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sabato 4 agosto 2012

Corrispondenza dall'ILVA: lavoro e ambiente nella resistenza operaia!


 
Da alcune settimane a Taranto va avanti una “strana” mobilitazione operaia. Finalmente cittadini, associazioni, comitati popolari sono riusciti a dimostrare che da decenni l’ILVA inquina e uccide, violando ogni norma ambientale, condannando la città di Taranto ad una lenta agonia. Purtroppo questa pressione dal basso, che è riuscita a chiamare sul banco degli imputati persino patron Riva e a far condannare ben 8 tra dirigenti e ex dirigenti del gruppo, ha portato anche al sequestro di parte dello stabilimento, che ora rischia la chiusura.
Così – non contro la decisione del Gip o per “difendere” una fabbrica che li ha uccisi ad uno ad uno, ma per paura di perdere il lavoro e piombare nella fame più nera –, gli operai dell’ILVA sono scesi in strada. Per salvarsi il culo e continuare i propri affari, Riva, facendo leva sui soliti sindacalisti cooptati e sulle succubi istituzioni locali, ha cercato di manovrare la mobilitazione operaia, orientandola contro la magistratura. Alcuni operai, per disperazione e mancanza di coscienza di classe, sono caduti nella trappola padronale. Ma molti altri sono invece riusciti a porre sia la necessità di risolvere la questione ambientale bonificando il territorio, sia la necessità di trovare una soluzione lavorativa per le migliaia di operai coinvolti. D’altronde entrambe le emergenze, quella ambientale e quella lavorativa, hanno di fronte lo stesso nemico (padroni ed istituzioni) ed esprimono la stessa esigenza: quella della classe lavoratrice a poter vivere degnamente.
Queste posizioni hanno trovato nella contestazione di ieri un primo momento ampio di visibilità. Il report degli ultimi, concitatissimi giorni, che qui pubblichiamo, è scritto da un compagno interno alla mobilitazione, e cerca di leggere tutta la questione senza perdersi nel fuorviante dilemma “lavoro vs. ambiente”, ma in un’ottica di classe, che dimostra l’inconciliabilità fra gli interessi dei padroni (ricominciare quanto prima a fare profitti ed evitare il carcere) e quella degli operai e dei proletari (vivere una vita libera dal ricatto dei tumori o della fame)…
Il 3 agosto, il Tribunale del Riesame si esprimerà sul provvedimento di “sequestro senza facoltà d'uso” emesso il 26 luglio scorso dal Gip Patrizia Todisco, provvedimento che riguarda l'intera area a caldo della fabbrica siderurgica di Taranto, l'enorme stabilimento ILVA. Si tratta in pratica di un vero e proprio “stop” per uno degli stabilimenti più inquinanti d'Europa, un complesso che da decenni avvelena l'intera città di Taranto causando morti e malattie tra i suoi cittadini per esposizione alle emissioni. Tutto questo mentre il suo proprietario Riva continua a fare profitti miliardari, con utili che fanno invidia ai maggiori imprenditori del paese. I reparti interessati dal provvedimento di sequestro (area agglomerazione, altiforni, cokerie, acciaierie, materiali ferrosi e parchi minerali) sono l'effettivo “cuore produttivo” dell'ILVA che, se questi non sono in funzione, è una fabbrica spenta.
Oltre al sequestro, la sentenza prevede misure di custodia cautelare (arresti domiciliari) per 8 tra dirigenti e ex dirigenti del gruppo Riva, tra cui proprio il numero 1 dell'azienda, Emilio Riva. Parte del gruppo dirigente aveva fatto un passo indietro nei mesi scorsi, dando le dimissioni per tutelarsi da un esito dell'inchiesta che era già nell'aria. In seguito a ciò, il volto pubblico dell'azienda è diventato Bruno Ferrante, ex prefetto ed ex candidato sindaco del Pd a Milano. Le accuse per la dirigenza Ilva sono di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose.
In seguito al rischio di vedere messo in discussione il posto di lavoro, gli operai per due giorni sono scesi in piazza, hanno bloccato le principali arterie stradali della città, hanno contestato vertici dell'azienda e esponenti delle segreterie sindacali. Tra questi operai decisi a difendere il loro posto di lavoro, le posizioni erano delle più varie, a seconda del grado di autonomia che si manteneva rispetto all'azienda: da una parte quegli operai schierati nettamente al fianco di Riva, fomentati dalla quasi totalità dei capi a scendere in piazza a difesa dell'azienda e dei suoi dirigenti e contro la magistratura; dall'altra parte, invece, quegli operai che cercavano di evidenziare le responsabilità diffuse dell'attuale situazione: dai mancati investimenti da parte della dirigenza Riva nella sicurezza ambientale e nella tutela delle condizioni di lavoro, ai sindacati confederali ciechi e sordi per anni di fronte sia alle tematiche dell'ambiente che a quelle delle rivendicazioni dei lavoratori, fino ad arrivare allo Stato e alle istituzioni che, dopo aver svenduto l'ITALSIDER a Riva, gli hanno permesso di fare impunemente il bello e cattivo tempo dentro e fuori da una fabbrica dove si muore da decenni. In mezzo a queste posizioni, in cui si possono individuare due poli distintisi tra la massa degli operai, sono presenti le più diverse sfumature e gradi di consapevolezza riguardo alla necessità di distinguere nettamente gli interessi dei lavoratori da quelli del padrone.
In questo quadro, il consequenziale proseguimento della lotta sembrava essere, stando alle parole e ai sentimenti degli operai che si erano mobilitati, la continuazione dei blocchi alla vigilia e in occasione del giorno in cui era previsto il riesame. I sindacati confederali hanno al contrario preferito organizzare un “corteo sfilata” che fosse, in ultima analisi, semplicemente un modo per arrivare in gruppo al cospetto dei tre dirigenti nazionali dei confederali e rispettivi segretari di categoria.
A fronte di una scelta così conciliante e morbida, molti sono stati gli operai che per disinteresse o critica rispetto a questo tipo di azione da parte dei sindacati, hanno disertato il corteo o vi sono stati presenti come semplici spettatori coinvolti. In ogni caso la manifestazione, divisa in due concentramenti per questioni puramente organizzative, ha sfilato per un breve tratto della città con tutte le sue, varie e a fatica conciliabili, componenti sia in termini di settori sociali (operai, impiegati d'azienda, capi reparto) che di rivendicazioni e parole d'ordine portate in piazza, che dimostravano più o meno capacità di tracciare una linea netta che inchiodasse i responsabili della attuale situazione dentro la fabbrica e in città.
Arrivati nella piazza finale i comizi dei dirigenti nazionali di Cgil, Cisl e Uil sono stati interrotti da dure contestazioni provenienti da un folto spezzone composto da operai, precari, studenti e persone appartenenti ad associazioni ambientaliste etc, ai quali è stato impedito di salire sul palco per esprimere le loro posizioni, vista la loro chiara intenzione di denunciare, oltre alle responsabilità dell'azienda, le responsabilità che i sindacati confederali e i loro padrini politici hanno avuto e continuano ad avere non rappresentando in nessun modo i reali interessi degli operai contro quelli, sempre ben tutelati, della dirigenza padronale…
L'epilogo è stato caratterizzato dall'isterismo dei tre sindacati di fronte a un dissenso che andava montando, e che aveva trovato favori nella massa operaia, che in larga parte condivideva le denunce e le accuse al ruolo conciliante dei sindacati maggioritari. La situazione è stata sbloccata dal vergognoso intervento della polizia che, con maniere brusche e arrivando a usare anche i manganelli, ha sgombrato la piazza permettendo ai dirigenti sindacali di proseguire il comizio in una piazza che non sembrava avere più alcun interesse ad ascoltare i soliti discorsi preparati per l'occasione.
Il corteo del 2 agosto è stato insomma uno dei momenti di lotta che stanno costellando il proseguimento della battaglia degli operai contro il tentativo di far passare il gioco padronale, gioco che sfrutta gli operai in chiave anti-magistratura. Tra le file dei lavoratori si sta diffondendo un sempre maggior grado di autonomia e consapevolezza nel distinguere gli interessi della propria classe da quelli di chi costruisce profitti miliardari sullo sfruttamento del lavoro, della salute e della sicurezza degli operai. Una consapevolezza che è determinata nel voler inchiodare Riva e tutta la dirigenza ILVA alle proprie responsabilità, facendo sì che possa pagare per i danni causati alla salute di tutti i cittadini e in particolar modo di coloro che sono le vittime maggiormente esposte all'inquinamento: gli stessi operai e le famiglie che vivono nei quartieri operai intorno al siderurgico. Ma le responsabilità non si fermano certo a Riva e alla sua corte di dirigenti, investono piuttosto la complicità e immobilità dei sindacati confederali che nulla fanno per tutelare gli interessi di chi lavora in fabbrica; le istituzioni dello Stato che hanno regalato la fabbrica a Riva dopo averla per anni affidata a clientele politiche che hanno, anch'esse e in misura enorme, inquinato l'ambiente e sfruttato i lavoratori a proprio piacimento; i politici dell'intero arco istituzionale fino agli ultimi esponenti del Governo dei tecnici, tutti sempre pronti a schierarsi al fianco dell'azienda e della tutela dei suoi interessi.
É necessario non cedere al ricatto basato sulla falsa contrapposizione tra ambiente e lavoro, entrambi resi inumani da coloro che sfruttano gli operai ILVA, una contrapposizione che lo stesso Riva fomenta per tentare di schierare gli operai a difesa dei crimini dell'azienda!
É necessario avviare un processo di bonifica, messa a norma e tutela delle condizioni lavorative che non metta in discussione il lavoro degli operai, che dopo essere stati avvelenati e lasciati senza tutele per anni adesso rischiano anche di essere lasciati in mezzo ad una strada!
Chi ha sfruttato e ucciso deve pagare ma senza che il suo destino sia legato a quello delle sue vittime: qui sono gli stessi operai sfruttati e sovraesposti all'inquinamento che hanno iniziato a dire “basta”!

"Lo scirocco e noi"
di stefano modeo e alessandro terra

Taranto, due agosto ’12, sulla città, come spesso accade, soffia il vento di Scirocco, da molti considerato il simbolo dell’indolenza dei sui abitanti, lo Scirocco infatti è un vento caldo, che soffia da Sud, un vento che mitiga gli inverni di queste latitudini e rende le estati torride e sfiancanti.
Le strade ribollono di un sentimento diffuso e incredulo,un sentimento tipico della tragedia, quello che pone l’individuo di fronte a una scelta, non sintetizzabile nella dicotomia Ilva si, Ilva no, quanto piuttosto nella scelta tra la conquista di una dignità schiacciata da cinquant’anni di ricatto occupazionale o ancora una volta l’indifferenza, la vittoria dello Scirocco .
La confusione scaturita da una morsa dell’acciaio che ha sempre attanagliato le certezze di una popolazione che non ha mai avuto la possibilità di costruirsi un futuro diverso da quello della fabbrica o dell’emigrazione,si riversa in piazza per gridare le proprie contraddizioni,e quasi ad ambire ad una risposta che levi il peso dell’angoscia per il futuro, si trasforma in lotta nei confronti dei poteri che dettano,e che hanno sempre dettato la struttura della cittadinanza tarantina.
Oggetto del temuto è la scissione tra lavoratori e popolazione, i primi vittime di un capitalismo scellerato pronto ad abbandonare alla fame chi l’ha alimentato per tanti anni, i secondi vittime dei fumi velenosi,e non solo, della fabbrica siderurgica più grande d’Europa. Nonostante tutto serpeggia il bisogno di sentirsi uniti, o forse meglio compagni, dal suo più giusto etimo “cum-panis” , colui con cui dividere quel pane che da troppo tempo è duro e amaro. Ed è questo senso d’appartenenza che si vuole rivelare come vero aspetto rivoluzionario di fronte al bisogno del potere di mettere l’uno contro l’altro i poveri, affinché dal conflitto scaturisca la necessità di far tornare tutto come prima, affinché la polvere torni ad essere nascosta sotto il tappeto.
Siamo circa trecento al luogo del concentramento per il corteo. Siamo la coda della manifestazione,tra gli ultimi,quasi fosse una scelta o il destino a porci sempre alla fine. Alla testa dello spezzone c’è un treruote, che diventerà presto simbolo della giornata, con sopra tre operai a sgolare le proprie motivazioni e ad incitare la folla sottostante a farsi sentire. Fa caldo, la gente si bagna la testa e continua ad avanzare verso Piazza della Vittoria, dove è stato installato il palco, da cui, i sindacati confederali si mostrano uniti come non mai nella liturgia degli interventi dei segretari. Lo spezzone che vede finalmente uniti operai Ilva, studenti, precari e tutto un reticolo di associazioni ambientaliste avanza e si gonfia giungendo con la sua voce in Piazza della Vittoria,dove il segretario nazionale della FIOM, Landini, ha appena cominciato il proprio comizio; ma non è più il tempo dell’ascolto, gli operai in testa al treruote si fanno largo con estrema concessione da parte degli altri presenti nel mezzo della piazza e con i propri cori e le proprie richieste ammutoliscono ogni prova di resistenza da parte dei sindacati, la piazza si apre ,nessuno si oppone, il leggendario servizio d’ordine dei sindacati è anch’esso una fotografia in bianco e nero, la gente si abbraccia, si unisce e zittisce totalmente chi dal palco tentava una vana replica. La parola agli operai dunque, primo gesto di libertà ottenuta,dopo anni di soprusi; segue dopo qualche minuto concitato, l’intervento di Aldo, un operaio, ex iscritto Fiom, che introduce ricordando le vittime della strage di Bologna,celebrata contemporaneamente nella stazione famosa, paragonandola alla strage compiuta dall’azienda nel corso dei cinquant’anni trascorsi. La gente applaude, comincia a sentirsi sempre più unita,dal pensionato all’operaio,dal precario allo studente è un abbraccio che si concretizza man mano che le parole vengono lette dall’operaio che non ha mai fatto orazioni nella sua vita e che oggi si ritrova a reclamare il proprio diritto al lavoro e all’ambiente contro il falso interesse sindacalista a braccetto con l’azienda. Il discorso viene concluso velocemente poiché minacciato da un cordone di polizia che fa il conto alla rovescia per la carica. Quello che era uno spezzone è divenuto ormai città intera, non cade nella provocazioni e raccogliendo applausi volta le spalle ai sindacati marciando in direzione opposta e contraria. La folla segue la musica, i cori, la gente sorride perché si ritrova unita,compatta nella stretta di mano tra operai e cittadinanza, felice perché la direzione è chiara, qualcuno grida ‘il futuro è adesso’,altri insultano il ‘padrone’. Ci giriamo, troviamo dietro di noi più di tremila persone al seguito, ci guardiamo con i nostri compagni negli occhi, c’è poco da dire e i corpi parlano meglio di tante parole .
Non ce ne voglia certa sinistra, l’indignazione per il reato di lesa maestà è la cartina di tornasole per un universo imploso ormai da tempo, superato dalla nuova composizione del lavoro e dalla ricerca di un benessere non più sintetizzabile in termini monetari e quindi salariali, superato dall’incapacità delle organizzazioni novecentesche di leggerlo, nonostante i vani tentativi di ricerca di un terreno comune che tenesse insieme la necessità di liberarsi nel lavoro dalla morsa dei ricatti che da Pomigliano giunge fino a Taranto e la necessità di un mondo che non vive la fabbrica come il luogo dello sfruttamento delle proprie esistenze (ma che ne paga in alcuni luoghi altissimi costi sociali) di un reddito di cittadinanza.
Proprio la questione del reddito assume una nuova centralità, la piazza del 2 Agosto definisce un immediato campo d’applicazione di un nuovo welfare per superare le contradizioni di un Capitale sempre più feroce, lo definisce a partire dalla praticabilità di un reddito elargito da chi ha causato lo scempio ambientale e sociale degli ultimi cinquant’anni, come declinazione territoriale di una richiesta che i movimenti globali avanzano da anni, ovvero che la crisi la paghi chi l’ ha generata.
Intanto il vento di Scirocco continua a soffiare sulla Città dei due Mari ma non sfianca, riscalda i cuori di una comunità che si è ripresa un pezzettino della sua dignità e ci rendiamo conto d’aver lasciato,nel cammino,le ciminiere alle spalle e di avere innanzi il futuro in fase di scrittura.
  • Attivisti Occupy Archeotower- Taranto

1 commento:

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO.

Insomma, la rete gattopardesca dei sindacati comincia a fare acqua, e l'unione di diverse realtà, dall'operaio al precario, a chiedere il reddito di cittadinanza è la prova che alcune novità teoriche cominciano ad essere recepite nonostante i sindacati stessi.
Esproprio della fabbrica, sequestro dei capitali a Riva e reddito di cittadinanza...questa è la triade perchè il discorso che non ci può essere dicotomia tra difesa del lavoro e dell'ambiente diventi realista anzichè essere una dichiarazione di intenti.