Come scoiattoli curiosi, i bambini del paese si erano appostati dietro la fontana, negli androni, all'imbocco dei vicoli; i più temerari stavano a cavalcioni sui rami degli alberi intorno alla piccola piazza. Non capitava spesso, che una carrozza arrivasse fin lì: ancora meno spesso, che recasse un viaggiatore illustre, così insolito per quei posti.
Il Professore scese di colpo e afferrò subito i suoi bagagli, dirigendosi a grandi passi alla casa della vedova che gli avevano indicato, e rispondendo appena ai timidi saluti dei paesani.
Veniva da lontano, il Professore, aveva trascorso gli ultimi anni in viaggio da una città all'altra, studiando testi antichi in tutte le più grandi biblioteche, nei monasteri, nei castelli... aveva pubblicato con grande successo i suoi lavori, e adesso voleva solo condurre una vita tranquilla e regolata.Gli avevano offerto un impiego come precettore per i figli adolescenti del Conte, nel castello posto sull'altura che sovrastava il paese: poche ore ogni settimana, ben pagate, per il resto totale libertà di azione. Lui aveva accettato ponendo come unica condizione quella di non alloggiare al castello: ne aveva abbastanza di tetre dimore secolari, di sale fumose e arazzi anneriti, e non voleva intorno serve chiacchierone, burberi stallieri avvinazzati e adulatori mormoranti: meglio una stanzetta arieggiata in paese con i gerani sul davanzale, la biancheria odorosa di spigo, il frugale cibo casalingo e i modi semplici della gente operosa.
La casa della vedova era a due piani, pulita e bianca di calce: lei, una sessantenne dall'aria severa, vestita di un sobrio abito blu scuro e con i capelli raccolti a crocchia, accolse il Professore con cortese semplicità e lo guidò alla sua camera al piano superiore, spiegando brevemente gli orari e le abitudini della casa.
“Mia nipote verrà su a portarvi il resto della biancheria, intanto potete disfare i bagagli. Mi hanno detto che domani arriveranno i vostri libri, ho spolverato una libreria nell'altra stanza, la sistemiamo subito se per voi va bene.”
Dopo qualche minuto fece il suo ingresso in camera la pesante libreria, sollevata a braccia dalla vedova e da una giovane donna in grembiule bianco: avanzarono con cautela sul rustico pavimento di mattoni, fino ad appoggiarla alla parete libera di fronte al letto.
La giovane donna si scostò dalla fronte alcune ciocche sfuggite alla treccia, ansimando leggermente per lo sforzo, e si asciugò il viso con un lembo del grembiule. La vicinanza di quelle giovani carni accaldate suscitò nel Professore un certo turbamento: il suo sguardo percorse furtivamente le curve fiorenti che tendevano il cotone del corpetto, la vita sottile, le pesanti pieghe della gonna che promettevano morbidi fianchi e gambe tornite.
Tossicchiò con imbarazzo, e rivolse alcune inutili domande alla vedova, per avere tempo di osservare con agio il viso della giovane, che intanto sistemava i ninnoli sul cassettone e lisciava le pieghe del copriletto.
Era bella, sì, non giovanissima come aveva creduto: di certo superava i venticinque anni; i lineamenti delicati e i profondi occhi di un verde chiarissimo le facevano conservare un'aura infantile, che contrastava con il portamento fiero e i gesti sicuri di donna forte, abituata al lavoro pesante, ai modi spicci dei paesani, alle asprezze di quella vita priva di lussi.
Forte e autentica, fa pensare a un buon profumato pane croccante: questo pensò il Professore, lui che aveva sempre associato il fascino femminile all'immagine di donne eteree, pallide e delicate come porcellana, ammantate di seta e immerse nell'aroma di rari profumi.
Così erano in effetti tutte le donne che aveva sedotto: nobili, ricche borghesi, ma anche rinomate attrici, musiciste, poetesse: tutte ammaliate dalla sua figura alta ed elegante, dai suoi modi raffinati per quanto un po' bizzarri, dalla vivacità di ingegno con cui faceva vivere e risplendere la sua sterminata cultura.
Si riscosse quando la vedova gli chiese per la seconda volta se avesse richieste particolari per la cena: mi va bene tutto, fu la sua riposta, scegliete voi ma fate in modo che non manchi del buon pane fresco.
Con la coda dell'occhio spiò il leggerissimo sorriso della nipote.
******
Le giornate trascorrevano con piacevole monotonia: il Conte e la Contessa erano affabili, i due figli esuberanti ma interessati allo studio, il personale di servizio discreto: insomma il Professore non aveva di che lamentarsi.
Pur non amando le chiacchiere, si era spinto chiedere qualche informazione sulle due donne che lo ospitavano: una legittima cautela, si ripeteva, visto che alloggiava da loro. Fu presto accontentato, e mettendo insieme i discorsi dei bottegai del paese, del parroco, delle serve al castello, riuscì ad avere un quadro esauriente.
La vedova era una donna irreprensibile, molto pia e devota: la vita le aveva riservato diverse disgrazie (la morte del marito per una polmonite, un figlio caduto in guerra, l'altro partito in cerca di fortuna e mai più tornato) ma lei non si era lasciata abbattere: aveva iniziato a guadagnarsi da vivere lavorando come ricamatrice, e di tanto in tanto prendendo a pensione qualche forestiero: attività, quest'ultima, che le serviva più che altro a riempire le stanze della grande casa, troppo vuote dopo la morte dei suoi cari.
Un suo fratello, negoziante di stoffe in città, l'aveva molto aiutata negli anni peggiori, e quando lui e sua moglie rimasero brutalmente uccisi in una rapina, la vedova non esitò a prendere con sé Teresa, la loro unica figlia.
Teresa era all'epoca una diciassettenne graziosa e assennata: dopo la disgrazia si affezionò molto alla zia, e benché abituata alla vita di città e istruita come una signorina, si adattò bene a quel paesino montano, lavorando con serietà e pazienza, senza mostrare alcuna nostalgia.
A quel punto il Professore si chiedeva come mai una ragazza così bella e virtuosa non si fosse maritata: se lo chiedeva tutte le sere, mentre lei apparecchiava con garbo la tavola, serviva la cena, riordinava con gesti così misurati e precisi, sotto lo sguardo di approvazione (e di profondo affetto, ne era certo) dell'anziana zia: era certo che avrebbe fatto la felicità di ogni uomo.
Di ogni uomo... non osava, almeno con la ragione, mettere nel gruppo anche se stesso.
A sciogliere i suoi dubbi fu la cameriera personale della Contessa: un giorno in cui era in vena di chiacchiere, raccontò che fin dal suo arrivo Teresa aveva fatto perdere la testa a diversi giovani del paese, e anche a un parente del Conte, che in quel periodo era in visita al castello.
Tutti laggiù ricordano come lui, alla fine di una giornata di caccia, scendesse per le vie del paese, bello e fiero sul suo cavallo baio, solo per vederla all'uscita dalla Messa serale, o di ritorno dal torrente con la cesta dei panni di lino da sbiancare.
Era folle d'amore, il giovane nobiluomo, e di certo anche lei ne era innamorata: ma consapevole della differenza si classe che li divideva, aveva sempre respinto con sofferta fermezza la sua corte, fino alla sua partenza, e così pure quella di tutti i giovani che dopo di lui avevano aspirato al suo cuore.
Tutto qui? No, il Professore non riusciva a credere che una creatura come lei si fosse rassegnata a una vita sterile: non lei, la vedeva ogni giorno, percepiva la grande energia, la grande promessa di gioia che celava, e che i suoi modi da ragazza virtuosa riuscivano appena a dissimulare: ecco, lei era davvero come un buon pane appena sfornato, la cui rigida corazza è pronta a spezzarsi crocchiando, per rivelare un soffice inebriante tesoro in cui affondare il viso, le narici, gli avidi denti.
*****
Rientrò presto quel giorno, i figli del Conte avevano una brutta febbre e quindi niente lezione: senza preavviso socchiuse la porta della propria camera. Teresa, un panno per spolverare ficcato nella tasca del grembiule, leggeva uno dei suoi volumi, sussurrando impercettibilmente le parole, mentre le dita sfioravano le righe stampate, quasi a volerle strappare e portare con sé come frutti preziosi.
Era così assorta nella lettura che impiegò qualche istante prima di rendersi conto della presenza di lui: allora arrossì violentemente, chiudendo con un colpo secco il volume, che si affrettò a posare sullo scrittoio.
“Perdonatemi, non accadrà più” Il suo tono era dimesso ma non timoroso.
“Non è mai da biasimare chi ama la letteratura” e le rimise in mano il libro, una raccolta di testi di Platone, indugiando un attimo, forse più, nel contatto con le sue dita “Consideratevi libera di venire qui e prendere tutti i libri che volete, mi rende felice l'idea che vogliate leggerli “
“Vi ringrazio, davvero. É dalla morte dei miei genitori che non prendo più in mano un libro, eccetto quello delle preghiere, mi mancava la lettura.”
“Leggete, e poi mi direte che ne pensate.”
Iniziò così a intrecciarsi un filo sottile tra Teresa e il Professore: lui era ormai ansioso di congedarsi ogni pomeriggio dai figli del Conte e tornare a casa della vedova, dove la sua nuova allieva, tra un ricamo e una cesta di verdure da pulire, raccontava e commentava minuziosamente ogni capitolo, ogni pagina, senza timore di sfigurare di fronte a un uomo così colto.
La vedova osservava con curiosità questo nuovo dialogo: sapeva che le sue amiche, le altre donne del paese, al suo posto avrebbero disapprovato e forse mandato via quel letterato, che rischiava di mettere grilli in testa a una brava ragazza di umile condizione: ma lei non era come le sue amiche. Aveva visto soffrire per troppo tempo quella nipote che ormai amava come una figlia, e vederla adesso serena, vederla illuminarsi quando parlava di poesie e di racconti, le dava una grande gioia. Non si chiedeva se tutto ciò fosse giusto o conveniente: Teresa era contenta come non succedeva da anni, e lei non si sarebbe mai sentita di toglierle quel piccolo piacere.
*****
Lo avevano portato insieme alla posta, quella mattina: un pacco di forma allungata, cilindrica, rivestito di pesante carta scura.
Il Professore, al sicuro nella sua camera, lo aprì con cautela e srotolò i fogli: aspettava da qualche tempo i disegni del suo più caro amico, un pittore che era appena tornato da un lungo viaggio in paesi esotici, e nell'ultima lettera gli aveva promesso le immagini di quei posti incantati.
C'erano schizzi a matita e alcuni acquerelli: paesaggi che sembravano usciti da un sogno, foreste, fiori dalle forme più insolite, profili di città con cupole e altissime torri che neppure sembravano opera di mano umana.
Altri fogli, avvolti in carta velina: erano disegni di donne stupende, stranamente abbigliate, coperte di gioielli, con i capelli lunghissimi o raccolti in elaborate acconciature: poi alcune senza niente addosso se non impalpabili veli, altre ancora come Eva nell'Eden.
Il pittore aveva saputo ricreare con la sua mano geniale le forme delicate dei volti, la morbidezza dei seni, il sinuoso intreccio di gambe e braccia nude, innocenti sculture di desiderio.
Teresa aveva fatto capolino in camera, curiosa: non poté trattenersi, vedendo tanti fogli sparpagliati sullo scrittoio, ed entrò senza permesso, ammirando i disegni col fiato sospeso: non aveva mai visto niente del genere.
“Scusatemi, non tutte queste immagini sono convenienti da guardare” scattò il Professore cercando di mettere via i disegni di nudo: ma Teresa non era scandalizzata, era piuttosto ammirata, forse addirittura invidiosa di tanta bellezza.
“Sono opere di un mio amico pittore... nudi artistici naturalmente, non vorrei che pensaste male...”
“Il vostro amico è certamente molto bravo.... e queste donne sono così belle, sembrano angeli....”
Abbassò un attimo lo sguardo, facendolo scorrere sulle pieghe sgualcite dell'ordinario abito di cotone, sulle mani dalle unghie corte e senza anelli, certo facendo un paragone impietoso.
“Sì, sono donne molto belle, ma anche voi siete bellissima, credetemi: l'ho pensato dal primo istante in cui vi ho vista” si pentì immediatamente delle parole che gli erano sfuggite.
Teresa rialzò lo sguardo: fiero questa volta, carico di sfida:
“Siete un uomo erudito e stimato, ammirato da tutti, e certo amato da tante donne affascinanti: forse trovate divertente prendervi gioco di una popolana come me, vero? Una sciocca ragazza di paese che non sarà mai come le vostre muse! Risparmiatemi la vostra compassione, so bene qual è il mio posto!”
La cena, quella sera, trascorse in un imbarazzante silenzio, che invano la vedova cercò di spezzare raccontando le vicende della perpetua, la quale aveva litigato con la lavandaia per via di una tovaglia strappata.
Era ancora sveglio nonostante l'ora tarda: dispiaciuto e confuso, meditava di cedere ai desideri del Conte e trasferirsi al castello, o forse di abbandonare tutto e tornare in città.
Due colpetti leggeri alla porta: non fu sorpreso di ritrovarsi davanti Teresa, pudicamente avvolta in una pesante vestaglia, con un candelabro in mano.
Era ancora più bella così, con i capelli sciolti sulle spalle, gli occhi umidi di tristezza.
“Volevo scusarmi, il mio comportamento è stato davvero inopportuno...”
“Sì, lo è stato, soprattutto perché ero sincero: sei bellissima Teresa, sei fatta per dare gioia a un uomo, vorrei solo che tu riuscissi a capirlo...”
C'era uno specchio oblungo in un angolo della stanza, quello in cui il Professore controllava tutte le mattine di essere convenientemente abbigliato per andare al castello: ve la condusse in silenzio, togliendole di mano il candelabro, e in silenzio sciolse la cintura della vestaglia, che fece scivolare sulle sue spalle fino a lasciarla cadere a terra.
La morbida luce delle candele accarezzò la leggera camicia da notte, prima che questa raggiungesse a terra la vestaglia.
“Guardati, Teresa.... sei la mia fata, sei la mia gioia...” era dietro di lei, che si osservava nello specchio incredula, e iniziò a posarle leggerissimi baci sulla spalla. Lei rabbrividì, ipnotizzata dalla sua stessa immagine, prima di cercare le labbra di lui. Lo specchio rubò la luce al candelabro per catturare il riflesso dei due corpi, che percorrevano allacciati i pochi passi verso il letto.
*****
Erano trascorsi sei mesi, e il professore stava spiegando svogliatamente alcune regole grammaticali ai figli del Conte.
Non aveva lasciato la casa della vedova: era stata Teresa a partire.
Subito, una settimana dopo la loro notte insieme, per tornare in città, dove una famiglia amica dei genitori avrebbe potuto trovarle un impiego come governante.
La vedova, se era rimasta sorpresa, se aveva intuito qualcosa, di certo non lo aveva dato a vedere: trattava il Professore con la stessa sbrigativa cortesia di sempre, e aveva preso con sé la figlia della lavandaia per farsi aiutare nei servizi domestici.
Insomma tutto sembrava tornato come prima in paese, tutto tranne l'animo del Professore.
Lui ormai navigava nella malinconia e nel rimorso per averla sedotta, immaginando di aver sconvolto la sua già non facile esistenza; e si trascinava senza scopo, meditando, ma senza mai decidere, di riprendere i suoi viaggi di studio: non riusciva a staccarsi da quel posto, dal ricordo di lei.
Terminò la lezione e tornò: la vedova lo aspettava, seduta sul panchetto davanti casa, intenta a orlare alcuni tovaglioli.
“C'è un pacco per voi, l'ho fatto lasciare in camera.... ah, forse vi farà piacere sapere che oggi è anche arrivata una lettera di mia nipote: dice che sta bene, ha trovato lavoro ed è felice.”
Scrutò il viso impenetrabile della vedova, ma senza poter carpire altro.
Il pacco aspettava sullo scrittoio e recava il nome di un mittente a lui sconosciuto.
Indovinò ancora prima di aprirlo e di leggere le prime righe della lettera allegata:
“Mio caro Professore, spero che mi perdonerai se ho usato un nome fittizio: non volevo che mia zia sapesse. Di certo lei ti riferirà che vivo in città e sono felice: ed è vero. Quello che lei non sa, è che non lavoro più come governante: sono la modella di un pittore, un pittore che tu conosci bene... sì, sai di chi parlo: adesso vivo con lui. Mi ama, mi considera la sua musa, e forse ti stupirai di saperlo, ma non è il solo: in casa sua ho conosciuto poeti, scrittori, attrici, ballerine: persone straordinarie, e tutti mi adorano, e anche io li adoro, tutti quanti: guarda il contenuto del pacchetto e capirai, guardalo prima di continuare a leggere qui.”
Aprì i fogli: ritratti a matita di lei, nuda e splendida così come la ricordava, o vestita con abiti esotici e gioielli, come una principessa delle fiabe; e poi poesie, biglietti, lettere appassionate di corteggiatori, e alcune addirittura di corteggiatrici.
“Mia dolce Musa, non vedo l'ora di incontrarvi di nuovo e accarezzare i vostri splendidi capelli...”
“Teresa, siete la mia amata, la sarete per sempre....”
“Mia dolcissima Padrona, non aspiro ad altro che essere il Vostro servo devoto....”
“Splendida, sublime donna, sole della mia anima...”
“C'è un angelo nella mia vita, e siete voi....”
Ve ne erano a decine, di lettere appassionate: le lesse ad una ad una, prima di riprendere in mano la lettera di lei.
“Ti chiederai perché ti ho mostrato tutto questo: credimi, non è per vendetta, non è per rivalsa, ma solo per gratitudine.
Prima del tuo arrivo credevo di stare bene, di essere soddisfatta della mia tranquilla vita di ricamatrice, ma non era così: mi stavo spegnendo, e credevo che nessuno mi avrebbe mai amata e desiderata, e soprattutto che nessuno avrebbe capito come sono davvero: in fondo non lo sapevo bene neppure io.
Ma poi sei arrivato tu, e mi hai insegnato, insegnato che potevo sentirmi bella, e potevo dare amore, piacere, potevo essere il sogno, la magia per un uomo. Grazie a te sono sbocciata.
Non so se la vita ci porterà a incontrarci di nuovo, ma so per certo che ti sarò sempre grata per ciò che mi hai fatto diventare: sii felice della tua opera come ne sono felice io.
Che la vita ti sia lieve, mio Maestro di Gioia."
(Roberta)
5 commenti:
SONO BRUNACCIO
Buona domenica: è con grande gioia che torna Roberta coi suoi racconti!
Un racconto secondo me fantastico, e vengo a spiegarmi.
Fino all'ultimo capoverso non sembra essere il plot l'elemento centrale, nel senso che pare una trama abbastanza usata: è la descrizione minuziosa, quasi in stile naturalista francese, dei personaggi, degli ambienti, degli stati d'animo a dare un'originalità sorprendente.
Aggiungo che il particolare di Platone come 'libro galeotto', suona un po' come un ribaltamento ironico dell'amore platonico, ed è una grande idea.
Poi arriva il finale, che squaderna tutta la trama e ci fa leggere il racconto sotto tutt'altra ottica: l'eterno scontro tra l'amore come desiderio di possesso e l'anelito delle persone alla libertà.
Un bellissimo racconto, insomma, almeno a mio parere.
sono Roberta
grazie per il commento....troppo per un raccontino come questo, direi....buona domenica a tutti
Al di là della storia in sé quel che colgo in Roberta è una maggiore maestria nel gestire la forma racconto. Non solo bisogna trovare idee o uno spunto preso dal passato o della realtà quotidiana per una storia, ma saperla raccontare è fondamentale. Penso che Roberta abbia sviluppato questa capacità.
Cara Roberta ieri mentre rileggevo i post vecchi di Precari United pensato a te e anche che negli ultimi tempi hai fatto mancare i tuoi racconti. Ma eccoci di nuovo qui. Robè, una curiosità, negli ultimi tempi la tua produzione narrativa è aumentata o sei presa troppo dagli impegni di famiglia?
PS: Ciao Brù, scusami, volevo chiederti ma in Precari United ci sono anche i post precedenti di Volante Rossa?
Buona domenica.
Ciao
caro Transit, in realtà ho scritto poco ultimamente...ma tu una pagina facebook non ce l'hai? ciao, felice di risentirti
Cara Roberta, no non ho una mia pagina su Facebook. Non ci sono mai stato e tanto meno registrato o iscritto. Chiederò maggiori informazioni a mio figlio Claudio. Ho riletto un tuo commento di qualche post precedente in cui mi invitavi a entrarci.
ho piacere a risentirci.
ciao
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