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martedì 5 maggio 2015

L'ALBERO CHE CADE E LA FORESTA CHE PUO' CRESCERE


Dopo aver letto i numerosissimi comunicati di movimento ed esserci consultati con tanti compagni presenti in diversi punti del corteo, veniamo a dire la nostra sui fatti del Primo Maggio milanese. Saranno valutazioni militanti dirette innanzitutto a militanti, sperando comunque di essere comprensibili a quanti, al di fuori delle organizzazioni e degli attivisti, siano sinceramente interessati.

Per poter avere una lettura in certo qual modo oggettiva dei fatti, a nostro avviso essi vanno inquadrati in due precisi postulati teorici: la valutazione dell'azione repressiva in questa nuova fase di riorganizzazione della stessa (e qui bisogna aspettare i provvedimenti che arriveranno, sia penali che come forma generale di divieto politico), e il fatto che il corteo, seppur numericamente ben partecipato (sui trentamila pare), era un corteo militante, in cui erano presenti al massimo delle loro possibilità tutte le varie realtà movimentiste (dai centri sociali all'ADL ai movimenti territoriali eccetera) senza un significativo apporto della -si perdoni il semplicismo dovuto a ragioni di sintesi- gente comune.
Al di fuori di questi due concetti guida, si rischia una distonia tra la propria immagine dei fatti e la durezza reale dei fatti stessi.
Assolutamente distonica, potremmo dire allucinata, è la versione che ne danno l'Autonomia diffusa ed Infoaut (http://danslarue1312.tumblr.com/post/118069428379/lexpo-e-linternazionale-senza-nome-il-carattere ; http://www.infoaut.org/index.php/blog/editoriali/item/14541-non-a-tutti-piace-expo).
Se io, senza sapere nulla, leggessi da casa questi comunicati penserei che hanno perfettamente ragione: il problema è che essi si basano su un'illusione, anzi su una vera e propria menzogna.
A Milano non c'è stata nessuna eccedenza della rabbia sottoproletaria, non c'è stata nessuna sollevazione per quanto impolitica: si è trattato invece di un gruppo di circa 500 militanti politici italiani ed europei, organizzati ed abituati ad azioni di questo tipo.
L'assenza della classe di riferimento rende queste azioni prive di ogni logica politica, presente e futura, di ogni obiettivo sensibile e riconoscibile e dunque apre solo la strada alla repressione e alla diffamazione.
Ovvero si tratta di una serie di azioni oggettivamente controrivoluzionarie, che spianano la via alla repressione e che non aprono certo spazi di vertenzialità politica sugli obiettivi.
Dall'altra parte abbiamo tutto il resto della realtà, la stragrande maggioranza, completamente oscurata dalle gesta dei 500.
Dentro questo 'resto della realtà' è stata prodotta, per quanto nel silenzio comunicativo, l'unica azione politicamente comprensibile e mirata: il sanzionamento alla Commissione Europea.
Tuttavia, e qui è il punto, accusare il solo blocco nero del fallimento del corteo, come spesso ho letto, è secondo me troppo semplicistico e comodo e non tiene conto del secondo postulato fondamentale di cui dicevamo: la mancanza significativa del corpo non militante dopo quasi un anno di organizzazione di questo appuntamento.
Ciò secondo noi deriva da una serie di problemi: l'assoluto scollamento di diverse realtà di movimento e di diversi centri sociali dalle classi subalterne, cosa che avviene soprattutto nelle grandi città, l'incapacità di uscire dalla logica del main event e della giornata campale -per cui magari sui territori si aggrega e si ha consenso attraverso il biologico, le lotte per la casa e quant'altro ma poi non si riesce a portare la gente a Milano o Roma per scarsa percezione della stessa del legame coi propri bisogni- e una certa tendenza all'autoreferenzialità delle discussioni e delle pratiche, per cui sembra che tutto il mondo rimanga dentro i conflitti tra aree, quando si tratta sempre e comunque di parti minoritarie se si guarda la società fuori dalla logica della 'riserva indiana'.
Sono tutti problemi assolutamente risolvibili che passano per una riflessione a trecentosessanta gradi sulle pratiche e sull'ampliamento dell'attività nei territori e sui bisogni: è necessaria tanta costanza e tanto marxiano lavoro della talpa prima di poter acquisire la necessaria potenza di cui i cortei nazionali devono essere megafono ed espressione, per costituire il passo di un successivo ampliamento e generalizzazione delle lotte.
La nota positiva -ci si permetta un po' di campanilismo- viene proprio da Senigallia (come probabilmente da tante altre realtà fuori dai grandi centri urbani).
L'Arvultùra ha portato a Milano diverse persone esterne alla militanza, è stata sempre compatta nello spezzone a fare i cordoni, con grande determinazione, ma anche con tanta serenità e, ove possibile, allegria.
Questo è il risultato, per riprendere quanto sopra, di un grande lavoro nel territorio che va avanti da anni, e che a nostro avviso deve essere un modello per molte realtà nel meccanismo virtuoso di partecipazione che ha saputo produrre

6 commenti:

salvatore ha detto...

Ottimo. Siamo ancora alla fase del consenso. Cerchiamo di recuperare la simpatia e l'approvazione della gente ma pratichiamo poco conflitto.
E' la testimonianza che regna per cui è naturale che la gente approvi, sorrida ma non segua.

precari united ha detto...

Non ho capito il commento: se è ironico o se concorda.
Non è tanto il consenso che conta, che di suo è trasversale e interclassista per cui poco mi cale, quanto la comprensione dei bisogni e delle istanze delle classi subalterne e trovare un linguaggio e delle pratiche di sintesi.
E questo per me spetta al lavoro sul territorio.
A mio avviso le classi subalterne, ove non siano già politicizzate, si muovono per produrre conflitto se e solo se ne capiscono ragioni ed obiettivi, altrimenti ti trattano da corpo estraneo e restano a casa ad insultarti qualsiasi cosa tu faccia.
Per cui il conflitto, per avere senso, va costruito passo dopo passo, ovviamente ove esso non sia su istanze e bisogni primari (picchetti antisfratto, lotte lavorative vertenziali ecc), ma l'estensione dello stesso ha bisogno di tanto tempo e lavoro di base.

precari united ha detto...

Rileggendo, capisco meglio il punto in cui citi il consenso e riprendi il discorso, quello fra parentesi.
Ovviamente io per consenso intendevo attorno ad un discorso politico e di classe o comunque di lotta per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti (e tutti gli esempi citati sono forme di questo tipo, compreso il bio se fatto come si deve fare e come lo facciamo anche noi), per cui preciso meglio che il termine 'consenso' era usato in termini di classe e non in termini generici di società amorfa.
Forse così è più chiaro ciò che intendevo.

salvatore ha detto...

Ottimo il commento. Il corteo in sé come idea è una esibizione quindi cerca il consenso. Cerca visibilità. Poi c'è il pre e il post però il centro è quello. E' importante il senso di comunione, anche i discorsi e gli slogan però resta quello che è e non riusciamo a uscirne.
Forse sarebbero contate di più 3-4 occupazioni serie di fabbriche, padiglioni o non so. Insomma un attacco, da costruire nella crisi della aziende e del tessuto sociale.

E' vero che molti criticano perché non vogliono venire ( alibi) ma anche vero che molti che di manifestazioni ne hanno fatte molte si sono rotti il cazzo perché sentono che è mera testimonianza, ricorrenza

precari united ha detto...

Grazie dell'articolata risposta, ora ci siamo.
Tra la manifestazione noiosa e pacifica e lo spaccare tutto quel che c'è intorno passa di mezzo la politica: ovvero individuare l'obiettivo e attaccarlo facendosi capire e avendo la potenza di poter difendere a tutti i livelli la propria azione: contando che stiamo vivendo una società depoliticizzata, resa politicamente analfabeta per cui le pratiche anni '70 andrebbero un po' riviste e c'è bisogno di tanto lavoro di base per arrivarci, almeno a parere mio.
Va da sè che dunque il tuo commento mi trova d'accordo anche nel discorso della costruzione che hai fatto.
Putroppo è andata così e pazienza, anche se quel che dici tu si poteva fare benissimo essendo immediatamente leggibile e comprensibile alla classe: speriamo che sia una lezione per il futuro.

salvatore ha detto...

Considerato che quando si fa il corteo, si fa quello. O stai a casa, o stai alle regole del corteo ( obiettivi, sicurezza, partecipazione alle assemblea altrimenti segui chi le ha fatte eccetera). Spero siano diffuse queste idea. Anzi sono diffuse ma pochi hanno la voglia di dirlo per non beccarsi le reprimende dei compagni pronti ad accusarti di parteggiare per Stato e sbirri.