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mercoledì 27 febbraio 2013

LA TEMPESTA PERFETTA

I FATTI STANNO SMENTENDO LA MIA PREVISIONE, VISTO CHE GRILLO SEMBRA MOSTRARSI PRONTO AD ANDARE DA NAPOLITANO (MA GRILLO NON DOVEVA ESSERE SOLO LA CASSA DI RISONANZA?) A TRATTARE UN GOVERNO, CHE NON SI CAPISCE BENE COSA DOVRA' FARE E IN CHE FORMA SARA' ORGANIZZATO.
ASPETTANDO GLI EVENTI, SUI GIORNALI LE INTERPRETAZIONI DEL VOTO SI SPRECANO.
NE HO LETTE DIVERSE, MA VOGLIO METTERE QUESTA PERCHE' MI SEMBRA LA PIU' COMPRENSIVA DI UN'ANALISI DI FASE DELL'INTERA SOCIETA' ITALIANA ATTUALE E DEI RAPPORTI COL CAPITALE E CON L'EUROPA DELLA TROJKA.
SICCOME IO PENSO CHE SEMPRE UNA VALUTAZIONE POLITICA NECESSITI DI RELAZIONARSI AL QUADRO DELL'ECONOMIA POLITICA MI SEMBRA BENE LEGGERE QUESTO ARTICOLO.
da http://www.contropiano.org/it/archivio-news/documenti/item/14769-tempesta-perfetta
Viviamo in tempi rivoluzionari, ma non vogliamo prenderne atto. Usiamo questa espressione in senso “tecnico”, non politico-ideologico. Non ci sono masse intorno al Palazzo d'Inverno, ma la fine di un mondo. Il difficile è prenderne atto.Si sta rompendo tutto, intorno a noi e dentro di noi, ma quando ci dobbiamo chiedere – fatalmente - “che fare?” ci rifugiamo tutti nel principio-speranza, confidando che le cose, prime o poi, tornino a girare come prima. Per continuare a fare le cose che sappiamo fare, senza scossoni.
Non possono tornare come prima.
Inutile prendersela più di tanto con le singole persone o le strutture – leader, partiti, sindacati, media, confindustria, ecc – che hanno responsabilità pazzesche, naturalmente, ma sono anche totalmente impotenti di fronte a un mondo che si spacca. “Le cose si dissociano, il centro non può reggere”. Non saranno i Bersani, i Berlusconi o i Napolitano a tenere insieme le zolle tettoniche in movimento.
Come interpretare altrimenti il fatto che le “elezioni più inutili della storia” - definizione nostra – abbiano prodotto la più seria rottura di continuità nel panorama politico italiano?
Era tutto fatto. Un programma di governo “responsabile” scritto in sede europea e noto come “agenda Monti”; una coalizione costruita per “coprirsi a sinistra” senza spaventare i moderati; un polo moderato-centrista in realtà “estremista europeo”; un governo “ineluttabile” Bersani-Monti (con Vendola addetto ai “diritti civili”, che in fondo non costano niente). Gli antagonisti? Impresentabili in Europa, come il jokerman di Arcore e il comico di Genova; oppure riedizione minore di un arcobaleno fallimentare, fisicamente rappresentato da magistrati progressisti. Ma magistrati.
Un paese diviso ha prodotto una rappresentanza divisa. E non è colpa della “gente”, dell'”individualismo”, del menefreghismo. Perché queste tabe italiche sono il corrispettivo esatto di una struttura produttiva che magari presenta ancora isole di eccellenza, ma “non fa sistema”; di una società frammentata nel modo di produrre ricchezza, di estrarre reddito, di sopravvivere. Ma un paese dove la produzione di ricchezza “non fa sistema” è un paese senza spina dorsale, senza baricentro, senza disegno. E che ha aggravato queste sue caratteristiche negative – addirittura esaltate come “potenzialità” ai tempi in cui gli imbecilli dicevano che “piccolo è bello” - in seguito allo smantellamento delle poche colonne portanti della produzione nazionale, nonché dalla privatizzazione delle banche di “interesse nazionale”. Metafora precisa, quest'ultima, di un paese senza un “interesse nazionale” identificabile; e quindi frantumato in tanti e diversi interessi privati, corporativi, locali, di nessuno spessore progettuale. Di nessuna incidenza sulla scala dimensionale – almeno continentale – su cui si prendono le decisioni vere.
Un paese composto in buona parte di figure sociali con “redditi spurii”, che presentano perciò “identità multiple”. Parliamo di redditi spurii in senso marxiano, non legal-giudiziario. Un mafioso che si arricchisce con il traffico di droga ha un reddito illegale, ma non spurio; la sua identità sociale è chiara anche per lui, non presenta ambiguità e tantomeno tentennamenti. Un pensionato o un lavoratore dipendente (o un piccolo negoziante o una partita Iva) che ha un salario (una pensione o dei ricavi d'attività), e magari “integra” affittando la seconda casa a dei migranti, cui può aggiungere qualche cedola dai Bot o dai fondi comuni di investimento... questo insieme è un reddito spurio, che fa vivere un'identità sociale mutevole e mutante. Che vota in un modo se pensa più all'Imu e in un altro se gli pesano maggiormente addosso le “riforme” Fornero delle pensioni o del mercato del lavoro. Berlusconi o Bersani, dipende da cosa offrono... E il primo sa vendere meglio.
Lo spappolamento sociale – se è ancor vero che “l'essere sociale produce la coscienza” - si è rivelato appieno in questo voto. E non è ricomponibile per via “istituzionale”, mettendo assieme frammenti di rappresentanza politica. Ma è quello che faranno, che sono condannati a fare e che Napolitano cercherà di costringerli a fare. Un “governissimo” pro tempore, per “fare poche cose”, alcune “riforme strutturali che i mercati si attendevano”. E una legge elettorale meno idiota.
Nemmeno il tempo di scriverlo, ed ecco che Berlusconi si mostra disponibile, Bersani zittisce chi pensa a nuove elezioni, Monti tace preparandosi a indicare un nome tra i suoi possibili sostituti.
Insomma: una risposta “normale” a uno smottamento rivoluzionario. Un suicidio al ralentì.
La domanda centrale, decisiva, posta da queste elezioni è soltanto una. E viene posta indirettamente, in ogni talk show, da quanti ci tengono a rappresentare il “senso di responsabilità”: si resta in questa Unione Europea o ci si mette nella prospettiva di uscirne?
Qualsiasi risposta comporterà disastri inenarrabili e un terremoto prolungato nel nostro sistema di vita. “Restare” significa infatti accettare i vincoli del fiscal compact (50 miliardi tagli annuali alla spesa pubblica per i prossimi 20 anni), il pareggio di bilancio (impossibilità di mettere in campo una qualunque politica economica nazionale), la distruzione del “modello sociale europeo”, le allenze militari e i conflitti conseguenti. “Uscirne” significa affrontare le tempeste e la speculazione di mercati finanziari vendicativi, squilibri di grandi dimensioni e senza soluzioni a breve termine, cercando alleati mediterranei e “latini” - al momento in tutt'altre faccende affaccendati - per una zona monetaria “non euro” e non stupidamente nazionalista. Chi si aspetta ricette facili per "rimettere le cose a posto" si rivolga a un predicatore o alla neuro.
Il corpo elettorale italiano, ieri, ha detto al 60% che le “politiche europee”, i diktat della Troika (Ue, Bce, Fmi) non possono essere più accettate. Il problema – gravissimo – è che questo rifiuto è per metà composto di interessi e immaginario reazionari, localistici, “personali”. E per l'altra metà di risposte variamente e soggettivamente “democratiche e popolari”. Ma senza un progetto, un'idea fondante, una visione all'altezza della “tempesta perfetta” che il mondo – non solo l'Italia o l'Europa – sta vendendosi velocemente addensare. Tutto, in teoria, affidato a un'infinita discussione da fare tra soggetti singoli che solo alla fine troveranno il consenso su qualcosa. Ma quel qualcosa, oltre che distillato per via di partecipazione democratica, sarà anche “efficace”? Non ci scommetteremmo. La complessità del mondo reale eccede di gran lunga le competenze individuali non strutturate in “sistema”, sia conoscitivo che “operativo”.
Sul rifiuto di rispondere chiaramente a questa domanda, infine, si è infranto in modo definitivo il "far politica" – proprio della “sinistra radicale” bertinottiana e post-bertinottiana – che avanzava molte e giuste critiche alle politiche europee e/o governative per poi acconciarsi a un'alleanza elettorale con chi rappresenta con assoluta nettezza queste politiche: il Pd. Sappiamo bene che in questo frangente non c'è stato un accordo elettorale in tal senso; ma per gran parte delle piccole forze racchiuse nella “lista Ingroia” (capitanate da Di Pietro, Diliberto, lo stesso Ingroia) ciò è avvenuto solo per il netto rifiuto da parte del Pd, non per una scelta “indipendente”. Una sindrome da “amici traditi” che si è avvertita per tutta la campagna elettorale ed è esplosa nei primi giudizi dopo i risultati.
È finita “la sinistra” discendente dalla cultura del Pci, indecisa via di mezzo tra accettazione dell'ordine capitalistico e tenue aspirazione a smussarne le asperità eccessive. Può non essere un male, se si parte dal rispondere in modo chiaro alla domanda principale. Perché ora questo paese ha davvero preso il “sentiero greco”, e non ci si deve più fidare di nessun “candidato nocchiero” che parte dal desiderio di “normalità”, invece di prendere atto della tempesta in atto. Ci sarà da tremare e lottare, da pensare correndo.
In tempi rivoluzionari, occorre capire dove si va rompendo la faglia e avanzare proposte altrettanto di rottura. Non abbiamo bisogno di mezze pensate, di vecchi poltronisti, di dottor tentenna. Quel tempo è scaduto.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

una lettura sostanzialmente condivisibile, Bruno. Con qualche dubbio (cosa si intende per "fare sistema"?) e, se mi permetti, qualche inesattezza, frutto secondo me, di una semplificazione storica: ridurre tutta l'esperienza di Rifondazione Comunista (che io considero terminata) a "una sinistra discendente da una cultura del Pci, indecisa via di mezzo tra accettazione dell'ordine capitalistico e tenue aspirazione a smussarne le asperità eccessive", dimostra una scarsa conoscenza delle dinamiche sviluppate nei venti anni di quella esperienza. Con tutti i limiti e le inadeguatezze evidenziate. Non mi sembra, tra l'altro, che altri percorsi politici e sociali di opposizione, sviluppatesi negli ultimi decenni, possano chiamarsi fuori da responsabilità rispetto allo stato di cose presenti.

Sandro

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO.

Il compagno Sandro ha fatto questo commento molto interessante via facebook, e col suo permesso, l'ho riportato qua e semmai riporterò il resto del carteggio.

Questa la mia risposta, e, se ne avremo altre, le riporteò direttamente

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Io questo articolo l'ho messo con molti dubbi e senza considerarlo un oracolo, ma proprio come spunto di discussione in rapporto ad un quadro più ampio. Ora, uno dei dubbi è proprio sul discorso di Rifonda, a cui personalmente muovo una critica differente dall'articolo. E' verissimo che Rifonda è stato il tentativo di confluenza di anime diversissime della sinistra italiana (dall'ala più togliattiana ai movimenti passando per Dp e LC e cattolici di base), e io quel che penso è che non abbia saputo ritirare fuori il meglio del vecchio PCI, che esso stesso ha smantellato: il lavoro di sezione, nei quartieri e nei luoghi, e una linea discussa -magari discussa più fortemente che nel vecchio PCI dove spesso la discussione era già decisa in partenza...- ma ove votata omogenea e che il leader fosse tenuto a diffondere e amplificare. Si è avuto invece il culto del leader e del mediatico, e l'esperienza di Bertinotti ci ha mostrato che è stato uno sbaglio. Coi soldi che si potevano risparmiare dietro la sua costruzione, si poteva lavorare molto nei quartieri magari entrando in massa negli ARCI nell'ANPI e nei luoghi ove si va verso il popolo. Io la penso così, magari ingenuamente o comunque senza pretesa di verità.

Anonimo ha detto...

Potrei risponderti, Bruno, che questa che poni tu fu una critica e una visione che una consistente parte del partito muoveva al gruppo dirigente e che comunque, almeno nella prima fase (1991-98) il lavoro sul territorio ebbe una sua consistenza, in relazione anche alla militanza. Il leaderismo massmediatico non pensare che fosse stata una pratica digerita dal corpo del partito. Per chi, come me, poi non proveniva dal Pci, molti meccanismi restarono incomprensibili. Ritengo comunque che in quella fase storica quel tipo di scommessa valeva la pena di giocarla. Mi resta però difficile argomentare su fb la complessità di quel percorso. Magari un giorno ci facciamo una bella chiacchierata.

Sandro

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO

Sandro, ti dico solo che sulla scelta del leader mi riferivo ai vertici e non alla base. Per il resto, dai ne riparliamo a voce! ;-)

Anonimo ha detto...

SEMPRE BRUNACCIO

Per finire. Sul 'fare sistema', credo che intenda dire che quelle poche esperienze di capitalismo produttivo anche di ricchezza diffusa (non so chi siano di questi tempi, penso che parli di piccola produzione, mentre per il passato ho in mente Olivetti) è marginalizzato da un sistema che si fonda sulla rendita edile (legata al legame con la politica degli appalti e delle destinazioni d'uso) e sulla finanziarizzazione del capitale produttivo (che in FIAT credo iniziò già con Romiti), finanziarizzazione che in quanto tale non produce ricchezza diffusa, perchè va a capital oligarchici transanzionali che certamente non vengono a mangiare al ristorante sotto casa mia o tua e quindi fanno circolare meno moneta comprimendo consumi e ricchezza ed avvicinando le classi anche medie alla difficoltà economica.

Anonimo ha detto...

SEMPRE BRUNACCIO

Finisco la valutazione sul 5 stelle.
La risposta del 5 stelle è essa stessa una risposta che ha dietro una logica aziendale in franchising, di cui i militanti devono liberarsi: allora avranno iniziato a maturare una coscienza politica con cui poter discutere e far passare nelle nostre lotte, senza mediazioni del settore del capitalismo.
Cosa intendo per logica aziendale in franchising? L'esempio migliore parte dalle fondamenta.

Un movimento che sia sovrano, normalmente, se reputa che ce ne sia bisogno, elegge il leader tra i militanti per votazione, leader che ha compiti precisi e circostanziati, pena la perdita di sovranità del movimento. Qua abbiamo un leader che costruisce dall'alto un movimento, gli lascia ampi margini interni (ecco il franchising) per poi però soppesare prese di posizioni con assoluta disciplina interna...lui dice di essere cassa di risonanza, ma non mi pare questo l'atteggiamento, tanto da voler andare lui a parlare con Napolitano.

Il giorno che il 5 stelle sarà davvero un movimento e avrà maturato una coscienza reale da sinistra diffusa, ovvero si sarà liberato ideologicamente e materialmente dei suoi padroni, allora forse la politica diverrà una forma nuova all'altezza dei bisogni odierni di socialità, mutualismo, e, secondo me, socialismo volto al Mediterraneo.

Anonimo ha detto...

Credo che la finanza speculativa del sistema bancario stia superando tutto ciò, e si configuri come l'ultima frontiera nel processo di accumulazione. Pensare di "regolare" questo sistema attraverso un "capitalismo democratico" (che sono un po le tesi di Vendola e Bersani) è fuori dalla storia. Credo. Sopratutto in tempi di crisi recessiva. Credo che questi argomenti siano centrali nel condizionare l'esistenza materiale di tutti noi. Se penso ai temi della campagna elettorale mi viene voglia di prendere il primo treno per il Machu Picchu...

Sandro

Anonimo ha detto...

SONO BRUNACCIO

Sì, nemmeno io credo possibile, regolare il capitalismo, in quanto esso stesso ha ecceduto dai limiti che permettevano contrattazione e patto sociale. Era solo per vedere se avevo capito cosa intendesse, e non mi pare che nemmeno l'articolo ponga la soluzione di temperare il modello, ma solo constatare come dal capitale discendano i particolarismi politici, tanto è vero che alla fine indica proprio questo approccio, o così mi parrebbe.