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giovedì 16 ottobre 2014

LA FINANZIARIA DI RENZI.


Per analizzare la Finanziaria di Renzi, vengono proposti due articoli che la analizzano sotto due diversi angolature prospettiche.
da http://ilmanifesto.info/renzi-tu-realizzi-i-miei-sogni/
—  Massimo Franchi, 14.10.2014
Legge di Stabilità. Il numero uno di Confindustria gongola per gli annunci del premier su Irap e assunzioni. Ma la manovra è a rischio: la commissione Ue vuole più tagli
Quando hanno annun­ciato le misure per la legge di sta­bi­lità one­sta­mente ho sen­tito che si rea­liz­zava quasi un nostro sogno». Gior­gio Squinzi è una per­sona assai misu­rata e pacata. I suoi giu­dizi non sono mai sopra le righe. Sen­tirlo par­lare in que­sta maniera ha sor­preso il suo stesso staff. Spe­cie per­ché solo due mesi fa Squinzi diceva peste e corna del governo Renzi, boc­ciando financo il bonus di 80 euro — «non ha avuto impatto sui con­sumi» — e il decreto Sblocca Ita­lia — «le risorse non sono suf­fi­cienti» — come disse al dirim­pet­taio Gra­ziano Del­rio durante il dibat­tito alla festa nazio­nale del Pd di Bolo­gna il 31 agosto.
Da quel momento le cose sono cam­biate. E tanto. Il cam­bio repen­tino lo ha fatto Mat­teo Renzi. «Fra Lan­dini e Squinzi, ha scelto il secondo», sin­te­tizza un uomo vicino al pre­si­dente di Con­fin­du­stria. E se fino a prima dell’estate il pre­mier si van­tava di «non andare al con­gresso della Cgil così come all’assemblea nazio­nale di Con­fin­du­stria», alla vigi­lia del varo della legge di Sta­bi­lità si è pre­sen­tato all’assemblea della Con­fin­du­stria di Ber­gamo, par­lando come fece Ber­lu­sconi con Emma Mar­ce­ga­glia nel 2008: «Il vostro pro­gramma sarà il nostro programma».
Da lì ha snoc­cio­lato dati e incar­tato pro­messe che sono miele per gli indu­striali: 6,5 miliardi di taglio dell’Irap più azze­ra­mento dei con­tri­buti per tre anni per chi assume a tempo inde­ter­mi­nato. E se qual­cuno mette in bocca al pre­mier la frase: «È una mano­vra di sini­stra, la Cgil dovrebbe applau­dirmi», per rispon­der­gli basta il titolo di ieri deIl Gior­nale: «Renzi fa una cosa di destra, final­mente meno tasse».
Il tutto per un totale di ben 18 miliardi di tagli. Prov­ve­di­menti che ieri Squinzi ha pre­ci­sato vanno «esat­ta­mente nella dire­zione auspi­cata». Ma poco dopo il numero uno degli indu­stru­lia è tor­nato l’uomo obiet­tivo di sem­pre. E alla domanda se le nuove misure pro­spet­tate dal governo por­te­ranno ad un aumento dell’occupazione, il pre­si­dente di Con­fin­du­stria ha dovuto ammet­tere: «È dif­fi­cile da dirsi, le assun­zioni si fanno quando c’è una richie­sta del mer­cato che in que­sto momento è molto depresso».E allo stesso tempo si è cau­te­lato rispetto alla cro­nica «annun­cite» di Renzi: «Come sem­pre atten­diamo la con­ver­sione dei provvedimenti».
Squinzi fa bene a non fidarsi per­ché la legge di Sta­bi­lità da 30 miliardi — che oggi il Con­si­glio dei mini­stri varerà — cam­bia ogni giorno e gli annunci di Renzi di Ber­gamo pro­du­cono come primo effetto la neces­sità di tro­vare almeno altri 5 miliardi per finan­ziare il taglio dell’Irap. Si guarda alla Spen­ding review, ma non sarà facile fare mar­cia indie­tro e rispol­ve­rare il docu­mento Cot­ta­relli, da poco rot­ta­mato. Facile invece imma­gi­nare la man­naia abbas­sarsi su sanità, enti locali e istru­zione: esat­ta­mente come è stato fatto da Monti in poi.
Nono­stante le cer­tezze di Renzi, la mano­vra è ancora a rischio boc­cia­tura da parte della Com­mis­sione euro­pea. Per­ché se il mini­stro Pier Carlo Padoan ieri all’Ecofin in Lus­sem­burgo ha con­fer­mato che l’aggiustamento del defi­cit strut­tu­rale in mano­vra sarà dello 0,1 per cento, man­te­nendo il rap­porto deficit/Pil al di sotto del 3 per cento, rispet­tando le regole euro­pee — «andremo avanti nel con­so­li­da­mento strut­tu­rale, c’è solo un ritardo dovuto al fatto che ad aprile, quando abbiamo preso gli impe­gni, la pre­vi­sione di cre­scita era l’1,1% più alta di oggi per il 2015, il con­te­sto si è alta­mente dete­rio­rato», ha spie­gato Padoan — la legge di sta­bi­lità rischia di essere in con­tra­sto con le regole Ue e rispe­dita al mit­tente per modifiche.
È quanto hanno rife­rito all’agenzia Reu­ters fonti Ue spie­gando che il pro­getto di bilan­cio ita­liano sarà giu­di­cato anche sulla base del cri­te­rio di un aggiu­sta­mento strut­tu­rale di «almeno lo 0,7 per cento del Pil». Uno scarto di 0,5 punti per­cen­tuali quindi tra gli impe­gni ita­liani e le richie­ste della Com­mis­sione. Uno scarto che sarebbe valu­tato «come una seria vio­la­zione» delle rac­co­man­da­zioni e potrebbe quindi por­tare a «un rin­vio a Roma della legge di sta­bi­lità, ed even­tual­mente all’apertura di una pro­ce­dura per debito ecces­sivo con­tro l’Italia».
Una prima valu­ta­zione della Com­mis­sione sulla legge di sta­bi­lità è pre­vi­sta per novem­bre. Ieri sera Renzi ha tele­fo­nato al nuovo pre­si­dente della Com­mis­sione Ue Jean Claude Junc­ker: baste­ranno gli annunci a con­vin­cerlo a non bocciarci?
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da http://www.senzasoste.it/nazionale/la-finanziaria-di-renzi-serve-per-allargare-il-terzo-mercato-obbligazionario-al-mondo-quello-del-debito-italiano
 
Cercare una logica nella bozza, anzi nelle bozze, di finanziaria del governo Renzi significa sicuramente uscire dal surreale politicismo italiano. Di un tipo di surreale per cui si pensa che ogni mossa del governo viene fatta per rispondere alla Camusso, a Bersani, a Berlusconi e ora magari anche a Luxuria nuova re-entry nel set della politica istituzionale. Anche le metafore antropromorfiche abbondantemente usate pure per la politica europea –la Merkel, Juncker, Draghi- ci spiegano poco. La finanziaria è ragion di stato, anzi di governance europea e di mercati globali, e quindi solo gli esempi che vanno ben al di là della metafora dei rapporti tra persone ci fanno effettivamente capire quale posta in gioco ci sia nelle mosse del governo. Allo stesso tempo pensare che le mosse del governo siano razionali, entro un’idea di politica che viaggia tra i poli opposti dal mito del razionalismo statuale al complottismo, è non tenere conto delle forze instabili che si giocano non solo in ogni finanziaria ma in ogni atto dove ci siano amministrazione, politica istituzionale e santificazione dei media. Si tratta quindi di capire che logica stia uscendo dalla finanziaria Renzi senza pensare che che questa sia frutto di chissà quale superpiano. Sia esso preparato a Roma a Bruxelles e a Londra. Allo stesso tempo niente di quello che si sta, anche sconbinatamente muovendo, è per motivi banali. Ma andiamo per gradi. Prima di tutto parliamo di cifre.
Ad agosto nel governo Renzi, almeno ufficialmente, parlare di manovra autunnale era forzatura. Non solo, anche una manovra che restringeva il bilancio dello stato di una quindicina di miliardi era una vera e proria bestemmia. Parola di Padoan e, figurarsi, anche di Renzi. Poi arrivano i dati sull’economia, sul debito pubblico, sullo stato delle banche europee, sulla crisi dell’eurozona (tutto largamente atteso). E la manovra non solo spunta in cifre considerevoli ma anche nella dimensione dei 30 miliardi. E qui la domanda: ma, per come si sta configurando la manovra, quale è la logica che finisce per sostenerla?
La risposta è complessa ma c’è un aspetto che ci aiuta a comprendere una complessità che gioca su conflitti, interessi perversi, crisi del comando finanziario e delle logiche produttive. L’insistenza sul tre per cento, dei parametri di deficit rispetto al Pil fissati da Bruxelles, che va in primo piano rispetto a ciò che viene chiamato consolidamento del debito pubblico. In poche parole, il governo persegue la tenuta dell’avanzo primario di bilancio (il saldo attivo, a favore dello stato, tra tasse da una parte e servizi e investimenti pubblici dall’altra) mentre trascura il consolidamento del debito (che, indici previsionali alla mano, è sempre più difficile visto che il debito non cessa di allargarsi). Ma se lo stato, per i servizi che eroga e i minori investimenti che sostiene, tiene il deficit sotto il tre per cento come fa il debito ad allargarsi? Anche, come sostiene lo stesso Def del governo (che è documento ufficiale per eccellenza), in presenza di una riduzione di spesa per interessi. Prima di tutto questo accade perché, nonostante un’alta pressione fiscale, le entrate diminuiscono. Per la crisi economica, visto che le tasse esistenti si applicati ai tassati ben conosciuti. Secondo perché pensioni (l’invecchiamento della popolazione) e cassa integrazione (anche qui, la crisi) si fanno sentire sul debito nonostante i feroci tagli degli ultimi 20 anni nelle rispettive materie. C’è poi un terzo punto, piuttosto serio, che fa capire queste ulteriori dinamiche di allargamento. È la struttura fluttuante del debito pubblico italiano. Che è tale per cui il debito deve essere spesso rinegoziato (e quindi collocato sui mercati finanziari). Si capisce quindi cosa accade al debito in Italia: nonostante la tenuta del saldo primario di bilancio, e quindi il contrarsi dei servizi sociali e degli investimenti legati a welfare e beni pubblici, pensioni (fattore demografico anzi, biopolitico), cassa integrazione (fattore crisi) e debito rinegoziato (in modo che finisce per allargarsi nonostante la contrazione, presente nel Def, della spesa per interessi, per non parlare dei giochetti degli hedge fund in materia).
Non stiamo qui a vedere se Renzi sosterrà davvero Confindustria con sgravi e bonus. Cerchiamo di capire verso quale logica muove la finanziaria. Se è questa, tenere sul deficit e allargare il debito, è presto detto: si fa un grande favore ai mercati finanziari. Allargando il terzo mercato obbligazionario al mondo. Che la cosa non piaccia a Bruxelles è palese: tutta l’architrave della governance europea, ad egemonia tedesca, si basa sulla contrazione del debito. Per marcare la forza del capitalismo Ue che, proprio perché sottostà alle regole tedesche, dovrebbe assumere questa legge aurea: “vendere merci europee con moneta prestata dall’Europa”. Con un alto debito pubblico continentale questo non è possibile. Peccato che la fuga dall’euro, come da studi Deutsche Bank, stia avvenendo, che la crisi Ue sia fortissima e che la legge aurea sia in crisi. Il governo Renzi, pure diviso al proprio interno, prova così a piazzarsi in una linea mediana tra le attuali logiche di potenza: tenuta dell’avanzo primario di bilancio (che piace a Berlino) e aumento del debito (che piace alla finanzia anglo-americana e a chi acquista debito sovrano da tutto il pianeta).
Qualsiasi promessa di Renzi sarà quindi finanziarizzata. Andrà quindi ad aumentare un debito sovrano che a) renderà sembre più esacerbate le politiche di restrizione della spesa pubblica e di aumento dell’avanzo primario di bilancio, b) renderà sempre più dipendente questo paese dalla tempeste finanziarie globali. Sulla cui entità e dimensione c’è solo da scegliere. Ma intanto vai con lo stupidario della finanziaria -il tormentone idiota sulle categorie che perdono o guadagnano, sull’evasione, sui costi della politca de ‘noantri- e allarghiamo un po' il considerevole mercato italiano del debito.

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