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martedì 23 dicembre 2014

L'IMPASSE DEI GOVERNI PROGRESSISTI LATINOAMERICANI. DI FREI BETTO.


Quando mi capita di leggere le critiche del compagno Frei Betto (che è anche sacerdote marxista teologo della Liberazione e amico di Fidel Castro, oltre che validissimo politiologo) rimango sempre ammirato dalla capacità di quest'uomo di andare al nucleo dei problemi e soprattutto dalla costruttività della critica: contrariamente a tanto massimalismo ideologico/mediatico -che è sempre in quanto tale pieno di confusione, tendenzialmente destabilizzante e oggettivamente fiancheggiatore, proprio per la propria natura appena descritta, dell'imperialismo a stelle e strisce-, furor ideologico/mediatico spesso suscitato 'ad evento' e ad evento finito caduto nel nulla (come fu per i Mondiali di calcio); al contrario insomma di tutto ciò, la critica di Frei Betto è assolutamente costruttiva, capace di cogliere la giustezza e la differenza di certi processi storici, ma d'altra parte capace perfettamente di comprenderne i limiti strutturali e non soltanto le apparenze mediatiche, e totalmente lontana da fantasiose equiparazioni etico-politiche: è la critica di chi quel mondo lo vive, lo conosce e lo ama e che propone un miglioramento con la prudenza che chi ha davanti gli USA e il FMI, pronti ad approfittare di tutto pur di inserire governi 'amici', deve per forza usare.
Ovviamente mi riferisco non alle legittime proteste dei collettivi brasiliani durante il Mondiale, ma alla assurda enfatizzazione di queste da parte di molti media e di molto attivismo da social network, che tanto impazzava, un po' come ai tempi dell'Europeo ucraino.
Personalmente ogni volta che lo leggo ne esco arricchito.

da http://www.senzasoste.it/le-nostre-traduzioni/frei-betto-l-impasse-dei-governi-progressisti-latinoamericani
Frei Betto (*)
ALAI
Predominano in America Latina, oggi, a metà del secondo decennio di questo XXI secolo, i governi democratici popolari. La maggioranza è stata eletta da forze di sinistra. Dei capi di Stato, cinque sono stati guerriglieri sotto le dittature: Dilma Rousseff, del Brasile; Raúl Castro, di Cuba; José Mujica, dell’Uruguay; Daniel Ortega, del Nicaragua; e Salvador Sánchez, del Salvador.
Ora, essere di sinistra non è un problema emozionale o una mera adesione ai concetti formulati da Marx, Lenin o Trotsky. È un’opzione etica, con un fondamento razionale. Opzione che ha come obiettivo favorire, in primo luogo, gli emarginati e gli esclusi. Cosicché nessuno è di sinistra per dichiararsi tale o per riempirsi la bocca di cliché ideologici, ma per la prassi che segue rispetto ai segmenti più poveri della popolazione.
In America Latina, i cosiddetti governi democratico-popolari rispecchiano varie concezioni, e perseguono, in teoria, progetti di società alternative al capitalismo. Transitano contraddittoriamente tra politiche pubbliche dirette a segmenti a basso reddito e il sistema capitalista globale, retto dalla "mano invisibile" del mercato.
I governi democratico-popolari hanno provocato, in realtà, importanti cambiamenti per migliorare la qualità della vita di ampi settori sociali. Oggigiorno, il 54% della popolazione latinoamericana vive in Paesi guidati da governi progressisti. È un fatto inedito nella storia del continente. L’altro 46%, circa 259 milioni di persone, vive sotto governi di destra alleati degli Stati Uniti e indifferenti all’aggravamento della disuguaglianza sociale e della violenza.
Secondo Bernt Aasen, direttore regionale dell’UNICEF per l’America Latina e i Caraibi, tra il 2003 e il 2011 più di 70 milioni di persone sono uscite dalla povertà nel continente; il tasso di mortalità tra i minori di 5 anni si è ridotto del 69% tra il 1990 e il 2013; la denutrizione cronica tra bambini da 6 mesi a 5 anni è diminuita da 12,5 milioni nel 1990 a 6,3 milioni di bambini nel 2011, le persone in possesso di titolo di istruzione primaria sono aumentate dall’87,6% nel 1991 al 95,3% nel 2011.
Tuttavia, aggiunge, "la nostra regione continua ad essere la più disuguale del mondo, dove 82 milioni di persone vivono con meno di $ 2,50 al giorno; 21,8 milioni di bambini e adolescenti sono fuori dalla scuola o sono a rischio di abbandonarla; 4 milioni non sono stati registrati alla nascita e, pertanto, non esistono ufficialmente (...); e 564 bambini minori di 5 anni muoiono ogni giorno per cause evitabili" (cfr.: O Globo, 05.10.2014, p. 19).
Limiti
Da un punto di vista storico, è la prima volta che tanti governi del continente si tengono a distanza dai dettami della Casa Blanca. Ed è anche la prima volta che si creano organismi continentali e regionali (ALBA, CELAC, UNASUR, etc.) senza la presenza degli Stati Uniti. Questo costituisce una riduzione dell’influenza imperialista in America Latina, intesa come predominio di uno Stato su un altro.
Tuttavia un’altra forma di imperialismo prevale in America Latina: la dominazione del capitale finanziario, centrata sulla riproduzione e concentrazione del grande capitale, che si basa sul potere dei suoi Paesi di origine per promuovere, dai Paesi dove viene accolto, l’esportazione di capitali, beni e tecnologie, ed appropriarsi delle ricchezze naturali e del valore aggiunto.
C’è stato uno slittamento dalla sottomissione politica alla sottomissione economica. La forza di penetrazione e conquista di profitto del grande capitale non si è ridotta con i governi progressisti, nonostante le misure regolatorie e di riscossione di imposte adottate in alcuni di questi Paesi. Se, da un lato, si progredisce nella realizzazione di politiche pubbliche favorevoli ai più poveri, dall’altro non si riduce il potere di espansione del grande capitale.
Un’altra differenza tra i governi democratico-popolari è che alcuni non osano promuovere cambiamenti costituzionali, mentre altri rimangono negli ambiti istituzionali e costituzionali dei governi neoliberisti che li hanno preceduti, mentre si impegnano in conquiste sociali significative, come la riduzione della povertà e della disuguaglianza sociale.
Le forze di sinistra dell’America Latina continuano a centrare la loro attenzione sull’occupazione dell’apparato dello Stato. Lottano perché i settori emarginati ed esclusi si integrino negli ambiti delle regole della cittadinanza (indigeni, senza terra, senza tetto, donne, raccoglitori di materiali riciclabili, ecc.). I governi e movimenti sociali si uniscono, specialmente durante i periodi elettorali, per frenare le violente reazioni della classe dominante espulsa dall’apparato statale.
Tuttavia è questa classe dominante quella che mantiene il potere economico. E quanto più gli inqulini del potere politico realizzino misure favorevoli ai più poveri, c’è uno scoglio insormontabile sulla strada: ogni modello economico richiede un modello politico corrispondente ai suoi interessi. L’autonomia della sfera politica in relazione a quella economica è sempre limitata.
Questa limitazione impone ai governi democratico-popolari un arco di alleanze politiche, spesso spurie, e con i settori che, all’interno del Paese, rappresentano il grande capitale nazionale e internazionale, il che erode i principi e gli obiettivi delle forze di sinistra al potere. E cosa ancor più grave: questa sinistra non riesce a ridurre l’egemonia ideologica della destra, che esercita un ampio controllo sui mezzi di comunicazione e sul sistema simbolico della cultura dominante.
Mentre i governi democratico-popolari si sentono permanentemente accerchiati dalle offensive destabilizzatici della destra, accusandola di tentare un colpo di Stato, questa si sente sicura del sostegno dei grandi mezzi di comunicazione nazionali e globali, e per l’incapacità della sinistra di creare mezzi alternativi sufficientemente attraenti da conquistare i cuori e le menti dell’opinione pubblica.
Il modello neodesarrollista [neosviluppista, ndt]
Il modello economico imperante, gestito dal grande capitale e adottato dai governi progressisti, è orientato ad approfittare dei vantaggi della "globalizzazione" per esportare prodotti e risorse naturali al fine di incassare denaro per finanziare, tramite politiche pubbliche, il consumo dei settori esclusi dal debito sociale.
Anche se adottano una retorica progressista, i governi democratico-popolari non riescono a prescindere dal capitale transnazionale che gli assicura appoggio finanziario, nuove tecnologie e accesso ai mercati. E per questo, lo Stato deve partecipare come forte investitore degli interessi del capitale privato, anche facilitando il credito, mediante l’esenzione da imposte e l’adozione di associazioni pubblico-private. Questo è il modello di sviluppo post-neoliberista predominante oggi in America Latina.
Questo processo esportatore-estorsivo include risorse energetiche, idriche, minerali e agricole, con la distruzione progressiva della biodiversità e dell’ambiente, e la concessione di terre alle monocolture anabolizzate da agrotossici e transgenici. Lo Stato investe nella costruzione di grandi opere infrastrutturali per favorire il flusso di beni naturali mercificati, la cui fatturazione in valuta estera raramente ritorna al Paese. Gran parte di questa fortuna è allocata nei paradisi fiscali.
Questa è la contraddizione: che il modello neodesarrollista, si dica la verità, annulla le differenze strutturali tra i governi di sinistra e di destra. Perché adottare tale modello è accettare tacitamente l’egemonia capitalista, anche se con il pretesto di cambiamenti "graduali", "realismo" o "umanizzazione" del capitalismo. In realtà, è mera retorica di chi si arrende al modello capitalista.
Se i governi democratico-popolari vogliono ridurre il poter del grande capitale, non gli rimane altra via che l’intensa mobilitazione dei movimenti sociali, dato che, in questa congiuntura, la via rivoluzionaria è esclusa, e, in pratica, interesserebbe solo a due settori: l’estrema destra e i fabbricanti di armi.
Tuttavia se quello che si vuole è garantire gli interessi del grande capitale, i governi progressisti dovranno adeguarsi, sempre di più, per cooptare, controllare o criminalizzare e reprimere i movimenti sociali. Ogni tentativo di equilibrio tra i due poli è, nei fatti, convolare a nozze con il capitale e, allo stesso tempo, civettare con i movimenti sociali nel semplice tentativo di sedurli e neutralizzarli.
Valori
Come trattano i governi democratico-popolari i segmenti della popolazione beneficiati dalle politiche sociali? È innegabile che i livelli di esclusione e miseria provocati dal neoliberalismo richiedono misure urgenti, che non si limitino al mero assistenzialismo. Poiché tale assistenzialismo si riduce all’accesso a benefici personali (buoni finanziari, scuole, assistenza medica, credito preferenziale, sussidi per prodotti di base, ecc.), senza che questo sia complementato da processi pedagogici di formazione e organizzazione politiche. In questo modo si creano bacini elettorali, senza adesione a un progetto politico alternativo al capitalismo. Si danno benefici senza suscitare speranza. Si promuove l’accesso al consumo senza propiziare l’emersione di nuovi attori sociali e politici. E la cosa più grave: senza rendersi conto che, all’interno dell’attuale sistema consumista, le cui merci riciclabili sono impregnate di feticismo che valorizza il consumatore e non il cittadino, il capitalismo post-neoliberista introduce "valori" -come la competitività e la mercificazione di tutti gli aspetti della vita e della natura- che rafforzano l’individualismo e il conservatorismo.
Il simbolo di questa modalità post-neoliberista di consumismo è il telefono cellulare. Questo porta con sé la falsa idea della democratizzazione per mezzo del consumo e di integrazione nella classe media. In questo modo, segmenti esclusi si sentono meno minacciati quando pensano che sia più facilmente alla loro portata comprare un modello aggiornato di cellulare che riuscire ad avere servizi igienici dove abitano. Il cellulare è il simbolo per sentirsi inclusi nel mercato... E tutti sappiamo che le forme di esistenza sociale condizionano il livello di coscienza. O, in altre parole, la testa pensa dove poggiano i piedi (o dove immaginano di essere poggiati).
I nostri governi progressisti, nelle loro molteplici contraddizioni, criticano il capitalismo finanziario e, allo stesso tempo, promuovono la bancarizzazione dei segmenti più poveri, tramite carte per l’accesso ai benefici monetari, a pensioni e salari e alle facilitazioni per il credito, nonostante la difficoltà di rispettare gli interessi e il pagamento dei debiti.
In sintesi, il modello neodesarrollista seguito dalla sinistra si impegna a fare dell’America Latina un oasi di stabilità del capitalismo in crisi. E non si può sfuggire all’equazione che associa qualità della vita e crescita economica, segondo la logica del capitale. Nel frattempo non si socializza culturalmente la proposta indigena del buen vivir, per la grande maggioranza vivere bene sarà sempre sinonimo di vivere meglio in termini materiali.
Il grande pericolo in tutto questo è rafforzare, nell’immaginario sociale, l’idea che il capitalismo sia eterno ("La storia è finita", proclamò Francis Fukuyama), e che senza di lui non ci può essere un vero processo democratico e di civilizzazione. Ciò significa demonizzare ed escludere, anche con la forza, tutti coloro che non accettano questa "ovvietà", coloro che possono essere considerati terroristi, nemici della democrazia, sovversivi o fondamentalisti.
Questa logica risulta rafforzata quando, nelle campagne elettorali, i candidati di sinistra si felicitano, enfaticamente, della fiducia del mercato, dell’attrazione degli investimenti stranieri, della garanzia che gli imprenditori e i banchieri avranno maggiori profitti ecc.
Per un secolo, la logica della sinistra latinoamericana non ha mai coinciso con l’idea superare il capitalismo per tappe. Questo è un dato nuovo, che richiede molta analisi per mettere in pratica politiche che impediscano che gli attuali processi democratico-popolari siano invertiti dal grande capitale e dai suoi rappresentanti politici di destra.
Questa sfida non può dipendere solo dai governi. Questa si estende ai movimenti sociali e ai partiti progressisti che, quanto prima, devono agire come "intellettuali organici", socializzando il dibattito sui passi avanti e sulle contraddizioni, difficoltà e proposte, allo scopo di ampliare sempre più l’immaginario centrato sulla liberazione del popolo e sulla conquista di un modello di società post-capitalista veramente emancipativo.

(*) Frei Betto -nella foto- è uno scrittore, teologo e politico brasiliano.
Il testo è parte della Revista América Latina en Movimiento, n.500 dicembre 2014-http://alainet.org/publica/500.phtml
Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=193369&titular=%3Ci%3Eimpasses%3C/i%3E-de-los-gobiernos-progresistas-

Traduzione per Senzasoste Andrea Grillo, 21.12.2014

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