gente si bagna la testa e continua ad avanzare
verso Piazza della Vittoria, dove è stato installato il palco, da
cui, i sindacati confederali si mostrano uniti come non mai nella
liturgia degli interventi dei segretari. Lo spezzone che vede
finalmente uniti operai Ilva, studenti, precari e tutto un reticolo
di associazioni ambientaliste avanza e si gonfia giungendo con la sua
voce in Piazza della Vittoria,dove il segretario nazionale della
FIOM, Landini, ha appena cominciato il proprio comizio; ma non è più
il tempo dell’ascolto, gli operai in testa al treruote si fanno
largo con estrema concessione da parte degli altri presenti nel mezzo
della piazza e con i propri cori e le proprie richieste ammutoliscono
ogni prova di resistenza da parte dei sindacati, la piazza si apre
,nessuno si oppone, il leggendario servizio d’ordine dei sindacati
è anch’esso una fotografia in bianco e nero, la gente si
abbraccia, si unisce e zittisce totalmente chi dal palco tentava una
vana replica. La parola agli operai dunque, primo gesto di libertà
ottenuta,dopo anni di soprusi; segue dopo qualche minuto concitato,
l’intervento di Aldo, un operaio, ex iscritto Fiom, che introduce
ricordando le vittime della strage di Bologna,celebrata
contemporaneamente nella stazione famosa, paragonandola alla strage
compiuta dall’azienda nel corso dei cinquant’anni trascorsi. La
gente applaude, comincia a sentirsi sempre più unita,dal pensionato
all’operaio,dal precario allo studente è un abbraccio che si
concretizza man mano che le parole vengono lette dall’operaio che
non ha mai fatto orazioni nella sua vita e che oggi si ritrova a
reclamare il proprio diritto al lavoro e all’ambiente contro il
falso interesse sindacalista a braccetto con l’azienda. Il discorso
viene concluso velocemente poiché minacciato da un cordone di
polizia che fa il conto alla rovescia per la carica. Quello che era
uno spezzone è divenuto ormai città intera, non cade nella
provocazioni e raccogliendo applausi volta le spalle ai sindacati
marciando in direzione opposta e contraria. La folla segue la musica,
i cori, la gente sorride perché si ritrova unita,compatta nella
stretta di mano tra operai e cittadinanza, felice perché la
direzione è chiara, qualcuno grida ‘il futuro è adesso’,altri
insultano il ‘padrone’. Ci giriamo, troviamo dietro di noi più
di tremila persone al seguito, ci guardiamo con i nostri compagni
negli occhi, c’è poco da dire e i corpi parlano meglio di tante
parole .
Non ce ne voglia certa sinistra,
l’indignazione per il reato di lesa maestà è la cartina di
tornasole per un universo imploso ormai da tempo, superato dalla
nuova composizione del lavoro e dalla ricerca di un benessere non più
sintetizzabile in termini monetari e quindi salariali, superato
dall’incapacità delle organizzazioni novecentesche di leggerlo,
nonostante i vani tentativi di ricerca di un terreno comune che
tenesse insieme la necessità di liberarsi nel lavoro dalla morsa dei
ricatti che da Pomigliano giunge fino a Taranto e la necessità di un
mondo che non vive la fabbrica come il luogo dello sfruttamento
delle proprie esistenze (ma che ne paga in alcuni luoghi altissimi
costi sociali) di un reddito di cittadinanza.
Proprio la questione del reddito assume
una nuova centralità, la piazza del 2 Agosto definisce un immediato
campo d’applicazione di un nuovo welfare per superare le
contradizioni di un Capitale sempre più feroce, lo definisce a
partire dalla praticabilità di un reddito elargito da chi ha causato
lo scempio ambientale e sociale degli ultimi cinquant’anni, come
declinazione territoriale di una richiesta che i movimenti globali
avanzano da anni, ovvero che la crisi la paghi chi l’ ha generata.
Intanto il vento di Scirocco continua
a soffiare sulla Città dei due Mari ma non sfianca, riscalda i
cuori di una comunità che si è ripresa un pezzettino della sua
dignità e ci rendiamo conto d’aver lasciato,nel cammino,le
ciminiere alle spalle e di avere innanzi il futuro in fase di
scrittura.
- Attivisti Occupy Archeotower- Taranto
1 commento:
SONO BRUNACCIO.
Insomma, la rete gattopardesca dei sindacati comincia a fare acqua, e l'unione di diverse realtà, dall'operaio al precario, a chiedere il reddito di cittadinanza è la prova che alcune novità teoriche cominciano ad essere recepite nonostante i sindacati stessi.
Esproprio della fabbrica, sequestro dei capitali a Riva e reddito di cittadinanza...questa è la triade perchè il discorso che non ci può essere dicotomia tra difesa del lavoro e dell'ambiente diventi realista anzichè essere una dichiarazione di intenti.
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